Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2689 del 05/02/2020

Cassazione civile sez. I, 05/02/2020, (ud. 01/10/2019, dep. 05/02/2020), n.2689

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19732/2018 proposto da:

N.L., elettivamente domiciliato in Roma Via Vigliena, 10 presso

lo studio dell’avvocato Malara Alessandro e rappresentato e difeso

dall’avvocato Di Punzio Ilaria, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma Via dei Portoghesi 12 presso

l’Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di Roma depositato il 31/5/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

01/10/2019 dal cons. PARISE CLOTILDE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto n. 7840/2018 depositato il 31-05-2018 il Tribunale di Roma ha respinto il ricorso di N.L., cittadino del Senegal, avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il Tribunale ha ritenuto che fosse non del tutto credibile la vicenda personale narrata dal richiedente, il quale riferiva di essere fuggito perchè in condizioni economiche estremamente precarie. In particolare, N.L. dichiarava di essere sposato con una sua connazionale, dalla quale ha avuto una figlia, e di aver intrapreso il viaggio per sopperire alle gravi difficoltà economiche della sua famiglia. Il Tribunale ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione generale del Senegal, descritta nel decreto impugnato, con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che resiste con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo il ricorrente lamenta “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in correlazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Secondo il ricorrente, il Tribunale ha omesso qualsiasi valutazione e motivazione sul suo stato di “fragilità individuale”, trascurando lo stato di salute psichica in cui il ricorrente stesso versa, nonchè contravvenendo ai principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte, come da sentenza che richiama (Cass. n. 4455/2018), in ordine alla necessità, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, di un accertamento della situazione di vulnerabilità personale.

2.Con il secondo motivo lamenta “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in correlazione all’art. 360, comma 1, n. 3”. A parere del ricorrente, il Tribunale ha erroneamente ritenuto che l’estrema situazione di povertà e la seria esposizione alla lesione del diritto alla salute, consequenziali al suo rientro nel paese di origine, non si configurino come condizioni sufficienti per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, sussumibili nella clausola aperta di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

3. I due motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.

3.1. Il ricorrente si duole, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, della mancata considerazione da parte del Tribunale dello stato di salute psichica in cui asserisce di versare, senza, tuttavia, precisare quando, come e dove il suddetto fattore di vulnerabilità sia stato allegato e senza il benchè minimo riferimento a documenti prodotti nel giudizio di primo grado o a elementi probanti in tal senso e acquisiti dal Tribunale.

E’ inammissibile ai sensi dell’art. 372 c.p.c. la produzione del documento allegato al ricorso a supporto del suddetto stato, atteso che è un certificato medico rilasciato il 26-6-2018, ossia di data successiva a quella del decreto impugnato.

Circa la situazione di estrema povertà nella quale il ricorrente verrebbe a trovarsi in caso di rimpatrio, allegata in termini del tutto generici e senza alcun profilo individualizzante, questa Corte ha chiarito che “La protezione umanitaria, nel regime vigente “ratione temporis”, tutela situazioni di vulnerabilità – anche con riferimento a motivi di salute da riferirsi ai presupposti di legge ed in conformità ad idonee allegazioni da parte del richiedente. Ne deriva che non è ipotizzabile nè un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, nè quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di ” estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico” (Cass. n. 3681/2019).

In definitiva, il ricorrente deduce genericamente la violazione di norme di legge, attraverso il richiamo alle disposizioni che assume disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta, quanto al giudizio di non vulnerabilità, inammissibilmente difforme da quella accertata nel giudizio di merito.

4. Alla stregua delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

5. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

6. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis ove dovuto (Cass. SU 20 settembre 2019, n. 23535).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite del presente giudizio, liquidate in Euro 2.100, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 1 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2020

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