Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26876 del 14/12/2011

Cassazione civile sez. lav., 14/12/2011, (ud. 08/11/2011, dep. 14/12/2011), n.26876

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MERID S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 20,

presso lo studio dell’avvocato ANTONINI MARIO, rappresentata e difesa

dall’avvocato ANDRONICO FRANCESCO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

F.E., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA SALLUSTIO,

18, presso lo studio dell’avvocato SPALLINA LORENZO, rappresentata e

difesa dall’avvocato DE GERONIMO FEDERICO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 482/2009 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 21/07/2009 R.G.N. 993/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/11/2011 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato ANDRONICO FRANCESCO;

udito l’Avvocato DE GERONIMO FEDERICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 21.7.2009, la Corte d’appello di Catania, nel rigettare il gravame principale proposto dalla società Merid spa e nell’accogliere, invece, l’appello incidentale della lavoratrice relativo al pagamento dei contributi previdenziali in relazione all’intero periodo lavorativo, ha confermato nel resto la decisione di primo grado, che aveva ritenuto la natura subordinata del rapporto intercorso con F.E., aveva considerato provato il licenziamento orale di quest’ultima – disattendendo in tal modo l’assunto di controparte volto a sostenere che il rapporto si era concluso per le dimissioni della dipendente – e, per l’effetto, ha ordinato alla società la reintegra della dipendente nel posto di lavoro condannando la prima al risarcimento del danno commisurato a tutte le retribuzioni, nonchè al pagamento delle differenze retributive nella misura di Euro 31.755,12, oltre accessori. Ha, ancora, ritenuto che il risarcimento conseguente alla pronunzia sul licenziamento non potesse essere ridotto in base all’aliunde perceptum, essendo sul punto intervenuto giuramento decisorio.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società, affidando l’impugnazione a sette motivi.

Resiste La F. con controricorso. La ricorrente ha depositato, altresì, memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la società deduce la violazione dell’art. 2094 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, assumendo che, ai fini della subordinazione, non poteva aversi riguardo solo all’articolazione di orario di lavoro rigido o alla circostanza che la prestazione si svolgesse con inserimento del lavoratore nell’altrui attività produttiva, dovendo conferirsi rilievo alla posizione tecnico gerarchica di quest’ultimo nell’ambito della struttura organizzativa del datore di lavoro.

Con il secondo motivo, la società denunzia la violazione degli artt. 2094, 2727 e 2697 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè la insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5), rilevando che la prova della subordinazione non poteva desumersi dalla mera comparazione tra le mansioni della F. con quelle di altro lavoratore inquadrato come subordinato e che, ai detti fini, non sia sufficiente la sussistenza di direttive generiche, occorrendo che il potere datoriale si esplichi in direttive specifiche e costanti.

Con il terzo, lamenta la violazione dell’art. 2697 c.c., commi 1 e 2, artt. 2727 e 2729 c.c. art. 116 c.p.c., nonchè insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, assumendo che l’indagine del giudice di merito deve essere particolarmente rigorosa circa i motivi dell’estromissione e che nella specie la cessazione del rapporto era avvenuta a seguito di un diverbio con l’amministratore delegato della società datrice di lavoro, che, tuttavia, non giustificava di per sè la conclusione che la cessazione del rapporto fosse riconducibile a volontà di quest’ultima, anche perchè alle deposizioni testimoniali acquisite non poteva essere attribuito il valore alle stesse conferito dal giudice del merito.

Con il quarto motivo, la società si duole della violazione degli artt. 1206 e 1223 c.c., della L. n. 604 del 1966, art. 2, comma 3, della violazione della L. n. 300 del 1970, art. 18 della L. n. 108 del 1990, art. 2 nonchè dell’insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisive del giudizio (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), osservando che valgono, in tema di risarcimento del danno connesso a licenziamento orale, le comuni regole in materia di inadempimento delle obbligazioni e che, con l’istanza di tentativo obbligatorio di conciliazione, la F. non aveva messo a disposizione le proprie energie lavorative, neanche il ricorso introduttivo notificato il 15.3.2001 potendo ritenersi idoneo a configurare rituale messa in mora della società.

Con il quinto motivo, denunzia la violazione dell’art. 1223 c.c., dell’art. 437 c.p.c., comma 2, nonchè l’insufficienza della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, rilevando che la natura risarcitola dell’erogazione disposta quale conseguenza del licenziamento orale la rende sensibile ad eventuali prove di diminuzione del danno, onde dovevano essere richieste informative all’Ufficio di collocamento ed a datori di lavoro privati, essendo al riguardo indispensabile l’iniziativa officiosa del giudice.

Con il sesto motivo, la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2108, 2103 e 2697 c.c. nonchè l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, osservando che non è stata compiuta la necessaria indagine comparativa per l’inquadramento della dipendente nel 3^ livello contrattuale.

Infine, con l’ultimo motivo, la società deduce l’omissione di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, rilevando l’erroneità dei conteggi relativi alle differenze retributive, effettuati in relazione a somme non omogenee.

I primi due motivi, riguardanti la natura del rapporto di lavoro della F., devono considerarsi infondati, avendo la Corte territoriale, con una motivazione congrua e logica, e facendo riferimento alle risultanze processuali, ritenuto che la F. fosse assoggettata al potere direttivo della società. Dalle censure esposte emerge che la ricorrente, attraverso i passaggi argomentativi delle doglianze, avanza sostanzialmente una richiesta -inammissibile in questa sede di legittimità – di rivalutazione del materiale probatorio acquisito nel processo, assumendo che la lavoratrice non aveva fornito la prova dell’assoggettamento al potere direttivo, disciplinare ed organizzativo del datore di lavoro.

Anche l’applicazione dei parametri della subordinazione è avvenuta in conformità ai affermati dalla giurisprudenza di legittimità ed i rilievi effettuati dalla ricorrente non risultano in linea con quanto ribadito in più occasioni da questa Corte, che ha affermato che la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro effettuata dal giudice di merito è censurabile in sede di legittimità soltanto limitatamente alla scelta dei parametri normativi di individuazione della natura subordinata o autonoma del rapporto, mentre l’accertamento degli elementi, che rivelano l’effettiva presenza del parametro stesso nel caso concreto attraverso la valutazione delle risultanze processuali e che sono idonei a ricondurre le prestazioni ad uno dei modelli, costituisce apprezzamento di fatto che, se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato, resta insindacabile in Cassazione (v., tra le altre, Cass 16681/2007).

Ugualmente deve ritenersi infondato il terzo motivo, con il quale sì contesta la parte della sentenza impugnata che ha ritenuto esservi stato nel caso di specie un licenziamento orale, dal momento che a tale conclusione il giudice d’appello è pervenuto con una decisione ancora correttamente motivata, facendo, poi, scaturire da tale statuizione il completo risarcimento dei danni, quantificando questi ultimi con decorrenza dal licenziamento alla reintegra, senza fare riferimento al regime causale applicabile (reale obbligatorio), soluzione questa che rispetta i principi affermati da questa Corte di legittimità (cfr, Cass. 1 agosto 2007 n. 16955; Cass. 19 gennaio 2005 n. 996). Il motivo, per come articolato, è anche non rispettoso del principio di autosufficienza, perchè, pur contestando la ricostruzione delle motivazioni dell’estromissione, non riporta per intero le deposizioni testimoniali che avrebbero confortato una decisione difforme e, peraltro, deve osservarsi che la sentenza di pone in linea con la giurisprudenza di questa Corte in materia.

Nell’ipotesi di controversia in ordine al “quomodo” della risoluzione del rapporto (licenziamento orale o dimissioni), si impone, infatti, una indagine accurata da parte del giudice di merito, che tenga adeguato conto del complesso delle risultanze istruttorie, in relazione anche all’esigenza di rispettare non solo l’art. 2697 cod. civ., comma 1 relativo alla prova dei fatti costitutivi del diritto fatto valere dall’attore, ma anche il comma 2, che pone a carico dell’eccipiente la prova dei fatti modificativi o estintivi del diritto fatto valere dalla controparte. Sicchè, in mancanza di prova delle dimissioni, l’onere della prova concernente il requisito della forma scritta del licenziamento (prescritta “ex lege” a pena di nullità) resta a carico del datore di lavoro, in quanto nel quadro della normativa limitativa dei licenziamenti, la prova gravante sul lavoratore riguarda esclusivamente la cessazione del rapporto lavorativo, mentre la prova sulla controdeduzione del datore di lavoro – avente valore di una eccezione – ricade sull’eccipiente – datore di lavoro ex art. 2697 cod. civ. (cfr., in tal senso, Cass. 27 agosto 2007 n. 18087). Va anche evidenziato che la mancata prova del licenziamento non comporta di per sè l’accoglibilità della tesi – eventualmente sostenuta dal datore di lavoro – della sussistenza delle dimissioni del lavoratore o di una risoluzione consensuale, e, ove manchi la prova adeguata anche di tali altri atti estintivi, deve darsi rilievo agli effetti della perdurante sussistenza del rapporto di lavoro, per quanto di ragione (in relazione anche al principio della non maturazione del diritto alla retribuzione in difetto di prestazioni lavorative, salvi gli effetti della eventuale “mora credendi” del datore di lavoro rispetto alle stesse), tenuto presente anche che, quando è chiesta la tutela (cosiddetta reale) di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18 o alla L. n. 604 del 1966, art. 2 l’impugnativa del licenziamento comprende la richiesta di accertamento di inesistenza di una valida estinzione del rapporto di lavoro, della vigenza del medesimo e di condanna del datore di lavoro alla sua esecuzione e al pagamento di quanto dovuto per il periodo di mancata attuazione (cfr. Cass. 16 maggio 2001 n. 6727).

Il quarto motivo, con il quale si lamenta che il giudice abbia riconosciuto l’intera liquidazione senza tenere conto della messa a disposizione delle proprie energie lavorative da parte della F. e della mancanza di atti di messa in mora, è privo di consistenza, in quanto, a prescindere dalla considerazione che, come risulta dalle risultanze processuali, la società non era – giusta anche la deposizione del teste R. – intenzionata in alcun modo a riassumere la dipendente, tale censura non tiene conto della giurisprudenza sopra richiamata ed, in ogni caso, trascura di considerare che la prova sul numero dei dipendenti – che, peraltro, nella specie non rileva per quanto detto -incombe sul datore di lavoro e che la documentazione prodotta dalla società a tali fini è stata correttamente dichiarata inammissibile dal giudice d’appello in ragione dei principi fissati dalle Sezioni Unite della Cassazione con sentenza n. 8202 del 2005. Per di più, non risulta che la deduzione circa la necessità di messa in mora, in presenza di continuità di rapporto, mai interrotto per effetto di recesso verbale, sia stata formulata in grado di appello e nulla si riporta in ordine ai tempi e modi della stessa, per cui anche sotto tale profilo la censura presenta profili di inammissibilità per la novità della questione proposta.

Il quinto motivo è infondato per avere sul punto la Merid spa deferito giuramento alla propria dipendente, non valendo a sminuirne la validità come prova legale la presentazione di un querela per falso.

Con il sesto motivo si deduce che la lavoratrice non aveva diritto alla qualifica rivendicata con la contrattazione di riferimento, di cui si denunzia la non corretta applicazione in termini di qualifica e di mansioni svolte. Tale motivo deve dichiararsi improcedibile, in ragione della mancata produzione del contratto collettivo menzionato e di quanto prescritto, per i ricorsi relativi a sentenze pubblicate dopo l’entrata in vigore della L. n. 40 del 2006, dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione al deposito di atti processuali, documenti, contratti collettivi o accordi collettivi su cui il ricorso si fonda. Il requisito non appare soddisfatto, atteso che si è omesso di precisare in quale sede processuale il CCNL è stato eventualmente prodotto nelle fasi di merito e dove, quindi, la Corte potrebbe esaminarlo in questa sede, per effetto della relativa già avvenuta produzione nelle fasi di merito. Al riguardo, è stato, invero, osservato, che anche con riferimento a regime processuale anteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006, ad integrare il requisito della ed autosufficienza del motivo di ricorso per cassazione concernente, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (ma la stessa cosa dicasi quando la valutazione deve essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 o di un vizio costituente error in procedendo ai sensi dei nn. 1, 2 e 4 di detta norma), la valutazione da parte del giudice di merito di prove documentali, è necessario non solo che tale contenuto sia riprodotto nel ricorso, ma anche che risulti indicata la sede processuale del giudizio di merito in cui la produzione era avvenuta e la sede in cui nel fascicolo d’ufficio o in quelli di parte, rispettivamente acquisito e prodotti in sede di giudizio di legittimità essa è rinvenibile. L’esigenza di tale doppia indicazione, in funzione dell’autosufficienza, si giustificava al lume della previsione del vecchio n. 4 dell’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, che sanzionava (come, del resto, ora il nuovo) con l’improcedibilità la mancata produzione dei documenti fondanti il ricorso, producibili (in quanto prodotti nelle fasi di merito) ai sensi dell’at. 372 cod. proc. civ., comma 1 (cfr. Cass. 25.5.2007 n. 12239; Cass. 20594/2007; 20437/2008;

4056/2009). Anche per il ccnl deve valere analoga esigenza, al fine di rendere possibile l’esame completo del contenuto delle previsioni contrattuali, relative – per quanto attiene al caso di specie – alla possibilità ed alle condizioni per potere stipulare contratti a tempo determinato.

E’ stato in proposito anche chiarito da questa Corte che l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi su cui il ricorso si fonda – imposto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella nuova formulazione di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – non può dirsi soddisfatto con la trascrizione nel ricorso delle sole disposizioni della cui violazione il ricorrente si duole attraverso le censure alla sentenza impugnata, dovendo ritenersi che la produzione parziale di un documento sia non solamente incompatibile con i principi generali dell’ordinamento e con i criteri di fondo dell’intervento legislativo di cui al citato D.Lgs. n. 40 del 2006, intesi a potenziare la funzione nomofilattica della Corte di cassazione, ma contrasti con i canoni di ermeneutica contrattuale dettati dall’art. 1362 cod. civ. e seguenti e, in ispecie, con la regola prevista dall’art. 1363 cod. civ., atteso che la mancanza del testo integrale del contratto collettivo non consente di escludere che in altre parti dello stesso vi siano disposizioni indirettamente rilevanti per l’interpretazione esaustiva della questione che interessa (cfr, Cass 2 luglio 2009 n. 15495).

Infine, il settimo motivo deve ritenersi inammissibile, perchè la censura non risulta dotata del requisito della specificità con riferimento alla deduzioni di carenze della sentenza impugnata che, al riguardo, si presenta rispettosa dei principi giurisprudenziali, da essa citati (cfr. Cass. 18 aprile 2003 n. 6337; Cass. 7 luglio 2008 n. 18584 e, da ultimo, in senso conforme, Cass 11 febbraio 2011 n. 3375) ed in quanto, per di più, si basa su di una documentazione che è insuscettibile di essere esaminata in questa sede di legittimità anche perchè, in dispregio del principio di autosufficienza, non si è indicato, nel ricorso per cassazione, se la richiesta di acquisizione di detti documenti al processo sta stata avanzata ritualmente e tempestivamente.

Il ricorso deve essere, pertanto, complessivamente respinto e, per il principio della soccombenza, le spese del presente giudizio vanno poste, nella misura di cui in dispositivo, a carico della società ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 50,00 per esborsi, Euro 3.000,00 per onorario, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 8 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2011

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