Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26895 del 23/12/2016


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Cassazione civile, sez. un., 23/12/2016, (ud. 13/09/2016, dep.23/12/2016),  n. 26895

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente di sez. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di sez. –

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente di sez. –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Presidente di sez. –

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente di sez. –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente di sez. –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3092-2015 proposto da:

PETROCCHI GIANFRANCO, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DEL

FANTE 10, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO DE JORIO, che lo

rappresenta e difende, per delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CESARE BECCARIA 29, presso gli Uffici dell’avvocatura dell’Istituto

stesso, rappresentato e difeso dagli avvocati DARIO MARINUZZI e

PIERA MESSINA, per delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 176/2014 della CORTE DEI CONTI Seconda Sezione

Giurisdizionale Centrale di appello – ROMA, depositata il

19/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/09/2016 dal Presidente Dott. PIETRO CURZIO;

uditi gli avvocati Lorenzo ROMANELLI per delega dell’avvocato Filippo

de Jorio e Piera MESSINA;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. IACOVIELLO

Francesco Mauro, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

P.G., titolare di pensione militare privilegiata decorrente dal 1 maggio 1978 gestita dall’INPDAP, ora INPS, divenne titolare di trattamento ordinario dal 1 aprile 1997, erogato dalla Camera dei Deputati.

L’INPS erogante la pensione privilegiata ha sempre corrisposto l’indennità integrativa speciale nei limiti del c.d. minimo INPS.

Il P. propose ricorso alla Corte dei conti, sezione Lazio, per ottenere il pagamento integrale dell’indennità. La Corte accolse il ricorso condannando l’INPS al pagamento dell’indennità integrativa speciale in misura integrale.

L’INPS propose appello esponendo che entrambe le pensioni avevano decorrenza anteriore alla L. n. 335 del 1995, mentre al contrario il caso del ricorrente era regolato dalla L. n. 724 del 1994, art. 15, comma 3, essendo titolare di pensione sorta 1997.

La Corte dei conti sezione centrale d’appello accolse il ricorso dell’INPS con sentenza 222/2012.

Il P. propose ricorso per revocazione.

Con sentenza pubblicata il 19 marzo 2014, la Corte revocò la sentenza del 2012 incorsa nell’errore di considerare la decorrenza di entrambe le pensioni anteriore al 1995, ma pronunciandosi nuovamente nel merito, accolse l’appello dell’INPS e statuì che il P. non ha diritto all’intera misura dell’indennità integrativa speciale su ambedue le pensioni e che sulla pensione INPS ha diritto a percepire l’indennità solo in misura tale da raggiungere l’importo del trattamento minimo previsto per il fondo lavoratori dipendenti sull’altra (c.d. minimo INPS”).

Con ricorso per cassazione il P. chiede alle sezioni unite di “cassare la sentenza gravata rinviando le parti innanzi alla Corte dei conti in diversa composizione, affinchè si pronunci sulle richieste del ricorrente fissando il principio di diritto che la indennità integrativa speciale sulle pensioni insorte dopo la L. n. 724 del 1994 soggiace ad un regime diverso da quelle assentite e liquidate prima della suddetta data e cioè che tale componente è parte integrante della pensione e non più voce accessoria e, pertanto, non sussiste il divieto di cumulo della indennità integrativa speciale in misura intera tra la pensione privilegiata decorrente dal 1978 e quella instaurata nel 1997”.

Il ricorso è articolato in due motivi.

Con il primo si denunzia violazione dell’art. 111 Cost. per eccesso di potere giurisdizionale, nonchè degli artt. 23 e 113 Cost., perchè la Corte dei conti negando una tutela garantita dalla norma, si è sostituita al legislatore in quanto ha fondato la sua statuizione non sulla vigente normativa, “ma sostituendo a quest’ultima in sede analogica altra non afferente”, applicando non la norma esistente, ma una norma da lei creata.

Con il secondo motivo si denunzia violazione del combinato disposto dell’art. 117 Cost. e degli artt. 13 e 6, par. 1 della CEDU, perchè la Corte dei conti nell’accogliere il ricorso in fase rescindente ha negato nella fase rescissoria il diritto.

Il ricorso è inammissibile.

Le sentenze della Corte dei conti possono essere impugnate dinanzi alle sezioni unite della Corte di cassazione solo per motivi attinenti alla giurisdizione (art. 111 Cost., art. 362 c.p.c.). Al di fuori di questo ambito il ricorso è inammissibile.

Il secondo motivo non pone neanche a livello di prospettazione un problema di superamento dei limiti della giurisdizione.

Con il primo motivo, invece, il ricorrente sostiene che la Corte dei conti con la sentenza impugnata avrebbe travalicato i confini della sua giurisdizione perchè si è sostituita al legislatore, creando una nuova norma.

La Corte dei conti seconda sezione d’appello ha accolto il ricorso per revocazione accertando che per un errore di percezione la sentenza revocanda aveva ritenuto che il P. fosse titolare di due pensioni entrambi decorrenti da data anteriore al 1 gennaio 1995, mentre al contrario, una delle due, la pensione ordinaria, decorreva dal 1 aprile 1997. Tuttavia, ha poi ritenuto, passando a riformulare il giudizio di appello, che anche se le pensioni non erano entrambe sorte in data precedente al 1 gennaio 1995, l’indennità integrativa speciale spettasse in misura integrale solo su di una, mentre sull’altra spettava solo in misura del c.d. minimo INPS.

In questa, come in altre omologhe decisioni, la sezione di appello della Corte dei conti, pur consapevole che la riforma pensionistica ha previsto l’inglobamento della indennità integrativa speciale che ha così cessato di essere elemento autonomo del trattamento, tuttavia ritiene ed argomenta che, in tal modo, ciò che prima veniva percepito con imputazione distinta, in seguito ha continuato comunque ad essere percepito sebbene inglobato in altra voce. Il mutamento, secondo questo orientamento della Corte, è meramente formale, in quanto sul piano fattuale l’importo della indennità integrativa speciale continua ad essere percepito su entrambi i trattamenti economici. La conseguenza tratta dalla Corte è che il divieto (peraltro parziale) di cumulo persiste e che sulla seconda pensione l’indennità integrativa speciale deve essere percepita nella misura minore in cui viene versata al ricorrente (e cioè nei limiti necessari per ottenere l’integrazione della pensione sino all’importo corrispondente al trattamento minimo previsto per i fondi pensione lavoratori dipendenti, c.d. minimo INPS).

La scelta della Corte rientra nella sfera della sua giurisdizione in quanto attiene alla interpretazione della normativa. Non vi è pertanto nè invasione della sfera del potere legislativo, nè superamento dei limiti c.d. esterni della giurisdizione. Tanto meno può sostenersi che sia attinente alla giurisdizione il secondo motivo che, come si è detto, non prospetta neanche un problema di superamento dei limiti esterni della giurisdizione. Il ricorso per cassazione, di conseguenza, è inammissibile.

L’inammissibilità comporta la condanna alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità ed il raddoppio del contributo unificato.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’INPS, controricorrente, liquidandole in 3.000,00 Euro per compensi professionali, oltre 15% per spese forfetarie ed accessori. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma del medesimo art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2016

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