Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26900 del 26/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 26/11/2020, (ud. 16/06/2020, dep. 26/11/2020), n.26900

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21734-2018 proposto da:

V.R., in proprio e nella qualità di erede di

G.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 37, presso

lo studio dell’avvocato CECILIA FURITANO, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIUSEPPE VITRANO;

– ricorrente –

contro

S.G. nella qualità di Procuratrice speciale di

G.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA BALDUINA

7, presso lo studio dell’avvocato CONCETTA MARIA RITA TROVATO,

rappresentata e difesa dall’avvocato FERDINANDO TESTONI BLASCO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 977/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 15/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELE

POSITANO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con ricorso ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c. del 15 giugno 2011, G.C. evocava in giudizio, davanti al Tribunale di Termini Imerese, il fratello T.S. chiedendone la condanna alla restituzione della somma di Euro 250.000 e alla prestazione del rendiconto, in esecuzione della procura conferitagli il 7 luglio 1993 e revocata il 4 marzo 2010, oltre al risarcimento dei danni. Esponeva che, in data 23 luglio 2002, G.C. aveva aperto un conto corrente, anche a nome del fratello T., per consentire a quest’ultimo di amministrare i beni del ricorrente che, da tempo, risiedeva in Germania. In precedenza, aveva anche conferito al fratello T. una procura generale, senza che questi rendesse il conto del suo operato. Nell’anno 2006 aveva appreso che il fratello T. aveva azzerato il conto corrente sul quale erano transitate somme significative. Aggiungeva che, a seguito di persistenti richieste, aveva ottenuto la restituzione della somma di Euro 200.000, rimanendo creditore dell’ulteriore importo di Euro 250.000. Analoghe considerazioni riguardavano le attività svolte in forza della procura generale, per la quale, in quasi 17 anni, T. non avrebbe reso il conto del proprio operato;

si costituiva quest’ultimo rilevando che pendeva un procedimento penale per truffa in danno di terzi ai quali il convenuto avrebbe affidato le somme del fratello nella convinzione che sarebbero state investite in polizze assicurative sulla vita. Nel merito deduceva l’infondatezza della domanda;

il Tribunale con ordinanza del 6 novembre 2012 ordinava a G.T.S. di rendere conto della gestione e di pagare la somma di Euro 120.000 in favore di G.C.;

avverso tale decisione proponeva appello quest’ultimo, rilevando il Tribunale avrebbe errato nel calcolare l’ammontare del credito. Si costituiva l’appellato opponendosi al gravame e spiegando appello incidentale. Intervenuto il decesso di G.T., in data 25 luglio 2013, C. riassumeva il giudizio in data 17 dicembre 2014 nei confronti degli eredi. Si costituiva V.R. in tale qualità insistendo per i motivi già dedotti dal dante causa;

la Corte d’Appello di Palermo, con sentenza del 15 maggio 2018, in parziale riforma dell’ordinanza impugnata, condannava V.R. nella qualità di erede di G.T.S. al pagamento della somma di Euro 249.741 oltre interessi e spese;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione V.R., in proprio e nella qualità di erede di G.T.S., affidandosi a due motivi. Resiste con controricorso G.C..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 166 c.p.c. e degli artt. 343 e 155 c.p.c. poichè l’interpretazione adottata dalla Corte territoriale, di fatto, attribuirebbe all’appellante principale, il potere di aggravare l’onere di difesa della controparte, elevando il termine da computare a ritroso, previsto dalla legge, da 20 a 31 giorni antecedenti la data dell’udienza. L’orientamento della giurisprudenza di legittimità richiamato dalla Corte territoriale si applicherebbe solo al caso di assegnazione di termini ad entrambe le parti, poichè diversamente opinando, l’appellante avrebbe un indebito vantaggio, con implicita abrogazione dell’art. 166 c.p.c., come richiamato dall’art. 343 c.p.c.. Il principio affermato dalla Corte d’Appello agevolerebbe l’appellante scaltro il quale indichi quale data della prima udienza del giudizio di gravame un venerdì, così obbligando la controparte, intenzionata a proporre appello incidentale, ad attivarsi almeno 21 giorni prima;

con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 754 c.c. non avendo la Corte d’Appello condannato V.R. al pagamento della somma indicata in dispositivo “in proporzione alla quota ereditaria” della stessa. Infatti, oltre a V.R., risultano eredi di G.T., anche i figli di R.: G.V., M. e B.G.;

il primo motivo è inammissibile perchè la questione giuridica relativa all’applicazione dei termini a ritroso è stata risolta dalla Corte territoriale sulla base dell’orientamento costante di legittimità. Come emerge pacificamente, G.T.S., evocato in giudizio davanti alla Corte d’Appello di Palermo per la data di venerdì 10 maggio 2013, al fine di proporre appello incidentale non si è costituito venerdì 19 aprile 2013, ma il lunedì successivo (22 aprile) in quanto l’ultimo giorno utile cadeva di sabato;

trova applicazione il principio secondo cui dell’art. 155 c.p.c., il comma 4 diretto a prorogare al primo giorno non festivo il termine che scada in un giorno festivo ed il successivo comma 5 del medesimo articolo, introdotto dalla L. n. 263 del 2005, art. 2, comma 1, lett. f), e diretto a prorogare al primo giorno non festivo il termine che scada nella giornata di sabato, operano anche con riguardo ai termini che si computano “a ritroso” ovvero contraddistinti dall’assegnazione di un intervallo di tempo minimo prima del quale deve essere compiuta una determinata attività. Tale operatività, peraltro, deve correlarsi alle caratteristiche proprie di siffatto tipo di termine, producendo il risultato di individuare il “dies ad quem” dello stesso nel giorno non festivo cronologicamente precedente rispetto a quello di scadenza in quanto, altrimenti, si produrrebbe l’effetto contrario di un’abbreviazione dell’intervallo, in pregiudizio per le esigenze garantite dalla previsione del termine medesimo (Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 21335 del 14/09/2017 – Rv. 645702 – 01);

il secondo motivo è inammissibile poichè si prospetta una questione nuova. In tema di ricorso per cassazione, il ricorrente che proponga una determinata questione giuridica che implichi accertamenti di fatto – ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione (Cass. Sez. 3 n. 27568 del 21/11/2017, Rv. 646645 – 01);

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Infine, tenuto conto del tenore della decisione, mancando ogni discrezionalità al riguardo (Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) va dichiarato che sussistono i presupposti processuali per il pagamento del doppio contributo se dovuto.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidandole in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile-3, il 16 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2020

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