Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26892 del 26/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 26/11/2020, (ud. 27/10/2020, dep. 26/11/2020), n.26892

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36652-2018 proposto da:

SIENA NPL 2018 SRL, rappresentata da JULIET SPA, in persona del

Procuratore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato ANDREA DE ROGATIS;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SRL, in persona del Curatore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO VANNELLI;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di AREZZO, depositato il 07/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO

CAMPESE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto del 7 novembre 2018, il Tribunale di Arezzo ha respinto l’opposizione allo stato passivo del fallimento della (OMISSIS) s.r.1. con cui la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. aveva lamentato la mancata insinuazione (anche) del proprio credito di Euro 328.451,78, invocato quale residuo relativo ai contratti di mutui oro ivi specificamente indicati e quantificato al netto dei recuperi conseguiti dall’escussione dei pegni costituiti, con vincolo in suo favore, il 27 maggio 2009 ed il 7 luglio 2010.

1.1. In particolare, dopo aver spiegato le caratteristiche di tali contratti, quel tribunale ha ritenuto la documentazione prodotta dall’opponente (certificazione ai sensi dell’art. 50 TUB) “assolutamente inidonea” a dimostrarne il preteso credito, posto che: i) “a differenza che negli ordinari contratti di mutuo, nei quali figurano la somma oggetto di prestito, gli interessi pattuiti ed il piano di ammortamento, (….), in questo tipo di prestiti è del tutto sconosciuto il valore dell’oro sul quale, giorno per giorno, sono stati applicati gli interessi pattuiti nel contratto originario e nelle singole proroghe, così come il valore dell’oro al momento dello scioglimento del rapporto contrattuale”; ii) “MPS ha prodotto solo in minima parte la documentazione negoziale: in particolare, mancano numerose proroghe intervenute nel corso dei rapporti, e non è quindi possibile sapere quale tasso di interesse annuo sia stato di volta in volta pattuito”. Ha concluso, pertanto, affermando che, “a fronte della contestazione della curatela”, la Banca “ha omesso di dare dimostrazione della consistenza del proprio credito, senza che tale prova possa essere in alcun modo surrogata dal certificato ex art. 50 TUB, di unilaterale produzione e nel quale la banca avrebbe potuto indicare qualsiasi cifra”.

2. La Siena NPL 2018 s.r.l., subentrata, nei rapporti predetti, alla Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. per effetto di operazioni di cartolarizzazione, propone, tramite la procuratrice speciale Juliet s.p.a., ricorso per cassazione avverso il menzionato decreto, affidandolo a due motivi, cui resiste, con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria ex art. 380-bis c.p.c., la curatela del fallimento (OMISSIS) s.r.l..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:

I) “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), con riferimento all’art. 112 c.p.c.”, per avere il tribunale aretino deciso la causa sulla base di un’eccezione non proposta dalla curatela ed estranea al dibattito processuale, così superando i limiti della causa petendi e del petitum inerenti la controversia. Si assume che il giudice a quo, respingendo l’opposizione per la ritenuta inidoneità della documentazione prodotta a dimostrare il reddito invocato, non aveva “correttamente interpretato le contestazioni sollevate dalla curatela, attribuendo ad esse un significato ed una valentia che non contenevano e decidendo, così, sulla base di un tema di indagine in concreto non prospettato”;

II) “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) con riferimento all’art. 2697 c.c.”, laddove il menzionato tribunale aveva considerato la Banca gravata dell’onere di dimostrare le movimentazioni relative ai contratti di mutui oro suddetti. Si sostiene che, in realtà, la creditrice doveva solo provare la fonte del suo diritto ed allegare l’inadempimento della debitrice, mentre quest’ultima avrebbe dovuto documentare il fatto estintivo dell’altrui pretesa ovvero l’avvenuto adempimento.

2. Il primo motivo non merita accoglimento.

2.1. Esso ascrive al tribunale un “vizio di ultrapetizione o di extrapetizione” per aver deciso la controversia pronunciando su un’eccezione asseritamente non proposta dalla curatela (cfr. pag. 11 dell’odierno ricorso). La prospettata violazione dell’art. 112 c.p.c., allora, doveva contestarsi ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non con la denuncia di violazione di norme di diritto sostanziale.

2.1.1. E’ noto, peraltro, che, ai fini dell’ammissibilità del (motivo di) ricorso per cassazione, non costituisce condizione necessaria la corretta menzione dell’ipotesi appropriata, tra quelle in cui è consentito adire il giudice di legittimità, purchè si faccia valere un vizio della decisione astrattamente idoneo ad inficiare la pronuncia (cfr. Cass. n. 23381 del 2017; Cass., SU., n. 17931 del 2013).

2.1.2. Anche ragionando così, la censura in esame non merita condivisione, atteso che: i) la stessa ricorrente riferisce che la curatela fallimentare, costituendosi in sede di opposizione, aveva “contestato” quanto dedotto dalla Banca assumendo, tra l’altro, che i documenti prodotti, anche in allegato, alle osservazioni al progetto di stato passivo, non sarebbero stati sufficienti “alla esatta individuazione del credito”: invero, non risultavano provate le movimentazioni relative al prestito d’uso di oro ed il curatore aveva negato l’ammissione dell’importo di 328.451,78 non rinvenendo agli atti “la documentazione legittimante la consistenza dichiarata del credito” (Dott., amplius, pag. 8 del ricorso). Tanto è confermato pure dal corrispondente contenuto della comparsa di risposta ivi depositata dalla menzionata curatela, oggi riprodotto nel suo controricorso (cfr. pag. 2 e ss.). Queste argomentazioni si traducevano in una contestazione circa il quantum della pretesa della Banca in relazione ai mutui oro di cui si discute, sicchè il tribunale doveva esaminarla perchè rientrante nel thema disputandum sottopostogli; ii) ove, poi, in via solo ipotetica, si fosse voluto ritenere incontroverso il quantum predetto malgrado le riportate argomentazioni della curatela, la correttezza dell’operato del tribunale aretino troverebbe conferma, comunque, nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui, “in tema di verificazione del passivo, il principio di non contestazione, che pure ha rilievo rispetto alla disciplina previgente quale tecnica di semplificazione della prova dei fatti dedotti, non comporta affatto l’automatica ammissione del credito allo stato passivo solo perchè non sia stato contestato dal curatore (o dai creditori eventualmente presenti in sede di verifica), competendo al giudice delegato (ed al tribunale fallimentare) il potere di sollevare, in via ufficiosa, ogni sorta di eccezioni in tema di verificazione dei fatti e delle prove” (cfr. Cass. n. 12973 del 2018; Cass. n. 19734 del 2017).

3. Il secondo motivo è parimenti infondato.

3.1. E’ innegabile che il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno oppure per l’adempimento deve soltanto documentare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, ovvero dell’avvenuto adempimento (cfr., ex multis, Cass., SU. n. 13533 del 2001; Cass. n. 22777 del 2018; Cass. n. 3015 del 2020, in motivazione). Peraltro, applicando questo principio all’ipotesi del creditore che invochi l’ammissione al passivo fallimentare in base ad un contratto di mutuo, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che egli è tenuto a provare l’esistenza del titolo, della sua anteriorità al fallimento e la disciplina dell’ammortamento, con le scadenze temporali e con il tasso di interesse convenuti, mentre il debitore mutuatario (e, per esso, il curatore) ha l’onere di dimostrare il pagamento delle rate di mutuo scadute prima della dichiarazione di fallimento, atteso che le rate successive, agli effetti del concorso, si considerano scadute alla data della sentenza dichiarativa, giusta l’art. 55, comma 2, l.fall.: non è, dunque, necessario, per l’accertamento del capitale residuo, provare la risoluzione del contratto, che rileva solo ai fini degli interessi di mora (di: Cass. n. 3015 del 2020; Cass. n. 16214 del 2015).

3.2. Nell’odierna fattispecie, però, va osservato, in via dirimente, che il tribunale toscano, dopo aver descritto le caratteristiche dei mutui oro allegati dalla Banca, spiegandone la differenza, in termini di documentazione dei crediti in base ad essi invocati, rispetto agli ordinari contratti di mutuo (“a differenza che negli ordinari contratti di mutuo nei quali figurano la somma oggetto di prestito, gli interessi pattuiti ed il piano di ammortamento, (….), in questo tipo di prestiti è del tutto sconosciuto il valore dell’oro sul quale, giorno per giorno, sono stati applicati gli interessi pattuiti nel contratto originario e nelle singole proroghe, così come il valore dell’oro al momento dello scioglimento del rapporto contrattuale”), ha pure specificato (cfr. pag. 4 del decreto impugnato) che “MPS ha prodotto solo in minima parte la documentazione negoziale: in particolare, mancano numerose proroghe intervenute nel corso dei rapporti, e non è quindi possibile sapere quale tasso di interesse annuo sia stato di volta in volta pattuito”: in ciò ha ravvisato “un ulteriore elemento di incertezza” dell’avvenuta quantificazione della pretesa della opponente, per poi concludere nel senso che, “a fronte della contestazione della curatela”, la Banca “ha omesso di dare dimostrazione della consistenza del proprio credito, senza che tale prova possa essere in alcun modo surrogata dal certificato ex ad. 50 TUB, di unilaterale produzione e nel quale la banca avrebbe potuto indicare qualsiasi cifra”.

3.2.1. Orbene, la censura in esame assume che la Banca avrebbe dovuto solo documentare la fonte del suo diritto ed allegare l’inadempimento della debitrice, mentre spettava a quest’ultima dimostrare il fatto estintivo dell’altrui pretesa ovvero l’avvenuto adempimento.

3.2.2. Tuttavia, anche ragionando così, la Banca medesima certamente avrebbe dovuto documentare adeguatamente i dedotti rapporti contrattuali per la loro intera durata: occorrevano, in altri termini, non solo i “contratti”, i “verbali di ricezione e consegna”, e le “fatture con indicato il controvalore rilevato secondo quanto previsto in contratto” (questo è quanto l’odierna ricorrente ha dichiarato essere stato allegato alla domanda di amissione al passivo e, poi, al ricorso in opposizione. Cr pag. 13 del ricorso), – il cui contenuto, peraltro, nemmeno è stato puntualmente riprodotto oggi in ricorso, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, Cass., SU, n. 34469 del 2019) – ma anche le “numerose proroghe intervenute nel corso dei rapporti”, di cui, invece, il tribunale ha verificato come omessa la relativa produzione, con conseguente impossibilità di “sapere quale tasso di interesse annuo sia stato di volta in volta pattuito”.

3.2.3. Ne deriva, allora, che, riguardando pure questa documentazione ulteriore alcuni elementi ricompresi tra i fatti costitutivi della domanda, il corrispondente onere probatorio (rectius: la produzione di quella documentazione) gravava sulla Banca stessa, sicchè la relativa inosservanza, accertata dal tribunale, non può che ripercuotersi in danno di quest’ultima.

4. Il ricorso va, dunque, respinto, restando le spese di questo giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza e liquidate come in dispositivo, altresì dandosi atto – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo gr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, e condanna la Siena NPL 2018 s.r.l., qui rappresentata da Juliet s.p.a., al pagamento delle spese del giudizio di legittimità sostenute dal Fallimento (OMISSIS) s.r.l., che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, il comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 27 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2020

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA