Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26882 del 22/10/2019

Cassazione civile sez. II, 22/10/2019, (ud. 13/09/2019, dep. 22/10/2019), n.26882

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20876-2015 proposto da:

G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CONCA D’ORO

184/190, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO DISCEPOLO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato BARBARA SCHIADA’;

– ricorrente –

contro

P.C., P.G., P.L.,

P.M., L.M. e C.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 562/2015 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 23/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/09/2019 dal Consigliere Dott. OLIVA Stefano.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto notificato il 15.11.2005 G.G. riassumeva innanzi il Tribunale di Ancona il giudizio precedentemente instaurato innanzi il Giudice di Pace di Ancona, sul quale quest’ultimo si era dichiarato incompetente, evocando in giudizio innanzi il predetto Tribunale marchigiano L.M., C.C., P.C., P.G., P.M.G. e P.L. per sentir dichiarare nei loro confronti l’illiceità delle immissioni di fumi, calore ed esalazioni provenienti dal locale pizzeria gestito dalla convenuta C., di proprietà dei P., sito in (OMISSIS), al piano terra dello stabile di (OMISSIS) nel quale è ubicato l’appartamento di proprietà dell’attore. Quest’ultimo invocava inoltre la condanna dei convenuti all’eliminazione delle immissioni contestate, con eliminazione del tratto della canna fumaria sottostante il balcone della sua proprietà, nonchè il risarcimento del danno derivante dalle lamentate immissioni.

I convenuti resistevano alla domanda spiegando domanda riconvenzionale per il pagamento di Euro 331,25 a titolo di indennizzo per il danno causato alla loro caldaia a seguito della eliminazione della canna fumaria manomessa arbitrariamente dall’attore, nonchè la condanna di quest’ultimo all’integrale ripristino dello statu quo ante rispetto alla manomissione.

Con sentenza n. 53/2008 il Tribunale accoglieva in parte la domanda, condannando i convenuti ad eliminare le infiltrazioni riscontrate anche dal C.T.U. appositamente nominato e a porre in essere gli accorgimenti indicati dall’ausiliario, consistenti in particolare nell’installazione di cappe aspiranti a carboni attivi all’interno del locale pizzeria della C. e nella riparazione della canna fumaria, rivelatasi interrotta proprio in prossimità del balcone dell’attore. Respingeva invece tutte le altre domande da quest’ultimo proposte, come pure la domanda riconvenzionale spiegata dai convenuti.

Con separato atto di citazione il G. evocava in giudizio i medesimi convenuti, sempre innanzi il Tribunale di Ancona, per sentir accertare nei loro confronti l’inesistenza della servitù di passaggio della canna fumaria posta a servizio della pizzeria. Esponeva in particolare che la preesistente canna fumaria era stata concepita solo a servizio dell’appartamento sottostante quello di sua proprietà e che, a seguito del suo illecito collegamento con la pizzeria, si era creato un aggravamento non consentito del diritto di servitù.

Anche in questo giudizio si costituivano i convenuti resistendo alla domanda ed eccependo il loro acquisto per usucapione del diritto di fruire della canna fumaria anche per scaricarvi i fumi provenienti dalla pizzeria.

Il Tribunale, dopo aver disposto una seconda C.T.U., riconosceva -con sentenza n. 962/2011- l’illecito aggravio della servitù ed accoglieva la domanda, ordinando la rimozione dell’intero tratto di canna fumaria oggetto di contestazione.

Con separati appelli gli originari convenuti interponevano gravame avverso ambedue le decisioni di prima istanza. In ambedue i giudizi di seconde cure si costituiva il G. per resistere all’impugnazione, nonchè -quanto al solo appello avverso la prima delle due decisioni del Tribunale- spiegando appello incidentale relativamente alla domanda risarcitoria respinta dal primo giudice.

I due giudizi di impugnazione venivano riuniti e decisi con la sentenza oggi impugnata, n. 562/2015, con la quale la Corte di Appello di Ancona osservava che la domanda di ripristino della canna fumaria era già stata proposta dal G. nel primo giudizio, conclusosi in prime cure con la sentenza n. 53/2008; che detta domanda era stata respinta in quella sede; e che il G. non aveva proposto appello, nè in via principale nè in via incidentale, sul relativo capo di decisione, la quale era di conseguenza passata in giudicato sul punto. Ravvisava quindi la sussistenza del giudicato relativamente alla medesima domanda spiegata nel secondo giudizio, che -in riforma della seconda sentenza n. 962/2011- dichiarava improcedibile. Rigettava poi l’appello principale avverso la prima decisione del Tribunale, n. 53/2008, che riteneva coerente con le conclusioni del C.T.U. appositamente nominato dal Tribunale per accertare lo stato dei luoghi. Rigettava infine l’appello incidentale proposto dal G. avverso la medesima decisione solo per la domanda risarcitoria, in quanto il danno alla salute da egli allegato non era stato adeguatamente provato.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione G.G. affidandosi a due motivi.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Il ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del principio del ne bis in idem in relazione all’art. 112 c.p.c. e del principio del giudicato in relazione all’art. 2909 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4. Ad avviso del G., la Corte di Appello avrebbe errato nel ravvisare il giudicato, perchè la prima causa aveva ad oggetto solo il tratto della canna fumaria esistente tra il vecchio impianto e la pizzeria (ovverosia il collegamento illecitamente realizzato dai convenuti tra l’esercizio commerciale ed il preesistente manufatto a servizio dell’appartamento), mentre la seconda causa aveva ad oggetto tutta la canna fumaria, in quanto si contestava la creazione di una nuova servitù a carico dell’alloggio dell’attore, mediante la modifica della predetta canna fumaria posta, in origine, a servizio del solo appartamento sottostante quello del G..

La censura è infondata.

Ed invero va ribadito che il giudice di merito è chiamato ad interpretare la domanda anche oltre le espressioni usate dalle parti, facendo riferimento al cd. bene della vita in concreto da esse invocato.

Nel caso specifico lo stesso ricorrente dichiara la natura unitaria della sua richiesta, che è comunque riferita ad una modifica illecita di una canna fumaria pacificamente preesistente; detta modifica consiste nella realizzazione di un collegamento realizzato tra la stessa ed un locale pizzeria ab origine non servito dal manufatto in esame. Il G. afferma (cfr. pag.3 del ricorso) di aver chiesto già nel primo giudizio la demolizione del primo tratto della canna fumaria, ossia di quello che collegava la preesistente conduttura alla pizzeria, creando in tal modo sia l’immissione che la nuova servitù; e prosegue dando atto (cfr. pag.8 del ricorso) che il Tribunale, a conclusione di quel primo giudizio, aveva respinto la domanda di eliminazione della canna fumaria, ritenendo sufficiente ai fini di ovviare alle lamentate immissioni l’imposizione ai convenuti di alcuni accorgimenti e modifiche atte a non impedire lo svolgimento dell’attività produttiva.

Ne consegue che sia nel primo che nel secondo giudizio l’oggetto del contendere non era la canna fumaria nella sua interezza, posto che il ricorrente dichiara e riconosce la sua preesistenza, ma soltanto il suo abusivo collegamento alla pizzeria; pertanto la domanda di eliminazione del detto collegamento, respinta nel primo giudizio, avrebbe dovuto essere riproposta dal G. mediante specifico motivo di appello, principale o incidentale.

Il fatto che con la prima sentenza -n. 53/2008- il Tribunale abbia condannato i convenuti soltanto ad operare accorgimenti tecnici all’interno della pizzeria ed a riparare la canna fumaria, mentre con la seconda decisione -n. 962/2011- li ha condannati invece ad eliminare l’intera canna fumaria non costituisce invero un fatto in sè e per sè rilevante, ai fini della configurabilità del giudicato, poichè per valutare l’esistenza di quest’ultimo si deve fare riferimento alla domanda, e non alla statuizione finale del giudice.

Neppure rileva il fatto che la questione sia stata posta, nel primo giudizio, sub specie di domanda ex art. 844 c.c. nel secondo invece sub specie di actio negatoria servitutis, posta l’unicità del fatto lesivo (rappresentato dalla modifica della preesistente canna fumaria), l’identità della domanda di fatto proposta dal G. (risolventesi nella richiesta di eliminazione del collegamento abusivo tra la canna fumaria e la pizzeria) e la circostanza che la domanda ex art. 844 c.c. sia stata diretta sin dal principio non soltanto avverso il responsabile delle immissioni, ma anche nei confronti dei proprietari del bene da cui esse provenivano.

Va in proposito ribadito che “L’azione inibitoria di cui all’art. 844 c.c. contro le immissioni moleste provenienti dal fondo vicino ha natura reale, rientra nello schema della negatoria servitutis e deve essere proposta contro tutti i proprietari di tale fondo, qualora l’attore miri ad ottenere un divieto definitivo delle immissioni operante, cioè, nei confronti dei proprietari attuali o futuri del fondo medesimo e dei loro aventi causa, in modo da ottenere l’accertamento dell’infondatezza della pretesa, anche solo eventuale e teorica relativa al diritto di produrre siffatte immissioni…. La suddetta azione ha, invece, carattere personale, rientrante nello schema dell’azione di risarcimento in forma specifica di cui all’art. 2058 c.c., nel caso in cui l’attore miri soltanto ad ottenere il divieto del comportamento illecito dell’autore materiale delle suddette immissioni, sia esso detentore ovvero comproprietario del fondo, il quale si trovi nella giuridica possibilità di eliminare queste ultime senza bisogno dell’intervento del proprietario, o degli altri comproprietari, del fondo medesimo” (Cass. Sez.2, Sentenza n. 647 del 27/02/1976, Rv.379296; cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1404 del 06/03/1979, Rv. 397713; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1469 del 08/03/1982, Rv. 419280; cass. Sez. 2, Sentenza n. 2598 del 23/03/1996, Rv. 496547; Cass. Sez. U, Sentenza n. 10186 del 15/10/1998, Rv. 519722; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8999 del 29/04/2005, Rv. 582329).

Poichè nel caso specifico il G. aveva agito sin dal principio non soltanto nei confronti del gestore della pizzeria responsabile delle immissioni moleste, ma anche dei comproprietari del fondo dal quale queste ultime provenivano, ponendo la questione dell’aggravamento della servitù derivante dal passaggio della canna fumaria preesistente in conseguenza della modifica operata su quest’ultima da parte convenuta, alla relativa domanda va attribuita natura reale. Di conseguenza, sulla scorta dei riportati precedenti di questa Corte va ritenuta corretta la statuizione della Corte anconetana, che ha ravvisato l’identità tra la prima e la seconda domanda proposte dal G. nei due giudizi di prime cure da quest’ultimo intrapresi, poichè in entrambi i casi si configurava in sostanza un’actio negatoria servitutis.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 perchè la Corte di Appello avrebbe errato nel respingere l’appello incidentale relativo al risarcimento del danno alla salute derivante dalle immissioni; ad avviso del ricorrente, una volta riscontrata l’esistenza di queste ultime, la Corte di merito non avrebbe potuto escludere la sussistenza, in concreto, del pregiudizio lamentato.

La doglianza va disattesa.

In primo luogo, essa non si confronta con la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’esistenza delle immissioni non implica necessariamente un danno risarcibile, poichè quando il fenomeno può essere eliminato mediante accorgimenti tecnici -come è avvenuto nel caso di specie- il danno alla salute può essere escluso. In un caso di immissioni sonore, infatti, si è ritenuto che “L’accertata esposizione ad immissioni sonore intollerabili non costituisce di per sè prova dell’esistenza di danno alla salute, la cui risarcibilità è subordinata all’accertamento dell’effettiva esistenza di una lesione fisica o psichica” (Cass. Sez.3, Sentenza n. 25820 del 10/12/2009, Rv. 610924). Ed anche in caso di immissioni di fumo “… eccedenti il limite della normale tollerabilità, non può essere risarcito il danno non patrimoniale consistente nella modifica delle abitudini di vita del danneggiato, in difetto di specifica prospettazione di un danno attuale e concreto alla sua salute o di altri profili di responsabilità del proprietario del fondo da cui si originano le immissioni” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4394 del 20/03/2012, Rv.622034).

Nel caso specifico, la sentenza impugnata dà atto che il G. non aveva dimostrato il danno alla salute del quale aveva invocato il risarcimento, svolgendo pertanto un giudizio di fatto che non può costituire, in sè, oggetto di revisione in questa sede. La Corte di Appello ha infatti ritenuto che la documentazione medica prodotta dal ricorrente non fosse idonea ai fini della prova della derivazione causale del disagio lamentato dal fenomeno dannoso accertato, esprimendo in tal modo un apprezzamento sul compendio istruttorio di per sè non è censurabile in Cassazione. In proposito, va ribadito che “L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv.589595: conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv.631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv.631330).

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Nulla per le spese, in difetto di svolgimento di attività difensiva in questo giudizio di legittimità da parte dei soggetti intimati.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, va dichiarata la sussistenza, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dei presupposti per l’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

la Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della seconda sezione civile, il 13 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2019

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