Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26885 del 29/11/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 26885 Anno 2013
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: PETITTI STEFANO

sanzioni
amministrative

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:

ZAZZERO Esterina (ZZZ SRN 79T54 D708V) e LA ROSA Vincenzo
(LRS VCN 70E15 A339N),

rappresentati e difesi, per procura

speciale a margine del

ricorso, dall’Avvocato Itali

Ciccocioppo, elettivamente domiciliati in Roma, via

Giuliana n. 72, presso lo studio

della

dell’Avvocato Aldo

Simoncini;

– ricorrenti
contro
COMUNE DI PESCARA (00124600685), in persona del Sindaco pro

tempore, rappresentato e difeso, per procura speciale a
margine del

controricorso, dall’Avvocato Lorena Petaccia,

domiciliato In Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria
civile della Corte suprema di cassazione;

– controricorrente –

2‘2,
-45

Data pubblicazione: 29/11/2013

avverso la sentenza del Tribunale di Pescara n. 710 del
2011, depositata in data 12 maggio 2011.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 23 ottobre 2013 dal Consigliere relatore

sentito l’Avvocato Lorena Petaccia.
Ritenuto

che con ricorso depositato il 12 aprile 2009,

Zazzero Esterina e La Rosa Vincenzo proponevano opposizione
dinanzi al Giudice di Pace di Pescara al fine di vedersi
annullare il verbale emesso nei loro confronti dalla
Polizia Municipale di Pescara per violazione degli artt.
41, comma undicesimo, e 146, comma terzo, C.d.S.;
che in particolare, veniva contestato a La Rosa
Vincenzo, conducente del veicolo di proprietà della
Zazzero, di aver proseguito la marcia ed aver impegnato
l’intersezione stradale, nonostante il semaforo indicasse
luce rossa;
che il Giudice di Pace di Pescara accoglieva il
ricorso, asserendo che, non potendo il verbale fare piena
prova ex art. 2700 cod. civ. (poiché il fatto non era
avvenuto alla presenza degli agenti di polizia, ma presunto
da essi sulla base della mera successione di scansioni tra
opposte lanterne semaforiche), l’opposizione doveva essere
accolta in quanto sarebbe stata assente una prova idonea a

Dott. Stefano Petitti;

sostenere in termini di ragionevole certezza la
responsabilità del ricorrente;
che avverso la predetta sentenza, il Comune di Pescara
proponeva gravame, lamentando il mancato riconoscimento, da

da attribuire al contenuto del verbale della Polizia
Municipale e, di conseguenza, censurando una erronea
ammissione dei mezzi di prova; subordinatamente, denunciava
una errata valutazione delle risultanze istruttorie;
che si costituivano gli appellati, i quali contestavano
i motivi di gravame deducendo che i fatti in oggetto non
necessitavano di essere contestati mediante querela di
falso, in quanto non avvenuti alla presenza degli agenti,
ma da essi erroneamente dedotti;
che il Tribunale di Pescara accoglieva l’appello;
che secondo il giudice, al verbale in oggetto doveva
essere attribuita una fede privilegiata ai sensi dell’art.
2700 cod. civ., con la conseguenza che, anche nelle ipotesi
in cui i ricorrenti abbiano dedotto sviste o errori
percettivi da parte dei pubblici ufficiali verbalizzanti, è
necessario proporre querela di falso;
che per la cassazione di tale sentenza, Zazzero
Esterina e La Rosa Vincenzo hanno proposto ricorso, sulla
base di due motivi;

parte del giudice di primo grado, delle fede privilegiata

che con il primo motivo, si contesta la violazione
degli artt. 2700 e 2729 cod. civ., in quanto il Tribunale
non avrebbe colto che, ai sensi dell’art. 2700 cod. civ.,
il verbale di accertamento, quale atto pubblico, ha

fatti che il pubblico ufficiale attesta come percepiti
direttamente ed immediatamente, mentre nel caso di specie,
il transito con il semaforo rosso non era stato percepito
direttamente dagli agenti (come da loro ammesso nel corso
del giudizio di primo grado), bensì era stato da loro
dedotto in base ad alcune circostanze e presunzioni, la
veridicità delle quali poteva benissimo essere superata
fornendo prove idonee, senza la necessità di accedere al
procedimento di querela di falso;
che con il secondo motivo di ricorso, i sig.ri Zazzero
e la Rosa denunciano violazione degli artt. 2229, 2230,
2231 cod. civ., nonché degli artt. 82, 86, 90, 91 e 92 cod.
proc. civ., dell’art. 23 della legge n. 689 del 1981 e
degli artt. 1 e 5 del d.P.R. n. 633 del 1972, dolendosi del
fatto che il Tribunale di Pescara, relativamente al
giudizio di primo grado, abbia condannato gli appellati
soccombenti al pagamento, oltre che delle spese vive, dei
diritti e degli onorari, anche se l’Amministrazione
Comunale era stata in giudizio personalmente, senza
servirsi del ministero di un avvocato;

efficacia di piena prova, fino a querela di falso, dei

che il Comune di Pescara ha resistito con
controricorso;
che, essendosi ravvisate le condizioni per la
trattazione del ricorso in camera di consiglio è stata

civ., che è stata comunicata alle parti e al Pubblico
Ministero.
Considerato

che il relatore designato ha formulato la

seguente proposta di decisione:
«[(_)] Il primo motivo di ricorso è infondato.
Il Tribunale di Pescara ha ritenuto correttamente che al
verbale di accertamento fosse attribuita la fidefacienza
prevista dal’art. 2700 cod. civ. e che, quindi, esso
facesse prova di quanto in esso attestato fino a querela di
falso, la quale non era stata, nel caso di specie,
proposta.
In tal senso, il giudice d’appello si è attenuto al
principio stabilito dalle Sezioni Unite della Corte di
Cassazione (Cass. n. 17355 del 2009), secondo cui

”nel

giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione relativo
al pagamento di una sanzione amministrativa, è ammessa la
contestazione e la prova unicamente delle circostanze

di

fatto della violazione che non sono attestate nel verbale
di accertamento come avvenute alla presenza del pubblico
ufficiale o rispetto alle quali l’atto non è suscettibile

redatta relazione ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc.

di

fede privilegiata per una sua irrisolvibile

contraddittorietà oggettiva, mentre è riservata al giudizio
di querela di falso, nel quale non sussistono limiti di
prova e che è diretto anche a verificare la correttezza

l’esame di ogni questione concernente l’alterazione nel
verbale, pur se involontaria o dovuta a cause accidentali,
della realtà degli accadimenti e dell’effettivo svolgersi
del fatti”.
Tale principio assegna particolare rilievo alla questione
relativa all’efficacia probatoria delle attestazioni
contenute nel verbale di accertamento delle violazioni alle
norme del C.d.S., riguardanti i fatti oggetto di percezione
sensoriale del pubblico ufficiale che le abbia accertate.
Secondo quanto affermato dalle Sezioni Unite, la questione
relativa alla ammissibilità della prova contraria, senza la
necessità di accedere alla querela di falso, non va
condotta con riferimento alle circostanze di fatto della
violazione attestate nel verbale come percepite
direttamente ed immediatamente dal pubblico ufficiale ed
alla possibilità o probabilità di un errore nella loro
percezione, ma esclusivamente in relazione a circostanze
che esulano dall’accertamento, quali l’identificazione
dell’autore della violazione e la sua capacità o la
sussistenza dell’elemento soggettivo o di cause di

dell’operato del pubblico ufficiale, la proposizione e

esclusione della responsabilità, ovvero rispetto alle quali
l’atto non è suscettibile fede privilegiata per una sua
irrisolvibile oggettiva contraddittorietà (ad esempio, tra
numero di targa e tipo di veicolo al quale questa è

quelle relative alla mancata particolareggiata esposizione
delle circostanze dell’accertamento od alla non idoneità di
essa a conferire certezza ai fatti attestati nel verbale,
va invece svolta nel procedimento di querela di falso, che
consente di accertare, senza preclusione di alcun mezzo di
prova, qualsiasi alterazione nell’atto pubblico (pur se
involontaria o dovuta a cause accidentali) della realtà
degli accadimenti o del loro effettivo svolgersi ed il cui
esercizio è imposto dalla tutela della certezza
dell’attività amministrativa.
In conclusione, il motivo di ricorso non merita
accoglimento poiché nessuna censura si può muovere alla
impugnata sentenza laddove essa, conformandosi al su
esposto principio di diritto, afferma che la fede
privilegiata si estende a tutto quanto il pubblico
ufficiale affermi avvenuto in sua presenza, sicché anche
nel caso in cui si deducano errori od omissioni di natura
percettiva da parte del pubblico ufficiale stesso, risulta
necessario proporre querela di falso.
Il secondo motivo di ricorso è fondato.

attribuita). Ogni diversa contestazione, in esse comprese

Poiché, nel caso di specie, il Comune di Pescara, nel corso
del procedimento dinanzi al Giudice di

Pace, è

stato in

giudizio personalmente, tramite il Comandante della Polizia
Municipale e senza l’ausilio di un avvocato, risulta

amministrativa che ha emesso il provvedimento
sanzlonatorio, quando sta in giudizio personalmente o
avvalendosi di un funzionario appositamente delegato (come
è consentito dall’art. 23, quarto comma, della legge n. 689
del 1981), non può ottenere la condanna dell’opponente, che
sia soccombente, al pagamento del diritti: di procuratore e
degli onorari di avvocato, difettando le relative qualità
nel funzionario amministrativo che sta in giudizio, per cui
sono, in tal caso, liquidabili in favore dell’ente le
spese, diverse da quelle generali, che abbia concretamente
affrontato in quel giudizio e purché risultino da apposita
nota”

(Cass. n. 11389 del 2011; in senso conforme Cass. n.

2872 del 2007; Cass. n. 12232 del 2003).
In applicazione di tale principio, vanno dunque detratti
dalla condanna alle spese pronunciata dal Tribunale di
Pescara euro 200,00 per onorari e 210,00 per diritti (oltre
IVA e CAP), relativi al giudizio di primo grado.
Per questi motivi, si ritengono sussistenti le condizioni
per la trattazione del ricorso in camera di consiglio, ai
sensi dell’art. 375, n. 5), cod. proc. civ.»;

8

applicabile il principio secondo cui “l’autorità

che il Collegio condivide la proposta di decisione, non
apparendo le argomentazioni svolte dai ricorrenti nella
memoria depositata in prossimità dell’adunanza camerale
idonee ad indurre a diverse conclusioni;

impugnata emerge che nel verbale risultava accertato quanto
segue: «(-) proseguiva la marcia senza arrestarsi
nonostante il semaforo indicasse luce rossa (_)»;
che, dunque, se il Tribunale ha correttamente ritenuto
che il detto accertamento potesse essere contrastato solo
attraverso la proposizione della querela di falso, si deve
aggiungere che la prova testimoniale sulla detta
circostanza di fatto non avrebbe neanche potuto essere
ammessa nel giudizio di primo grado;
che pertanto il primo motivo di ricorso va rigettato,
mentre va accolto il secondo, con conseguente cassazione
del decreto impugnato in relazione alla censura accolta;
che tuttavia, non essendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel
merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., escludendo
dalla liquidazione delle spese effettuata dal Tribunale
l’importo indicato per diritti e per onorari, e quindi la
condanna alle spese, non risultando provato che il Comune
abbia sostenuto spese vive ai fini della difesa nel

che, in particolare, deve rilevarsi che dalla sentenza

giudizio di primo grado, spese peraltro non liquidate dalla
sentenza impugnata, sul punto non censurata;
che quanto alle spese del giudizio di legittimità, il
in considerazione del limitato

accoglimento del ricorso,

le stesse possano essere

compensate per intero tra le parti.
PER QUESTI MOTIVI

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie
il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione alla
censura accolta e, decidendo

nel merito, elimina dal

dispositivo della sentenza impugnata la condanna alle spese
del giudizio di primo grado; compensa per intero le spese
del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma,

nella camera di consiglio della

Sesta Sezione Civile – 2 della Corte suprema di C#ssazione,
il 23 ottobre 2013.

Collegio ritiene che,

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