Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26894 del 22/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 22/10/2019, (ud. 28/05/2019, dep. 22/10/2019), n.26894

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 23815 del ruolo generale dell’anno 2012

proposto da:

S.M.A.I. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dagli Avv.ti Carlo Carrozza e Vincenzo

Minnella per procura speciale allegata al ricorso, elettivamente

domiciliata in Roma, via Gregorio VII, n. 508, presso lo studio

degli Avv.ti Serena Raffaelli e Francesca Calabria;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore generale pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliata;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria

Regionale della Sicilia, sezione staccata di Siracusa, n.

66/16/2012, depositata in data 5 marzo 2012;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 28 maggio 2019

dal Consigliere Giancarlo Triscari;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore

generale Sorrentino Federico, che ha concluso chiedendo il rigetto

del ricorso;

udita per l’Agenzia delle entrate l’Avvocato dello Stato Francesca

Subrani.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Dalla esposizione in fatto della pronuncia del giudice di appello si evince che: l’Agenzia delle entrate ha emesso nei confronti di S.M.A.I. s.r.l un avviso di accertamento con il quale ha contestato la indebita fruizione di un credito Iva relativo a due fatture relative all’acconto del corrispettivo dovuto in favore della società Co.In.Si. s.r.l. per effetto del contratto di prestazione di servizi dalle stesse sottoscritto con il quale quest’ultima si era obbligata a gestire il parco automezzi ed il personale della ricorrente; in particolare, la pretesa è fondata sulla circostanza che, poichè la società Co.In.Si. s.r.l. non ha ricevuto il pagamento dell’acconto di cui alle fatture ed ha, pertanto, emesso la nota di credito, la contribuente S.M.A.I. s.r.l., pur avendo contabilizzato le fatture di acconto, non ha provveduto a riportare la nota di credito a storno degli acconti, continuando, quindi, a fruire dell’Iva addebitata nelle fatture in detrazione nelle liquidazioni mensili di ottobre e dicembre 2006 e utilizzando in compensazione l’Iva anche nei mesi successivi; avverso il suddetto atto impositivo S.M.A.I. s.r.l. ha proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Siracusa, che lo ha accolto; avverso la suddetta pronuncia ha proposto appello l’Agenzia delle entrate.

La Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Siracusa, ha accolto l’appello, in particolare ha ritenuto che: non era corretto il riferimento operato dai giudici di primo grado alla previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, comma 3, in quanto nella vicenda in esame doveva tenersi conto del fatto che le parti avevano inserito nel contratto una clausola risolutiva espressa, sicchè doveva, piuttosto, trovare applicazione la previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, comma 2, che disciplina le variazioni che dipendono dalla nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili ovvero dal mancato pagamento di quanto dovuto nei casi espressamente previsti; la suddetta previsione normativa dispone che le variazioni devono essere registrate a norma del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 23,24 e 25, e che le conseguenti risultanze in ordine alla debenza e detrazione dell’Iva siano inserite nella dichiarazione mensile o trimestrale che segue l’intervenuta registrazione; nel caso di specie, la nota di credito assumeva la valenza di dichiarazione espressa di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa, sicchè il contratto si era risolto di diritto, con conseguente applicazione delle previsioni normative sopra indicate e, pertanto, la contribuente avrebbe dovuto annotare la variazione nei termini indicati ed entro il termine della liquidazione periodica ovvero di quella annuale.

Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso SMAI s.r.l. affidato a un unico motivo di ricorso, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 23,24,25 e 26, commi 2 e 3.

In particolare, parte ricorrente ritiene che non correttamente la sentenza censurata ha ritenuto che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, comma 2, disciplina non solo le modalità di correzione dell’imposta già emessa dal prestatore ma anche il termine entro cui il cessionario deve provvedere ad inserire le risultanze in ordine alla debenza e alla detrazione dell’imposta nella dichiarazione Iva mensile o trimestrale che segue l’intervenuta registrazione, posto che, invece, in mancanza di una espressa previsione normativa, dovrebbe trovare applicazione la previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1.

Inoltre, evidenzia che, nella fattispecie, diversamente da quanto ritenuto dal giudice del gravame, la volontà della società Co.In.Si. s.r.l. di avvalersi della clausola risolutiva espressa, contenuta nel contratto, non era stata formalmente comunicata alla ricorrente, non potendosi attribuire tale valore alla nota di credito, non essendo stata questa ricevuta dal destinatario.

Infine, viene censurata la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che, ai fini della individuazione del termine entro cui la ricorrente avrebbe dovuto registrare la nota di credito, trova applicazione la previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 25, atteso che la norma troverebbe applicazione solo nei confronti del prestatore del servizio, mentre per essa, quale committente, verrebbe in considerazione unicamente il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 23, sicchè, non essendo stata portata a conoscenza della ricorrente la nota di credito, non potrebbe dirsi decorso il termine indicato dalla suddetta previsione.

Il motivo è infondato.

Il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, comma 2, prevede, nel testo applicabile ratione temporis, che “Se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli artt. 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose o in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’art. 19 l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’art. 25. Il cessionario o committente, che abbia già registrato l’operazione ai sensi di quest’ultimo articolo, deve in tal caso registrare la variazione a norma dell’art. 23 o dell’art. 24, salvo il suo diritto alla restituzione dell’importo pagato al cedente o prestatore a titolo di rivalsa”.

Il giudice del gravame ha ritenuto che nella fattispecie sussistessero i presupposti della risoluzione di diritto del contratto per essersi la società Co.In.Si. s.r.l. avvalsa della clausola risolutiva espressa ed avere emesso la nota di credito al fine di annullare gli effetti ai fini Iva della fattura emessa in favore della ricorrente.

In primo luogo, va osservato che la previsione normativa in esame dispone in ordine al diritto del prestatore di servizio di potere portare in detrazione l’Iva riportata nella fattura in favore del proprio committente quando viene meno la ragione giustificativa dell’emissione della fattura, in particolare del titolo negoziale.

Non correttamente, quindi, parte ricorrente fa richiamo alla previsione generale di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1, che è citata nell’art. 26, comma 2, al solo fine di riconoscere al prestatore di servizio, nel caso in cui è venuto meno il titolo negoziale sulla cui base era stata emessa la fatture, il diritto alla detrazione dell’Iva.

In secondo luogo, l’art. 26, comma 2, impone al committente di provvedere alla registrazione della variazione a norma dell’art. 23 e 24, e fa salvo il suo diritto alla restituzione dell’importo pagato al prestatore a titolo di rivalsa.

Il riferimento alla previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 23, quindi all’obbligo di registrazione della variazione nel registro delle fatture emesse, ha la funzione di neutralizzare la registrazione dallo stesso compiuta nel registro degli acquisti a norma del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 25, con la evidente finalità di rendere contabilmente evidente il venire meno del diritto alla detrazione di cui alla fattura registrata ai sensi dell’art. 25.

Il meccanismo contabile configurato dalla previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, comma 2, mira, tra due soggetti passivi che non soggiacciono con riferimento alla medesima operazione a limitazioni del diritto alla detrazione, ad annullare, da un lato, l’originario debito di imposta del soggetto attivo dell’operazione e, dall’altro, l’originaria detrazione operata dal soggetto passivo. In capo al primo, a seguito dell’emissione della nota di variazione, sorge il diritto a detrarre dall’imposta dovuta, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, un importo pari a quello a suo tempo annotato a debito nel registro delle fatture di cui all’art. 23 ed oggetto della variazione; il secondo, al quale spettava il diritto alla detrazione per avere annotato a suo tempo nel registro degli acquisti l’Iva addebitatagli a titolo di rivalsa, è tenuto a compiere l’operazione inversa.

Pertanto, il cessionario, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 23, è tenuto ad annotare, entro quindici giorni, la nota di credito ricevuta dal prestare del servizio e provvedere, correlativamente, a farne specifica indicazione nella successiva liquidazione, al fine di non avvalersi, illegittimamente, del credito di imposta conseguente alla precedente emissione in proprio favore della fattura originaria.

Sotto tale prospettiva, correttamente il giudice del gravame ha ritenuto che la società contribuente era tenuta ad esporre il debito entro il termine della liquidazione periodica ovvero di quella annuale, in quanto si rende necessario che il cessionario, in favore del quale è stata emessa una fattura sulla base di un presupposto negoziale la cui validità o i cui effetti sono venuti meno, non si avvalga del diritto alla detrazione dell’imposta, e ciò deve avvenire con la specifica annotazione in data precedente all’annotazione periodica e comunque entro il termine di presentazione della dichiarazione annuale relativa all’anno di ricezione della fattura e con riferimento al medesimo anno, al fine di non procedere alla detrazione dell’imposta, essendo tenuto ad eliminare gli effetti della detrazione già contabilizzata riversando all’Erario l’imposta in precedenza detratta.

Nè è fondata la ragione di censura relativa alla mancata comunicazione formale della nota di credito da cui discenderebbe la non sussistenza di una dichiarazione della società Co.In.Si. s.r.l. finalizzata ad avvalersi della clausola, risolutiva espressa.

Va osservato, a tal proposito, che parte ricorrente non contesta la circostanza che la controparte aveva inteso avvalersi della clausola risolutiva espressa mediante la nota di credito, ma solo il fatto che la volontà di renderla operativa non era stata alla stessa formalmente comunicata.

La stessa, in particolare, afferma che la nota di credito può infatti costituire idoneo strumento attraverso il quale l’emittente può manifestare la volontà di avvalersi della clausola risolutiva, a condizione che sia effettivamente ricevuta dal suo destinatario. Così delimitata la questione, la stessa, tuttavia, è inammissibile in questa sede.

E’ certo, infatti, che parte ricorrente ha avuto conoscenza della nota di credito, tanto che, sebbene tardivamente, la stessa ha provveduto a riportare la nota di credito nel mese di ottobre 2007. Con la presente ragione di censura viene, in realtà, prospettata una questione di merito, relativa alla decorrenza del momento di conoscenza della nota di credito, profilo solo genericamente prospettato in questa sede, senza alcuna allegazione e specificazione dell’esatto momento in cui la ricorrente ha avuto formale conoscenza della nota di credito e degli atti difensivi in cui è stata evidenziata la circostanza in esame.

In conclusione, il motivo di ricorso è infondato, con conseguente rigetto e condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio in favore della controricorrente.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente che si liquidano in complessive Euro 13.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 28 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2019

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