Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26893 del 22/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 22/10/2019, (ud. 29/04/2019, dep. 22/10/2019), n.26893

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11686/2013 R.G. proposto da:

C.D., rappresentato e difeso dall’avv. Mario Girardi del

Foro di Napoli, presso il cui studio sito in Roma, Via Aurelia n.

353 è elettivamente domiciliato;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– resistente –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania n. 219/23/2012, pronunciata il 2.10.2012 e depositata il

25.10.2012.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29.4.2019 dal Consigliere Dott. Giuseppe Saieva;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale, Dott. De Augustinis Umberto, che ha concluso per il

rigetto del ricorso;

Sentito l’Avvocato dello Stato, Alfonso Peluso che ha chiesto il

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza n. 219 del 2.10.2012 (depositata il 25.10.2012) la Commissione tributaria regionale della Campania, rigettava l’appello proposto da C.D. confermando la sentenza n. 92/5/2011 della Commissione tributaria provinciale di Caserta che aveva a sua volta respinto il ricorso del contribuente avverso l’avviso di accertamento emesso per IRPEF e addizionali 2005 dall’Agenzia delle Entrate di Caserta, che ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4 e ss (redditometro) e del D.M. 10 settembre 1992 e succ. modificazioni e integrazioni, aveva accertato, un reddito di 68.516,00 Euro, da cui maggiori imposte IRPEF e Addizionali per complessivi 21.042,00 Euro.

2. Osservava in particolare la C.T.R. che gli elementi acquisiti dall’Ente impositore consentivano di presumere una maggiore potenzialità reddituale del contribuente il quale dal canto suo non era stato in grado di assolvere l’onere probatorio di contrastare le pretese creditorie portate dall’atto impositivo.

3. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il contribuente deducendo tre motivi.

4. L’Agenzia delle entrate, ritualmente intimata, non ha presentato alcun controricorso e si è costituita ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ex art. 370 c.p.p..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 5; violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 6, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, dell’art. 115 e 116 c.p.c.”, lamentando che, in relazione agli elementi presuntivi formulati dall’ufficio aveva fornito validi elementi idonei a contrastare l’assunto dell’ente impositore, ma la C.T.R. non aveva tenuto alcun conto di tali elementi, fornendo una motivazione lacunosa e del tutto insufficiente.

1.2. Detto motivo risulta inammissibile, non conformandosi allo schema normativo del nuovo vizio “motivazionale”, quale risultante a seguito delle modifiche introdotte con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134, pur trattandosi di sentenza depositata il 25.10.2012, e, pertanto, in epoca successiva alla data di entrata in vigore (11.9.2012) della novella legislativa. Al riguardo, le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014, hanno precisato che l’art. 360 c.p.c., n. 5, come riformulato a seguito dei recenti interventi, “introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia)”; con la conseguenza che “nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’artt. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce “omessa pronuncia su alcuni motivi del gravame con violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ex art. 360 c.p.c., n. 4; violazione e falsa applicazione dell’art. 112 del c.p.c.”, lamentando che, “ad eccezione della questione attinente la superficie dell’abitazione principale, tutte le altre richieste sono rimaste completamente ignorate e quindi prive di qualsivoglia pronunciamento da parte della C.T.R. che, in “patente violazione dell’art. 112 c.p.c”, nulla avrebbe detto “in merito all’eccepito difetto e carenza di motivazione dell’atto impositivo; parimenti senza risposta sarebbe rimasto il motivo di doglianza riguardante l’abitazione secondaria; il computo delle rate di mutuo e la loro incidenza sul calcolo del reddito presunto; la richiesta di esclusione degli importi connessi all’acquisto dell’autovettura (stante la strumentalità della stessa e l’acclarato non versamento di alcune rate di finanziamento nel 2009) ed infine la richiesta di riduzione del reddito sintetico accertato tenuto conto della natura meramente presuntiva dell’accertamento e l’entità dei redditi, anche pregressi, dichiarati dal contribuente”.

2.2. Anche detto motivo si appalesa inammissibile poichè, pur se rubricato come volto a censurare violazioni di legge, è chiaramente finalizzato ad ottenere un riesame del merito della controversia precluso a questa Corte. Le doglianze del ricorrente si esauriscono in realtà in una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione della decisione impugnata, dirette a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al Giudice del merito, che ha ampiamente e correttamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni del proprio convincimento.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 c.p.c., n. 3; violazione e falsa applicazione degli artt. 3,53 e 111 Cost., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, degli artt. 112,115,116 e 132 c.p.c., del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 e del D.M. 10 settembre 1992”, lamentando che la C.T.R. con la sentenza impugnata avrebbe “violato tutte le norme sopra richiamate, posto il difetto e carenza di motivazione della stessa, il mancato pronunciamento su tutte le richieste e le questioni sottoposte al suo esame, l’omessa o erronea valutazione delle eccezioni e prove offerte dal ricorrente, nonchè per applicazione delle disposizioni e presunzioni desumibili, dal del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, e dal D.M. 10 settembre 1992, in modo avulso dalla reali potenzialità reddituali del contribuente (così come risultavano dal quadro fattuale e giuridico del contribuente) e, dunque, anche in maniera non conforme al dettato Costituzionale, con particolare riferimento al principio dell’effettiva capacità contributiva”.

3.1. Detto motivo si appalesa parimenti inammissibile per difetto di specificità, in quanto le censure del contribuente si esauriscono nella mera prospettazione di una pluralità di questioni precedute dalla elencazione delle norme che si assumono violate e dal rilievo della sussistenza di vizi motivazionali.

3.2. Invero, il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità (art. 366 c.p.c.), l’indicazione dei motivi per i quali si richiede la cassazione; motivi, che per costante giurisprudenza devono avere i caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata.

3.3. Le formulazioni della specie costituiscono, viceversa, da un lato, una negazione della regola di chiarezza e dall’altro, un tentativo di affidare a questa Corte il compito di enucleare dalla mescolanza delle argomentazioni, dei richiami ai motivi d’appello e dei richiami alla sentenza impugnata le parti concernenti le separate censure.

3.4. Infatti, come si evince dal numero di coesistenti doglianze, ritenere ammissibile il ricorso significherebbe demandare a questa Corte il compito di prescegliere, all’interno di una narrazione pur sempre unitaria, quali argomentazioni supportino ogni singola doglianza; ma ciò è del tutto incompatibile con la disposizione dell’art. 366 c.p.c. in quanto affiderebbe al giudice di legittimità la facoltà di integrare i motivi di gravame del tutto precluso dalla legge.

3.5. Come già affermato più volte da questa Corte (v. Cass. n. 828 del 2007), quando nel ricorso per cassazione è denunziata violazione e falsa applicazione di norme di diritto, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti, tese a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità.

4. Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese di giudizio in favore dell’Agenzia delle Entrate che liquida in Euro 2.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 29 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2019

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