Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2687 del 05/02/2010

Cassazione civile sez. I, 05/02/2010, (ud. 01/10/2009, dep. 05/02/2010), n.2687

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 10386-2007 proposto da:

G.M. (c.f. (OMISSIS)), G.E. (c.f.

(OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA

FILATTIERA 49, presso l’avvocato MARTINELLI SIMONA, rappresentati e

difesi dall’avvocato CAVUOTO PELLEGRINO, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrenti –

contro

CONSORZIO CO.FER.I. IN LIQUIDAZIONE (c.f. (OMISSIS)), in persona

del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

G. MERCALLI 11, presso l’avvocato MARCONE NICOLA, che lo rappresenta

e difende, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

FERROVIE DELLO STATO S.P.A.;

– intimate –

avverso le sentenze nn. 938/04 e 2633/2006 della CORTE D’APPELLO di

NAPOLI, depositate il 16/03/04 e il 01/09/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/10/2009 dal Consigliere Dott. UGO RICCARDO PANEBIANCO;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato PELLEGRINO CAVUOTO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato NICOLA MARCONE che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo

del ricorso, assorbiti gli altri motivi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato in data 5.2.1997 G.M. ed G.E. convenivano avanti al Tribunale di Benevento il Consorzio CO.FE.RI. e l’Ente Ferrovie dello Stato, esponendo che:

– il Prefetto di Benevento aveva disposto con Decreto 18 maggio 1988, n. 4655 l’occupazione d’urgenza in favore della CO.FE.RI. di mq. 1580 del terreno di loro proprietà sito nel Comune di (OMISSIS) e distinto in catasto al fl. (OMISSIS) per la costruzione di manufatti-accessori al raddoppio ed al potenziamento della linea ferroviaria (OMISSIS), occupazione per la quale era stata già adita la Corte d’Appello di Napoli in opposizione alla stima con atto notificato in data 23.9.1991 per ottenere il riconoscimento dell’indennità di occupazione;

nelle more di quel giudizio era stata disposta l’occupazione d’urgenza di altri 1.300 mq. e successivamente lo stesso Prefetto con Decreto 10 agosto 1996, n. 220 vale a dire dopo la scadenza dei termini di occupazione legittima, aveva pronunciato l’espropriazione di complessivi mq. 2865.

Chiedevano pertanto il risarcimento del danno.

Si costituiva solo il Consorzio, chiedendo il rigetto della domanda.

Veniva espletata C.T.U. e, successivamente, con sentenza n. 1859 del 14.12.2001 il Tribunale, sulla base della natura edificatoria dei terreni e del valore di L. 64.000 al mq. come valutato dal C.T.U. pur in presenza della loro classificazione in (OMISSIS) (interventi per attrezzature ferroviarie e relativi servizi) condannava il Consorzio e l’Ente Ferrovie in solido al pagamento della somma, già rivalutata, di L. 143.652.063 oltre agli interessi dall’illecito al soddisfo, provvedendo, limitatamente a mq. 1580 in precedenza occupati, sulla base della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis per l’inutile decorso del termine di occupazione legittima in conseguenza della inapplicabilità delle proroghe legali, ed in misura integrale per i residui mq. 1.280 in quanto il relativo procedimento non era stato assistito dalla dichiarazione di pubblica utilità.

Proponeva impugnazione il Consorzio ed all’esito del giudizio, nel quale si costituivano i G. che proponevano anche appello incidentale condizionato, la Corte d’Appello con sentenza n. 938 del 23.1-16.3.2004 rigettava la domanda di risarcimento avente ad oggetto l’occupazione di mq. 1580; rideterminava l’ammontare del risarcimento per i mq. 2.745 (sic), oggetto della successiva occupazione, in Euro 22.976,65, condannando in solido il Consorzio e l’Ente Ferrovie al pagamento di detta somma con gli interessi dal 10.8.1996; determinava l’indennità di occupazione relativa a mq. 1165 in Euro 4.150,90 con gli interessi dal 10.2.1992, ordinando il deposito di detta somma presso la Cassa DD.PP. detratto l’importo eventualmente già versato per il medesimo titolo; compensava infine per metà a favore dei G. le spese di entrambi i gradi. Dopo aver precisato che, anche senza necessità di ricorrere ad altri sopralluoghi ed alla nomina di consulenti essendone rimasta significativa traccia a pag. 4 della sentenza impugnata, nessuno dei manufatti a servizio delle ferrovie elencati nelle tre dichiarazioni di p.u. (di cui una di rinnovo) era stato realizzato fino alla data del sopralluogo del C.T.U. Ing. L.R., di poco precedente al deposito della sua relazione avvenuta in data 18.1.2000, pur essendo stato emesso il decreto di esproprio dal Prefetto in data 11.8.1996 per una superficie di mq. 2865, riteneva in primo luogo la Corte d’Appello ammissibili i nuovi documenti depositati dall’appellante al momento della costituzione in appello, trattandosi di prove precostituite, con conseguente rigetto della eccezione di tardività del deposito.

Rilevava poi che, contrariamente all’assunto degli appellati, l’espropriazione era sorretta dalla dichiarazione di pubblica utilità per una complessiva estensione di mq. 2745 (mq. 1580+mq.

1165) in forza delle Delib. Consiglio Amministrazione Ferrovie 21 aprile 1988, n. 165 (mq. 1580), n. 556/AS dell’11.6.1990 (mq. 1165) nonchè della rinnovazione del 18.3.1995 dell’Amministratore Delegato, mentre il decreto di esproprio risultava tempestivamente emesso solo per mq. 1580; quanto invece ai restanti mq. 1165, non essendo ricompresi nella suddetta rinnovazione che aveva fissato il termine finale delle espropriazione al 31.12.1997, il decreto di esproprio risultava emesso in un contesto di inefficacia sopravvenuta della dichiarazione di pubblica utilità. Conseguentemente, la domanda di risarcimento non poteva trovare accoglimento per i 1580 mq. di terreno legittimamente espropriati nè avrebbe potuto essere esaminata sotto forma di opposizione alla stima per carenza al riguardo di tempestivo appello incidentale, mentre ne ravvisava i presupposti per il risarcimento relativamente ai residui 1285 mq..

Sul punto operava una distinzione, osservando che, relativamente a mq. 120 – corrispondenti alla differenza tra la superficie di mq.

2865 oggetto del decreto di esproprio e la complessiva superficie di mq. 2745 (1580+1165) per la quale era stata emessa la dichiarazione di pubblica utilità – mancando “ab origine” la dichiarazione di pubblica utilità, il risarcimento doveva corrispondere all’intero valore del bene, mentre relativamente a mq. 1165 doveva trovare applicazione il criterio previsto dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis essendo sufficiente sul piano processuale che la questione sia stata devoluta sull'”an” e sul “quantum”.

Confermava poi la classificazione dell’area in (OMISSIS) “attrezzature ferroviarie e relativi servizi” nonchè la valutazione di edificabilità operata dal Tribunale e, tenuto anche conto sia della servitù di elettrodotto gravante sul fondo sia dell’adiacenza del terreno alla linea ferroviaria con il conseguente obbligo del rispetto delle distanze, stimava il prezzo di mercato in Euro 25,82 al rnq. con riferimento all’Agosto 1996. Conseguentemente determinava il risarcimento dovuto per mq. 1165 in Euro 16.603,73 sulla base del sopra indicato criterio e quello dovuto per mq. 120 in Euro 3.098,40 e così complessivamente nella somma di Euro 22.976,55 comprensiva della rivalutazione sull’importo totale di Euro 19.702,13, oltre agli interessi legali dal 10.8.1996.

Accoglieva infine l’appello incidentale condizionato riguardante la richiesta di determinazione dell’indennità di occupazione per mq.

1165 a seguito della dichiarazione di pubblica utilità del 1990 e del successivo decreto del Prefetto n. 6472/91 in base al quale era stata disposta l’immissione in possesso.

Avverso tale sentenza G.M. ed G.E. proponevano avanti alla stessa Corte d’Appello ricorso per revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4, deducendo che la decisione era fondata sulla premessa erronea che nessuno dei manufatti al servizio della ferrovia era stato realizzato in contrasto con quanto accertato dal Tribunale e dal C.T.U., da cui risultava invece che durante il quinquennio di occupazione legittima era avvenuta l’irreversibile trasformazione dell’area espropriata.

Si costituiva la CO.FE.RI. che ne chiedeva il rigetto.

La Corte d’Appello di Napoli, dopo aver sospeso su richiesta dei ricorrenti i termini per il ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 838/04, dichiarava inammissibile il ricorso per revocazione con sentenza n. 2633 del 2006, rilevando che l’osservazione della Corte contenuta nella sentenza impugnata (n. 938/04) – secondo cui come risultava dalla sentenza dei Tribunale alla data del sopralluogo i manufatti non erano stati eseguiti – si risolveva in un’errata lettura di detta sentenza, ma non implicava un’errata percezione di quanto emergeva dagli atti.

Avverso entrambe le sentenze G.M. ed G.E. propongono ricorso per cassazione, deducendo, con riferimento alla sentenza n. 2633/06 pronunciata nel giudizio per revocazione, due motivi di censura e, con riguardo alla sentenza n. 938/04, sei motivi.

Il Consorzio CO.FE.RI. in liquidazione resiste con controricorso ad entrambi i ricorsi, eccependo in via pregiudiziale l’improcedibilità del ricorso per inosservanza del termine per il deposito previsto dall’art. 369 c.p.c..

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Pregiudizialmente deve essere rigettata l’eccezione di improcedibilità del ricorso sollevata dal Consorzio che ha dedotto il suo tardivo deposito in violazione dell’art. 369 c.p.c., sul rilievo che la relativa notifica era avvenuta in data 16.3.2007 ed il deposito solo il 16.4.2007, vale a dire oltre il termine di giorni venti previsto da detta norma.

Come correttamente hanno evidenziato i ricorrenti, risulta invece dagli atti, la cui lettura è certamente consentita in questa sede in presenza del dedotto vizio di ordine processuale, che la notifica al procuratore del Consorzio reca la data del 16.3.2007 mentre il relativo plico postale è stato consegnato al servizio postale per la spedizione in raccomandazione alla cancelleria di questa Corte il 5.4.2007 e cioè nel ventesimo giorno successivo e conformemente alle modalità previste dall’art. 134 disp. att. c.p.c., comma 1 il quale al comma 5 espressamente prevede che il deposito si ha per avvenuto, a tutti gli effetti, alla data di spedizione dei plichi con lettera raccomandata.

Venendo ora all’esame dei due distinti ricorsi, quello avverso la sentenza n. 2633/06 emessa dalla Corte d’Appello in sede di giudizio per revocazione e quello avverso la sentenza n. 938/04 di cui era stata richiesta la revocazione, prioritario è certamente il primo.

Con il primo motivo di tale ricorso G.M. ed G.E. lamentano che nonostante la Corte d’Appello con la sentenza n. 938/04 fosse incorsa nell’erroneo convincimento, sulla base di quanto sarebbe stato precisato nella sentenza del Tribunale, che fino alla data del sopralluogo del C.T.U. Ing. L. “non risultavano eseguiti manufatti”, mentre la realizzazione dell’opera pubblica nel periodo di occupazione legittima risultava dagli atti processuali e, precisamente, dalla relazione di detto C.T.U. (pag.

9), dalla citata sentenza del Tribunale (pag. 3) (che non dice quanto riportato dalla Corte d’Appello) nonchè dagli atti di essi ricorrenti non smentiti sul punto dalla controparte – in sede di revocazione la stessa Corte d’Appello con la sentenza n. 2633/06 abbia sostenuto che la rilevata affermazione si risolveva in un’errata lettura della decisione, ma non implicava un’errata percezione di ciò che emergeva dagli atti e che la Corte era tenuta a valutare in quanto investita dall’appello. Deducono altresì che la circostanza relativa alla realizzazione dell’opera non era stata oggetto di dibattito processuale, che l’errore non riguarda violazioni di legge ed emerge con assoluta evidenza dagli atti e che infine trattasi di errore decisivo in quanto dall’inesistenza di un’opera pubblica e quindi dalla mancanza di un’irreversibile trasformazione del terreno nonchè dalla previsione di un termine – di efficacia fino al 31.12.1997 è stata tratta la convinzione, peraltro d’ufficio, della legittimità della procedura di esproprio a seguito del decreto di esproprio intervenuto in data 11.8.1996.

Lamentano infine l’erroneo riferimento operato dalla Corte d’Appello in dispositivo a mq. 2745 mentre in realtà la liquidazione era avvenuta solo con riferimento alla parte di terreno occupata con decreto emesso in data 8.1.1991.

Con il secondo motivo, proposto in via subordinata, i ricorrenti denunciano difetto di motivazione. Lamentano che la Corte d’Appello abbia ritenuto che l’errore in questione non implicherebbe un’errata percezione di quanto emerge dagli atti, risolvendosi in un’errata lettura della sentenza, senza considerare non solo che l’errore si desume dagli atti di causa ma che la stessa errata lettura della sentenza costituisce un errore di fatto suscettibile di tutela revocatoria.

Il ricorso è fondato.

Secondo i principi da tempo ormai consolidati, il motivo di revocazione previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, costituito dall’errore di fatto, consiste in una falsa percezione della realtà risultante con assoluta immediatezza dagli atti senza l’ausilio di indagini ermeneutiche, vale a dire in una semplice. svista di carattere materiale che abbia indotto il giudice ad affermare od a supporre l’esistenza di un fatto incontestabilmente escluso dagli atti ovvero l’inesistenza di un fatto che risulti invece positivamente, accertato. Inoltre tale fatto deve avere il carattere della decisività e non deve aver costituito un punto controverso su cui il giudice si è pronunciato.

Nell’ipotesi in esame la Corte d’Appello con la sentenza n. 938/04 (pag. 9) premette, a sostegno delle argomentazioni giuridiche poi svolte, che dalla decisione del Tribunale risultava a pag. 4 che “fino alla data del sopralluogo del consulente d’ufficio, ing. L. R., di poco antecedente alla data di deposito della relazione del 18.1.2000, pur essendo stato emesso il decreto di esproprio dal Prefetto di Benevento in data 11.8.1996 di una superficie di terreno di proprietà degli attori estesa mq. 2865, nessuno dei manufatti a servizio delle ferrovie elencati nelle tre li dichiarazioni di pubblica utilità, una di rinnovo, depositate dall’appellante (Consorzio n.d.r.) era stato realizzato, verosimilmente a causa di quella dichiarazione di fallimento della società- appaltatrice dei lavori di cui è menzione; incidentale negli atti stessi”.

A fronte di tali affermazioni non rimane quindi che procedere ancora una volta alla lettura degli atti, richiamati del resto dagli stessi ricorrenti, che ne hanno testualmente riportato il contenuto.

Orbene, la sentenza del Tribunale, mentre a pag. 3 afferma testualmente che “è pacifico altresì che sono stati ultimati i lavori”, alla successiva pag. 4 indicata dalla Corte d’Appello richiama la relazione del C.T.U., precisando che questi aveva accertato che l’area occupata era stata “irreversibilmente trasformata”; ciò in conformità del resto alle affermazioni contenute nell’atto introduttivo del giudizio e non contestate da controparte. Di tale irreversibile trasformazione risulta inoltre pieno riscontro a pag. 9 della relazione dell’ing. L. in cui, oltre tutto, è precisato che essa è avvenuta nel quinquennio di occupazione legittima.

Che si tratti quindi di un errore di percezione in cui è incorsa la Corte d’Appello nella lettura degli atti è fin troppo evidente, essendo stata l’esclusa l’esistenza di un fatto (la irreversibile trasformazione dei terreno) che risultava invece positivamente e pacificamente accertato sin dall’inizio del procedimento senza contestazione alcuna.

Non si comprendono pertanto le diverse conclusioni cui è giunta la Corte d’Appello secondo cui tale contrasto ” si risolve in un’errata lettura della sentenza (di primo grado (n.d.r.) ma non implica un’errata percezione di ciò che emergeva dagli atti e che la Corte era tenuta a valutare in quanto investita dall’appello”.

Tale pretesa “diversa lettura”, non meglio specificata, non può considerarsi infatti frutto di una non corretta interpretazione della sentenza o di un difetto di motivazione, certamente non sindacabili in sede di revocazione, ma in un vero e proprio errore di fatto, vale a dire in un’errata percezione di quanto incontestabilmente risultava dagli atti, costituito, ripetasi, dall’avvenuta irreversibile trasformazione del terreno.

Per quanto riguarda la decisività del rilevato errore di fatto, la risposta non può che essere positiva.

La Corte d’Appello con la sentenza n. 938/04 ha desunto dall’affermazione, frutto appunto di un errore di fatto, con cui ha escluso che il terreno fosse stato irreversibilmente trasformato, la tempestività della rinnovazione della dichiarazione di pubblica utilità intervenuta in data 18.3.1995 in considerazione della irrilevanza, in tal caso, della scadenza dei termini relativi alla precedente dichiarazione.

Nella diversa ipotesi invece, esclusa con detta sentenza, che sia effettivamente avvenuta l’irreversibile trasformazione del terreno con la realizzazione dell’opera, come emerge dalla presente fase rescindente, la rinnovazione, intervenuta dopo la scadenza degli originari termini (da non confondere quindi con la proroga la quale presuppone che detti termini non siano ancora decorsi) si inserisce in una fase caratterizzata ormai da una soluzione di continuità con la conseguente impossibilità di raccordarsi ex tunc con la precedente (Cass. 1836/01).

Tutto ciò con ogni conseguenza sulla (il)liceità del procedimento amministrativo relativamente a mq. 1580, ritenuto invece del tutto legittimo dalla Corte d’Appello ed improduttivo quindi di risarcimento del danno sulla base proprio della rilevata inesistenza di una trasformazione irreversibile del terreno.

Le esposte considerazioni non possono che comportare quindi l’accoglimento del primo motivo di ricorso avverso la sentenza n. 2633/06 e l’assorbimento del secondo dedotto solo in via subordinata.

Rimangono pertanto assorbiti anche i motivi di ricorso avverso la sentenza n. 938/04, con la conseguente Cassazione di entrambe le sentenze.

Il giudice di rinvio, che si indica nella stessa Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione, nell’uniformarsi alle conclusioni sopra espresse con riferimento alla sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello in sede di revocazione, provvedere, sulla base della diversa situazione di fatto che già risultava dagli atti incontestabilmente, ad un nuovo esame degli appelli, già valutati con la sentenza n. 938/04 nonchè alle spese del presente giudizio di legittimità, tenendo conto del diverso rilievo da attribuire alla rinnovazione della dichiarazione di pubblica utilità allorchè intervenga quando gli originar termini siano scaduti.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Accoglie il primo motivo e dichiara assorbito: il secondo del ricorso avverso la sentenza n. 2633/06. Dichiara assorbiti i motivi avverso la sentenza n. 938/04. Cassa entrambe le sentenze impugnate e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 1 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2010

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