Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26890 del 22/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 22/10/2019, (ud. 05/04/2019, dep. 22/10/2019), n.26890

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO – Maria –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso iscritto al numero 26137 del ruolo generale dell’anno

2014, proposto da:

Aeroporti di Roma s.p.a. in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale a margine

del ricorso, dall’avv.to Enrico Pauletti, dall’avv.to Rosamaria

Nicastro, elettivamente domiciliata presso lo studio “Di Tanno e

Associati- Studio Legale Tributario”, in Roma, Via Giovanni

Paisiello n. 33;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del Direttore pro

tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte di cassazione, n.

21996/2013, depositata in data 25 settembre 2013, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 5

aprile 2019 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati Viscido

di Nocera;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Pedicini

Ettore che ha concluso per l’inammissibilità e, in subordine, per

l’infondatezza del ricorso;

udito per la società ricorrente l’avv.to Rosamaria Nicastro.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’Ufficio tecnico di Finanza dell’Agenzia delle dogane notificò in data 31 luglio 2007 ad Aeroporti di Roma s.p.a. (gestore dell’aeroporto di (OMISSIS) in forza di convenzione approvata con D.M. 1 luglio 1974 giusta L. n. 755 del 1973) l’atto di contestazione n. 910 del 27/7/07 con il quale era stata irrogata alla detta società la sanzione di Euro 636.665,52 per la sottrazione al regolare accertamento dell’imposta erariale di consumo sull’energia elettrica impiegata “direttamente” nel 2002 e per la quale la medesima aveva indebitamente fruito – non essendo titolare di stabilimento tecnicamente organizzato per l’esercizio di attività diretta alla produzione di beni – dell’esenzione prevista a favore dell’energia “utilizzata in opifici industriali aventi un consumo mensile superiore a 1.200.000 kWh” ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1995 (T.U.A.), art. 52, comma 2, lett. o-bis).

2. Avverso l’atto di contestazione di sanzioni n. 910 del 27/7/2007, la società contribuente propose ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma che, con sentenza n. 82/33/2009, lo accolse, decisione confermata dalla Commissione tributaria regionale del Lazio con sentenza n. 114/09/2010 di rigetto dell’appello dell’Ufficio.

3. Avverso la sentenza della CTR Lazio, l’Agenzia delle dogane ha proposto ricorso per cassazione e la società contribuente ricorso incidentale condizionato.

4. Con sentenza n. 21996/13 la Corte di cassazione ha accolto il ricorso principale dell’Agenzia nei sensi di cui in motivazione e ha rigettato il ricorso incidentale della società, con cassazione della sentenza impugnata e, decidendo nel merito, con rigetto del ricorso introduttivo della contribuente.

5. Avverso la richiamata sentenza della Corte di cassazione, Aeroporti di Roma s.p.a. propone ricorso per revocazione affidato a un motivo, cui resiste, con controricorso, l’Agenzia delle dogane.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso, Aeroporti di Roma s.p.a. denuncia l’errore revocatorio, ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, da parte di questa Corte nella sentenza n. 21996 del 2013 per essere quest’ultima- nel rigettare il motivo di ricorso incidentale con cui la società contribuente aveva dedotto l’illegittimità del provvedimento sanzionatorio n. 910 del 27/7/2007 per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2 – incorsa nella “svista percettiva” circa il contenuto di “fonti convenzionali”. In particolare, ad avviso della ricorrente, il mancato riconoscimento da parte di questa Corte dell’illegittimità del provvedimento sanzionatorio per violazione del principio del legittimo affidamento, sarebbe derivata da un'”errata lettura”: 1) degli artt. 4 e 11 Convenzione con l’UTF del 4 luglio 2002 (allegata al ricorso introduttivo) in forza dei quali veniva espressamente riconosciuta in capo ad ADR la fruibilità dell'”esenzione opificio” D.Lgs. n. 504 del 1995 (T.U.A.), ex art. 52, comma 2, lett. o-bis, con riferimento all’energia elettrica autoprodotta con gruppi elettrogeni di soccorso; 2) del Provvedimento n. 55368 del 5 settembre 2002 (ugualmente allegato al ricorso introduttivo) con cui l’UTF aveva riconosciuto ad ADR il diritto di beneficiare dell'”esenzione opificio” con riguardo all’energia acquistata sul mercato. Da qui la denuncia da parte della ricorrente dell’errore di fatto revocatorio in cui sarebbe incorsa questa Corte nell’escludere la sussistenza di un “fatto decisivo”, qual era il riconoscimento del diritto a fruire del regime di esenzione, la cui esistenza risultava incontrovertibilmente e immediatamente attestata dai suddetti atti di fonte erariale, rilevanti quantomeno con riferimento all’energia elettrica acquistata da ADR sul mercato e dalla stessa utilizzata “direttamente” per rendere il servizio aeroportuale, il che non avrebbe costituito oggetto di contestazione tra le parti, tanto più che, come riscontrato dai verificatori dell’Agenzia, ai fini del superamento della soglia di 1.200.000 Kwh al mese per fruire del regime di esenzione, la società non aveva alcuna necessità di cumulare l’energia utilizzata per “uso proprio” con quella asseritamente ceduta a terzi – come contestato dall’Agenzia- dal momento che l’ammontare dell’energia acquistata e dalla stessa direttamente impiegata era risultata pari a 10 milioni di Kwh al mese.

2. La complessiva censura così proposta si rivela inammissibile.

2.1. Occorre premettere che l’istanza di revocazione implica, ai fini della sua ammissibilità, un errore di fatto riconducibile all’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, che consiste in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso su cui il giudice si sia pronunciato. L’errore in questione presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, semprechè la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio (cfr, ex plurimis, Cass. civ. sentt. nn. 13915 del 2005 e 2425 del 2006, v. anche Cass. civ. SS.UU. sent. n. 9882 del 2001).

La Cassazione ha osservato che l’errore di fatto revocatorio deve risultare dagli atti o documenti della causa: “vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita. Tale genere di errore presuppone il contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti processuali, purchè, da un lato, la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione, e non di valutazione o di giudizio e, dall’altro, quella risultante dagli atti e documenti non sia stata contestata dalle parti” (per tutte Cass. SS.UU. n. 5303 del 1997; v. poi Cass. SS.UU. n. 561 del 2000; Cass. SS.UU. n. 15979 del 2001; Cass. SS.UU. n. 23856 del 2008; Cass. SS.UU. n. 4413 del 1016).

La Corte ha, quindi, evidenziato che “in generale l’errore non può riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche ovvero la valutazione e l’interpretazione dei fatti storici; deve avere i caratteri dell’assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti e i documenti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve essere essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione asseritamente erronea da parte del giudice e la decisione da lui emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l’errore la pronuncia sarebbe stata diversa” (tra le ultime v. Cass. n. 14656 del 2017).

Di conseguenza, “non è idoneo ad integrare errore revocatorio l’ipotizzato travisamento di dati giuridico-fattuali acquisiti attraverso la mediazione delle parti e l’interpretazione dei contenuti espositivi degli atti del giudizio, e dunque mediante attività valutativa, insuscettibile in quanto tale -quand’anche risulti errata – di revocazione” (Cass. n. 14108 del 2016; Cass. n. 13181 del 2013; da ultimo, nello stesso senso, Cass., sez. L, n. 8828 del 2017; Cass. n. 27570 del 2018).

2.2. Nella sentenza impugnata la Corte ha rigettato (punto 12) il motivo di ricorso incidentale con cui la società contribuente aveva dedotto l’illegittimità del provvedimento sanzionatorio n. 910 del 27/7/2007 per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, stante l’asserito affidamento della contribuente sulle fonti convenzionali regolatrici il rapporto tributario dalle quali si sarebbe evinto il diritto di ADR di beneficiare dell'”esenzione opificio” quantomeno con riguardo all’energia acquistata sul mercato e utilizzata per “usi propri”. Il che presuppone una valutazione da parte della Corte delle dette fonti ed esclude in radice l’astratta configurabilità della “svista percettiva” dedotta a fondamento dell’errore revocatorio (in tal senso, Cass. n. 10110 del 2017; Cass. n. 24116 del 2017). Nel denunciare “l’errata lettura” da parte della Corte degli atti di fonte erariale, la ricorrente ha, infatti, denunciato inammissibilmente un erroneo apprezzamento degli stessi. Invero, la Corte ha operato un apprezzamento delle fonti convenzionali operanti tra le parti, escludendone la valenza a fini esonerativi (punto 8) e richiamando, al riguardo, anche la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 23309 del 2011) in base alla quale non può parlarsi di affidamento della contribuente di fronte al concreto atteggiarsi dell’azione del fisco, non ravvisandosi l’apparenza di un’attività della P.A. in senso univocamente favorevole al contribuente desumibile da circostanze concrete e rilevanti e apparendo invece chiaramente contra legem il comportamento della contribuente (punto 12). Tanto più che l’esistenza o meno, nella specie, del diritto della ADR a fruire dell'”esenzione opificio” aveva costituito punto controverso oggetto del ricorso principale dell’Agenzia accolto dalla Corte, sul rilievo che-premessa la non riferibilità dell’esenzione dall’imposta erariale sull’energia elettrica impiegata direttamente, di cui all’art. 52 TUA, comma 2, lett. o-bis, al consumo complessivo di una pluralità di aziende benchè incluse nello stesso comprensorio industriale, occorrendo, invece, disaggregare, ai fini del riconoscimento del beneficio, i consumi mensili di ogni singola azienda- la ADR non avesse preventivamente denunciato l’assunzione della posizione di “fabbricante” ovvero di “officina di produzione” quanto all’energia somministrata a terzi, al fine di permettere la misurazione degli specifici consumi, con ciò incorrendo nell’illegittimo cumulo di consumi ai fini della indebita fruizione delle esenzioni e delle soglie di imposizione. Al riguardo, la Corte (punto 9) ha confermato la giurisprudenza secondo cui “incombe al soggetto che invoca esenzioni e agevolazioni la dimostrazione rigorosa dell’utilizzo di energia elettrica, secondo la regola generale per la quale spetta al contribuente che invochi il beneficio fiscale l’onere di provare l’esistenza dei presupposti richiesti; sicchè egli deve provare compiutamente il particolare uso dell’energia elettrica che giustifichi esenzioni e/o nonchè la quantità di energia impiegata” (Cass. n. 20679 del 2008).

3. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.

4. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna Aeroporti di Roma s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento, in favore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del Direttore pro tempore, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2019

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