Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26894 del 26/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 26/11/2020, (ud. 17/11/2020, dep. 26/11/2020), n.26894

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – rel. Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

S.A., rappr. e dif. dall’avv. Luigi Tremante, elett.

dom. presso lo studio dell’avv. Ivan Canelli, in Roma, via Carlo

Conti Rossini n. 13, come da procura a margine dell’atto;

– ricorrente –

contro

RIZZO-BOTTIGLIERI-DE CARLINI ARMATORI s.p.a., in persona del

l.r.p.t., rappr. e dif. dall’avv. Iannaccone Giuseppe e dall’avv.

Antonio Nardone, elett. dom. in Roma, presso lo studio del secondo,

in via XX Settembre n. 3, come da procura in calce all’atto;

– controricorrente –

per la cassazione del decreto Trib. Torre Annunziata 22.12.2016, in

proc. c.p. R.G. 1/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 17 novembre 2020 dal Presidente relatore Dott. Massimo Ferro.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. S.A., già con incarico – in sostituzione di precedente professionista rinunciante – di commissario giudiziale nel concordato preventivo della società RIZZO-BOTTIGLIERI-DE CARLINI ARMATORI s.p.a., proposto con ricorso ex art. 161, comma 6, aperto e poi non omologato, impugna il decreto Trib. Torre Annunziata 22.12.2016, in proc. c.p. R.G. 1/2015 che gli ha liquidato Euro 220.000 per le citate funzioni;

2. ha premesso il tribunale che il concordato preventivo con era stato omologato, nonostante il ricorrente – nominato nella fase di osservazione anteriore alla proposizione di piano e proposta e poi confermato con l’apertura – avesse dato parere positivo e ricorresse il voto favorevole dei creditori;

3. il tribunale ha ritenuto che: a) non era stato realizzato alcun attivo, così difettando il presupposto del D.M. n. 30 del 2012, art. 1; b) poteva nel caso farsi applicazione del criterio di temperamento dell’art. 5 D.M. cit., avendo riguardo all’attività effettivamente prestata, e per essa la verifica di quanto proposto nel piano nonchè il limitato tempo delle funzioni; c) valore determinante risiedeva nella ragione di inammissibilità del concordato operata dal tribunale, rispetto al parere del commissario invece positivo;

4. il ricorrente deduce in due motivi: a) la violazione del D.M. n. 30 del 2012, art. 5 avendo il tribunale circoscritto la liquidazione ad una somma che non tiene conto di attivo e passivo come emergono dall’inventario, evitando di aderire al criterio proposto dall’istante e pari al quinto di tale parametro minimo, mentre la motivazione non dà conto della grandezza della procedura (oltre 500 mila dollari di attivo e 1 miliardo di dollari di passivo) e dell’impegno profuso; b) la

violazione del D.M. n. 30 del 2012, art. 4 avendo il tribunale omesso di aggiungere al compenso la determinazione del rimborso a forfait sulle spese generali nella misura del 5% dovuto; la società si è costituita con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. il primo motivo è fondato; premette il Collegio che l’impugnazione censura il provvedimento di liquidazione del compenso di un commissario giudiziale cessato dalla carica anticipatamente, per non prosecuzione del concordato preventivo non liquidatorio, non giunto all’omologazione, a seguito di decreto di inammissibilità, pur dopo la votazione dei creditori; sul punto, il D.M. 25 gennaio 2012, n. 30 individua all’art. 5 l’ipotesi del concordato con “forme di liquidazione dei beni” (comma 1) e le “procedure…diverse” (comma 2) fissando i parametri di commisurazione del compenso in attivo realizzato e passivo inventariato e, rispettivamente, attivo e passivo risultanti dall’inventario; elementi comuni sono la determinazione dei compensi secondo le percentuali dell’arti, l’estensione retributiva anche all’attività post omologazione e il minimo tariffario di cui all’art. 4, comma 1;

2. per il caso di cessazione anticipata dalla carica, lo stesso art. 5, comma 5 prevede che ove tale circostanza si dia “prima della chiusura delle operazioni”, fermo il principio della liquidazione al termine della procedura, la determinazione del compenso debba avvenire “secondo i parametri fissati, rispettivamente dai commi 1, 2 e 3 del presente articolo e conformemente ai criteri previsti dall’art. 2, comma 1”; ciò implica che il criterio di riferimento è complesso, in quanto i parametri da utilizzare sono gli stessi, ma si applica ad essi il criterio di contemperamento che impone sia “tenuto conto dell’opera prestata e in applicazione di criteri di cui al R.D. 16 marzo 1942, n. 267 e successive modificazioni, art. 39, comma 3”;

3. nel caso di specie, non venendo in essere una vicenda di successione di più professionisti nel medesimo incarico (posto che il primo è stato sostituito dall’attuale ricorrente già in virtù di una rinuncia iniziale, nè la circostanza è comunque stata palesata in questi termini di frazionamento del loro operato), lo scrutinio di verifica della pronuncia del tribunale muove dal riscontro della considerazione dell’opera prestata in necessario raccordo con i valori-base dell’art. 1 D.M. citato; a ciò va aggiunta la pacifica operatività, proprio per la eventualità della cessazione anticipata dalla carica, di una regola di possibile diminuzione del compenso anche rispetto al minimo determinato sulla base dei parametri di applicazione; il principio si evince già dalla previsione dell’art. 4, comma 1 che consente, in generale, di flettere la liquidazione al di sotto del minimo tariffario proprio nell’ipotesi dell’art. 2, comma 1, che infatti la esplicita addirittura con riguardo al cd. compenso di sussistenza ivi fissato in valore nominale; d’altronde, la sostanziale non difformità dei riferimenti e salvi gli aggiornamenti percentualistici rispetto alla precedente normativa del D.M. 28 luglio 1992, n. 570, permette di richiamare l’indirizzo seguito sotto l’egida dell’allora vigente disciplina, per cui “in tema di liquidazione del compenso al commissario giudiziale del concordato preventivo, il D.M. 28 luglio 1992, n. 570, art. 5, comma 4, nello stabilire che, qualora il commissario cessi dalle funzioni prima della chiusura delle operazioni, il compenso è liquidato, secondo i criteri fissati, “tenuto conto dell’opera prestata”, attribuisce al giudice il potere discrezionale di liquidare un compenso inferiore ai minimi risultanti dall’applicazione dei criteri fissati dal comma 1 della norma in commento, nel caso in cui il commissario stesso non svolga la sua attività per l’intero corso della procedura, sia per effetto della sua sostituzione, sia perchè non venga completata la procedura medesima” (Cass. 14581/2010, 13336/2013);

4. il Collegio rileva che, con riguardo ad entrambi i profili di censura, da un lato il decreto omette qualsivoglia riferimento parametrico sia all’attivo che al passivo, così impedendo di comprendere in quali termini una reale commisurazione a quei valori sia stata computata e, dall’altro, lo scarno richiamo alla sola categoria della “attività effettivamente prestata”, non altrimenti esplicitata, non riassume una motivazione vera e propria; nè basta, si aggiunge, il richiamo ad altri fattori pur astrattamente idonei ad integrare un apprezzamento dell’operato del commissario giudiziale, quali il tempo (in sè la durata di 14 mesi alle soglie dell’omologazione non dà conto della relazione di tale fattore con la complessità della procedura e la tipologia di gestione esercitata dal professionista) ovvero le ragioni della finale inammissibilità (risultando incomprensibile il valore, se tale, del contrasto tra il parere positivo del commissario giudiziale e la pronuncia di non omologazione, ove il tribunale non metta in evidenza il nesso tra le due circostanze o l’ipotesi di sovrapposizione di istruttoria officiosa sulle attività di relazione e rendicontazione del commissario al tribunale stesso e ai creditori);

5. nè il decreto impugnato può dirsi aver fatto richiamo ad indicatori specifici di motivazione propri di un atto presupposto, benchè potenzialmente declinabili in modo sintetico e con riguardo eventuale a puntuali circostanze riferite nell’istanza dell’interessato e per relationem richiamabili, nella specie però prive di ogni menzione e dunque offrendo un quadro giustificativo del tutto apparente (Cass. 3819/2020); tale vizio ricorre dunque ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 quando la pronuncia “benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass. 13977/2019);

6. va pertanto assicurata continuità al principio, cui si atterrà il giudice del rinvio, per cui – come deciso in tema di compenso al curatore e tuttavia con presidio identico ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – “il decreto di liquidazione del compenso… deve essere specificamente motivato in ordine alle specifiche opzioni discrezionali adottate dal giudice di merito così come demandategli dall’art. 39 L. Fall. e dalle norme regolamentari ivi richiamate… con conseguente nullità del decreto predetto (qualora lo stesso risulti del tutto privo di motivazione ovvero corredato di parte motiva soltanto apparente), denunciabile con ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost.. Peraltro, la motivazione può essere anche implicita, ossia integrata dal contenuto dell’istanza e dai relativi allegati” (Cass. 10353/2005), ma con richiami espliciti ai parametri applicati; non basta invero il mero richiamo all’istanza del professionista, se privo dei criteri in concreto adottati (Cass. 2210/2008), “risultando altrimenti nullo il decreto di liquidazione” (Cass. 19053/2017 e 16856/2017; conf. Cass. 31776/2018, 3871/2020) e così Cass. 3308/2000 ha precisato che anche il provvedimento di liquidazione del compenso al commissario giudiziale “ove ometta di motivare la opzione discrezionale che quella disciplina rimette al giudice entro limiti di valore – minimo o massimo – rapportati all’ammontare di attivo e passivo registrato nella procedura e come risultante dall’inventario redatto… è soggetto a cassazione ove impugnato in sede di legittimità ex art. 111 Cost.”;

7. il secondo motivo di ricorso è fondato, posto che, ai sensi dell’art. 4, comma 2, richiamato dal D.M. n. 30 del 2012, art. 5, comma 3 e circoscrivendo la enunciazione della norma violata alla parte provvedimentale oggetto di censura, il decreto non permette di ravvisare il rispetto della prescrizione additiva ivi prevista, secondo cui all’incaricato “spetta, inoltre, un rimborso forfettario delle spese generali in ragione del 5% sull’importo del compenso liquidato ai sensi degli artt. 1, 2, 3 e del comma 1 del presente articolo”; la liquidazione omnicomprensiva, per come fissata dal tribunale, e al di là della mancata indicazione della parte relativa agli accessori spettanti per legge (sul piano tributario e degli oneri previdenziali), non consente invero di ravvisare comunque l’ottemperanza alla norma, non solo per l’omissione di una voce ad essa corrispondente, ma altresì per l’impossibilità oggettiva di ricavare l’eventuale inclusione di tale rimborso all’interno dell’unico compenso;

8. il ricorso va, pertanto, accolto, con cassazione del decreto impugnato e rinvio al medesimo tribunale, in diversa composizione, anche per le spese del presente procedimento.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa e rinvia al Tribunale di Torre Annunziata, in diversa composizione, anche per le spese del procedimento.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2020

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