Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26884 del 29/11/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 26884 Anno 2013
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: PETITTI STEFANO

servitù

ORDINANZA
vo- t
sul ricorso proposto da:
MONTELLA Mauro (MNT MRA 72E06 F335G),

e’ 4- c 7

rappresentato e

difeso, per procura speciale in calce al ricorso, dagli
Avvocati Carlo Rolle, Aldo Barra e Mario Contaldi,
elettivamente domiciliato presso lo studio del terzo in
Roma, via Pierluigi da Palestrina n. 63;

ricorrente

contro
BORETTA Maria Luisa (BRT MLS 65H60 C955U) e FALCO Silvana
(FLC SVN 43P70 C955E), rappresentate e difese, per procura
speciale in calce al controricorso, dagli Avvocati Danilo
Ghia e Amedeo Pomponio, elettivamente domiciliate presso lo
studio del secondo in Roma, via Cicerone n. 44;

– controricorrenti –

Data pubblicazione: 29/11/2013

avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino n. 1795
del 2011, depositata in data 12 dicembre 2011.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di

consiglio del 23 ottobre 2013 dal Consigliere relatore

sentito,

per il

ricorrente,

l’Avvocato

Sabina

Lorenzetti con delega.
Ritenuto

che con atto di citazione ritualmente

notificato, Montella Mauro, assumendo di essere
proprietario di un fondo sito nel Comune di Condove (TO),
conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Torino
Boretta Maria Luisa e Falco Silvana, chiedendo che fosse
accertata l’inesistenza sul predetto fondo di diritti di
servitù in favore delle convenute;
che l’attore domandava altresì al giudice adìto di
pronunciare inibitoria all’esercizio del passaggio e di
condannare le convenute al risarcimento dei danni arrecati
dal loro passaggio sul fondo;
che si costituivano le convenute, le quali eccepivano
l’intervenuto acquisto per usucapione ventennale del
diritto di passaggio carraio sul fondo attoreo;
che il Tribunale di Torino, previa escussione di prova
testimoniale, respingeva le domande del Montella,
riconoscendo l’intervenuta usucapione in favore delle
convenute;

Dott. Stefano Petitti;

che avverso la predetta sentenza, Montella Mauro
proponeva gravame, in primo luogo, denunciando la tardività
della domanda di usucapione, essendo essa stata proposta
dalle convenute con comparsa di costituzione avvenuta alla

asserendo l’esistenza di una prova dell’interruzione nel
possesso ultraventennale della servitù di passaggio: e tale
prova, a suo dire, non sarebbe stata considerata dal
Tribunale, che avrebbe interpretato in modo erroneo le
risultanze istruttorie;
che la Corte d’appello di Torino rigettava l’appello,
confermando la sentenza di primo grado;
che, con riguardo al primo motivo di gravame, la Corte
territoriale riteneva ammissibile, e dunque non tardiva,
l’eccezione riconvenzionale sollevata dalle convenute in
primo grado in quanto, essendo essa diretta a paralizzare
l’actio

negatoria servitutis

proposta dall’attore, non

necessitava di essere formulata in una relativa domanda;
confermava, poi, l’interpretazione del quadro probatorio
effettata dal Tribunale di Torino, rigettando il relativo
motivo di gravame in quanto infondato;
che per la cassazione di tale sentenza, Montella Mauro
ha proposto ricorso, articolandolo in tre motivi;
che con il primo motivo, il ricorrente denuncia
violazione e falsa applicazione degli artt. 166 e 167 cod.

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prima udienza di comparizione; e, in secondo luogo,

proc. civ., nonché degli artt. 1061, 1158, 1140, 1163 e
1167 cod. civ., sostenendo che la Corte d’appello non
avrebbe colto che le sig.re Boretta e Falco, in primo
grado, non si erano limitate ad eccepire l’avvenuta

bensì, avendo espressamente richiesto l’accertamento e la
declaratoria della servitù, avevano avanzato una vera e
propria domanda riconvenzionale che, come tale, doveva
essere proposta nel rispetto del termine perentorio di
venti giorni previsto dagli artt. 166 e 167 cod. proc.
civ.;
che con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente
denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 345 cod.
proc. civ., nonché degli artt. 1061, 1158, 1140, 1163, 1167
e 2697 cod. civ., poiché la Corte torinese avrebbe
erroneamente ritenuto non censurato il capo della sentenza
di primo grado che riconosceva il requisito dell’apparenza
della servitù, che solo la avrebbe resa suscettibile di
usucapione ai sensi dell’art. 1061 cod. civ.;
che infine, con il terzo motivo di ricorso, Montella
Mauro lamenta, ex art. 360, n. 5), cod. proc. civ., il
vizio di contraddittorietà della motivazione su un fatto
controverso e decisivo, per avere la Corte d’appello
considerato non fondata la doglianza relativa

usucapione per paralizzare l’azione proposta dall’attore

all’interruzione del possesso ventennale della servitù di
passaggio usucapita dalle intimate;
che le intimate hanno resistito con controricorso;
che, essendosi ravvisate le condizioni per la

redatta relazione ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc.
civ., che è stata comunicata alle parti e al Pubblico
Ministero.
Considerato che il relatore designato ha formulato la
seguente proposta di decisione:
«[(m)] Il primo motivo di ricorso è infondato.
Il ricorrente ritiene che, nella comparsa costitutiva
depositata alla prima udienza di comparizione, le convenute
(odierne intimate) avessero proposto domanda
riconvenzionale avente ad oggetto l’accertamento e la
dichiarazione di sussistenza del diritto di servitù di
passaggio. Tale domanda, poiché proposta fuori termine,
doveva essere dichiarata tardiva.
In realtà, è utile rilevare che ciò che distingue la
eccezione riconvenzionale dalla domanda riconvenzionale
consiste non tanto nella natura del diritto fatto valere
dal convenuto, quanto nel fine che il deducente si propone,
nel contenuto della sua istanza processuale; se con essa il
deducente tende a conseguire un’utilità pratica attinente
al diritto fatto valere (risarcimento del danno,

trattazione del ricorso in camera di consiglio è stata

restituzioni, attribuzione della proprietà di un bene), si
configura la domanda riconvenzionale, come tale soggetta
alle preclusioni di cui all’art 167 cod. proc. civ.; se,
invece, si limita a chiedere il rigetto della domanda

riconvenzionale.
Nel caso di specie, stando alla ricostruzione effettuata
dalla Corte d’appello, la deduzione delle convenute non
aveva ad oggetto l’accertamento, in loro favore,
dell’avvenuto acquisto di un diritto per effetto del
possesso protrattosi per il periodo legale, ma mirava
esclusivamente a paralizzare la domanda avversaria. Del
resto, la sentenza di primo grado si era limitata a
rigettare la domanda dell’attore, senza nulla statuire in
ordine alla eccezione di usucapione. In proposito, questa
Corte ha già avuto modo di affermare il principio secondo
cui la parte convenuta può utilmente contrastare un’azione
di carattere reale esercitata nel suoi confronti anche
sollevando soltanto un’eccezione riconvenzlonale di
usucapione, senza necessità di formulare la relativa
domanda

(Cass. n. 20330 del 2007).

Ne

consegue che la

deduzione in oggetto non può considerarsi tardiva, così
come giustamente stabilito nei precedenti gradi di
giudizio.
Il secondo motivo di ricorso è infondato.

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avversaria, si è in presenza di un’eccezione

La sentenza di primo grado aveva considerato la servitù
oggetto di giudizio suscettibile di essere usucapita,
poiché presentava il requisito dell’apparenza, essendo essa
ben visibile per l’esistenza di opere permanenti

cancello quale accesso carraio).
Tale capo della pronuncia di primo grado, come rilevato
dalla corte d’appello, non è stato specificamente censurato
in sede di gravame, essendosi l’appellante limitato a
censurare genericamente l’apprezzamento del primo giudice
circa l’accertamento di tutti i requisiti necessari per
l’usucapione di servitù.
Infine, è infondato anche il terzo motivo di ricorso.
La Corte d’appello, aderendo alle conclusioni della
sentenza di primo grado e motivando adeguatamente al
riguardo, ha ritenuto non provata l’interruzione del
possesso ventennale della servitù di passaggio per il
periodo dal 1981 al 1990, considerando, sulla base di un
suo

insindacabile

apprezzamento,

imprecise

e

non

attendibili le dichiarazioni del teste sulle quali
l’appellante fondava il proprio assunto difensivo. In
realtà, al di là del formale richiamo al vizio di
motivazione ex art. 360, n. 5), cod. proc. civ., la
doglianza in questione sembra mirare a contestare il merito
della sentenza e si risolve nella prospettazione di una

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obiettivamente destinate al suo esercizio (presenza del

diversa valutazione della causa e nella pretesa di
contrastare apprezzamenti di fatti e di risultanze
istruttorie che sono inalienabile prerogativa del giudice
di merito. Spetta infatti solo al giudice del merito

le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza,
scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute
idonee a dimostrare i fatti, dar prevalenza all’uno o
all’altro mezzo di prova.
Per questi motivi, si ritengono sussistenti le condizioni
per la trattazione del ricorso in camera di consiglio, per
essere ivi rigettato ai sensi dell’art. 375, n. 5), cod.
proc. civ.»;
che il Collegio condivide la proposta di decisione, in
quanto le argomentazioni svolte dal ricorrente nella
memoria depositata in prossimità dell’adunanza camerale,
non appaiono idonee ad indurre a differenti conclusioni;
che invero, quanto al primo motivo, oltre alle
argomentazioni svolte nella relazione, deve evidenziarsi
che tanto il Tribunale quanto la Corte d’appello hanno
interpretato le deduzioni difensive delle originarie
convenute nel senso che le stesse avessero solo inteso
paralizzare la negatoria servitutis proposta dall’attore, e
che tale apprezzamento di fatto non appare utilmente
censurato, né risulta illogico, atteso anche il contenuto

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individuare la fonte del proprio convincimento e valutare

della pronuncia adottata dal Tribunale che, appunto, si è
limitato a rigettare la domanda dell’attore;
che, quanto al secondo motivo, dalla trascrizione
dell’atto di appello effettuata dal ricorrente già nel

gravame non avesse colto lo specifico riferimento contenuto
nella sentenza di primo grado all’esistenza del requisito
dell’apparenza;
che inoltre la sentenza impugnata risulta logicamente e
congruamente motivata con riguardo non solo alle
deposizioni testimoniali, ma anche e soprattutto allo stato
dei luoghi, quale risultante dalle mappe catastali, e alle
fotografie prodotte nel giudizio di primo grado, e che tale
specifico apprezzamento non ha formato oggetto di puntuale
censura;
che quindi il ricorso deve essere rigettato, con
conseguente condanna del ricorrente, in applicazione del
principio della soccombenza, al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al

pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che
liquida in euro 2.500,00 per compensi, oltre ad euro 200,00
per esborsi e agli accessori di legge.

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ricorso introduttivo, emerge chiaramente come il motivo di

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Sesta Sezione Civile – 2 della Corte suprema di Cassazione,

il 23 ottobre 2013.

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