Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26897 del 29/11/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 26897 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: CARRATO ALDO

SENTENZA

processo ai sensi
della legge n. 89
del 2001

sul ricorso proposto da:
MANZO GIANFRANCO (C.F.: MNZ GFR 74M08 F924D), rappresentato e difeso, in
virtù di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Biagio Lauri ed elettivamente
domiciliato presso lo studio dell’Avv. Concetta Diglio, in Roma, alla v. Dei Gracchi, n.
– ricorrente –

39;
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato —

avverso il decreto della Corte d’appello di Roma relativo al proc. n. 643 del 2008
o 17-obte
V.G., depositato in data 3glib1rò)2011 (e non notificato).
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 4 ottobre 2013

dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

Ignazio Patrone, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Data pubblicazione: 29/11/2013

Ritenuto in fatto
Il sig. Manzo Gianfranco chiedeva alla Corte d’appello di Roma, con ricorso
ritualmente depositato il 21 gennaio 2008, il riconoscimento dell’equa riparazione, ai
sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, per la irragionevole durata di un giudizio

Giudice di pace di Marigliano, definito in primo grado con sentenza depositata il 13
febbraio 2007, invocandola condanna del Ministero della Giustizia al risarcimento dei
danni non patrimoniali subiti per la irragionevole durata complessiva del predetto
giudizio.
Nella costituzione del resistente Ministero, l’adita Corte di appello, con decreto
depositato il 3 ottobre 2011, rigettava la domanda, sul presupposto che, detratti i
periodi imputabili alle parti (computati in anni 2, mesi 5 e giorni 10), la durata
ragionevole del giudizio — fissata in tre anni — era stata superata soltanto di 5 mesi e
10 giorni, e, quindi, per un trascurabile intervallo temporale inidoneo a causare il
danno dedotto dalla parte istante. Con il predetto decreto, la Corte adita compensava
integralmente le spese giudiziali.
Avverso il suddetto decreto (non notificato) ha proposto ricorso per cassazione (a cui
era ancora applicabile “ratione temporis” il testo dell’art. 327 c.p.c., nella sua
versione anteriore alla novellazione intervenuta per effetto della legge 18 giugno
2009, n. 69) il Manzo Gianfranco, con atto presentato per la notificazione a mezzo
posta il 17 ottobre 2012, sulla base di due motivi. L’intimato Ministero non ha svolto
attività difensiva in questa sede.
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo dedotto il ricorrente ha denunciato (ai sensi dell’art. 360,
comma 1, n. 3, c.p.c.) la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2, commi 1 e 2,

– 2 –

civile risarcitorio instaurato con atto di citazione notificato il 10 luglio 2001 dinanzi al

della legge n. 89 del 2001 e dell’art. 6 &1 della CEDU, avuto riguardo alla supposta
erroneità del computo della effettiva durata irragionevole del giudizio presupposto, in
considerazione della circostanza che, ai fini della sua determinazione, non erano
stati inclusi anche periodi causati da ritardi imputabili ad inefficienza dell’organo

delle parti (nel mentre si sarebbero dovuti conteggiare perché attinenti
all’esplicazione di legittime garanzie delle parti nell’ svolgimento del processo, come
quelle relative alla ritualità dell’instaurazione del contraddittorio, alla deduzione dei
mezzi istruttori, all’espletamento delle prove ammesse e alla precisazione delle
conclusioni).
2. Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione e/o falsa applicazione
dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge n. 89 del 2001, nonché degli artt. 2,3,4 e 6 & 1
della CEDU, con riferimento alla illegittimità della ritenuta insussistenza del
prospettato danno non patrimoniale anche in riferimento alla limitata eccedenza della
durata del giudizio presupposto rispetto a quella ritenuta ragionevole.
3. Il primo motivo appare fondato per le ragioni che seguono.
Alla stregua dello svolgimento della censura, caratterizzata da sufficiente specificità
contenendo anche la riproduzione dell’atto introduttivo del giudizio presupposto e del
suo conseguente svolgimento nelle sue varie fasi, è emerso che plurimi rinvii (indicati
nel decreto impugnato) erano dipesi dallo svolgimento di legittime attività difensive,
istruttorie e conclusive delle parti, ragion per cui i relativi periodi non avrebbero
potuto essere detratti dal computo della durata irragionevole del processo (salvo,
perciò, quelli meramente dilatori o imputabili ad un abuso del diritto di difesa).
Diversamente, la Corte territoriale, con il decreto impugnato, ha indiscriminatamente
escluso tutti gli intervalli temporali ricompresi nei rinvii disposti nel corso del giudizio

giudiziario adito, invece detratti siccome ritenuti ascrivibili a mere richieste di rinvio

presupposto dal suddetto computo della durata irragionevole, imputando i relativi
ritardi alla condotta delle parti, senza compiere alcun distinguo.
A tal proposito deve, infatti, ricordarsi (cfr., ad es., Cass. n. 19771 del 2010) che, in
tema di equa riparazione ex lege 24 marzo 2001, n. 89, il giudice, nel

complessiva i rinvii ascrivibili a richiesta della parte purché indichi
analiticamente, nella motivazione, le ragioni per le quali quei rinvii siano da
considerarsi imputabili ad intenti dilatori della parte medesima. Del resto si è

anche chiarito (cfr. Cass. n. 11307 del 2010) che, ai fini della eventuale ascrivibilità,
nell’area della irragionevole durata del processo, dei tempi corrispondenti a rinvii
eccedenti il termine ordinatorio di cui all’art. 81 disp. att. c.p.c., la violazione della
durata ragionevole non discende, come conseguenza automatica, dall’essere stati
disposti rinvii della causa di durata eccedente i quindici giorni ivi previsti, ma dal
superamento della durata ragionevole in termini complessivi, in rapporto ai parametri,
di ordine generale, fissati dall’art. 2 della legge suddetta; da tale durata sono detraibili
i rinvii richiesti dalle parti solo nei limiti in cui siano imputabili ad intento dilatorio o a
negligente inerzia delle stesse, e, in generale, all’abuso del diritto di difesa, restando
addebitabili gli altri rinvii alle disfunzioni dell’apparato giudiziario, salvo che ricorrano
particolari circostanze, che spetta alla P.A. evidenziare, riconducibili alla fisiologia del
processo. E’, perciò, indubbio che, allo scopo dell’accertamento della durata
ragionevole del giudizio civile, non possono essere espunti i tempi dei rinvii
dovuti alle esigenze di rituale incardinazione del contraddittorio, di completa
definizione dell’oggetto del giudizio, di svolgimento delle istanze istruttorie e di
esplicazione delle difese finali, come prescritto dal codice di rito.

determinare la ragionevole durata del processo, può detrarre dalla sua durata

Alla stregua di tali principi, ai quali la Corte territoriale non si è conformata, consegue
l’accoglimento della prima censura, con il derivante assorbimento della seconda (la
cui cognizione è condizionata dalla risoluzione della prima) e la cassazione sul punto
del decreto impugnato, con rinvio della causa ad altra Sezione della Corte di appello

della presente fase di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara assorbito il secondo; cassa il
decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le
spese del presente giudizio, ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile della Corte
suprema di Cassazione, in data 4 ottobre 2013.

di Roma, che si adeguerà agli stessi principi e provvederà anche a regolare le spese

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