Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26866 del 04/10/2021

Cassazione civile sez. I, 04/10/2021, (ud. 10/09/2021, dep. 04/10/2021), n.26866

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25995/2020 proposto da:

E.P., elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso

lo studio dell’avv. Rocco Barbato, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avv. Massimiliano Cornacchine;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), il persona del Ministro, pro

tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 6313/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 30/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/09/2021 dal Consigliere Dott. Rita RUSSO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

Il ricorrente, cittadino nigeriano, ha chiesto la protezione internazionale dichiarando di essere fuggito dal suo paese dopo avere ferito accidentalmente con un fucile durante una festa pubblica una bambina; deduce il timore di essere arrestato in caso di ritorno in patria.

La competente Commissione territoriale ha respinto la richiesta.

Il Tribunale di Napoli, adito dal ricorrente, ha respinto la domanda.

Il richiedente asilo ha proposto appello, che è stato rigettato dalla Corte d’appello di Napoli, rilevando che il primo motivo di appello si riduce ad una mera ricognizione normativa; che il secondo motivo d’appello è inammissibile in quanto inconferente, poiché in esso si esprimono considerazioni del tutto disancorate dalla storia personale narrata dal richiedente, deducendosi il rischio di aggressioni e persecuzioni subite da un gruppo terroristico; che inoltre l’appellante ha invocato come clausola di stile lo stereotipo della possibile impossibilità di ottenere protezione da parte delle autorità di polizia. Escluso il profilo di rischio individuale, la Corte esclude anche il rischio da violenza indiscriminata derivante da conflitto, sulla base delle informazioni tratte dai Report Amnesty (2015/2016) e UNHCR; escludo infine la ricorrenza dei presupposto per la protezione umanitaria poiché il richiedente non ha validamente allegato una particolare condizione di vulnerabilità considerando che la situazione del socio politica del paese di provenienza non preferita profili di stabilità tali da determinare alcuna personalizzata esposizione al rischio del richiedente.

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il richiedente asilo affidandosi a tre motivi.

L’Avvocatura dello Stato, non tempestivamente costituita, ha presentato istanza per la partecipazione ad eventuale discussione orale. La causa è stata trattata all’udienza camerale non partecipata del 10 settembre 2021.

Diritto

RITENUTO

Che:

1.- Preliminarmente si osserva che il ricorso, notificato in data 5 ottobre 2020 avverso una sentenza pubblicata in data 30 dicembre 2019, è tempestivo.

Il D.L. n. 18 del 2020, art. 83, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. n. 27 del 2020, ha disposto che “dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 è sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali”, dovendosi ritenere sospesi, fra l’altro, i termini stabiliti “per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali”.

Il termine finale così fissato è stato poi prorogato – dal D.L. n. 23 del 2020, art. 36, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. n. 40 del 2020 – all’11 maggio 2020, sicché i termini processuali di tutti i procedimenti civili risultano sospesi dal 9 marzo 2020 all’11 maggio 2020 e hanno ripreso a decorrere dalla fine del periodo di sospensione, vale a dire dal 12 maggio 2020.

Vero è che la regola generale subisce eccezioni, e segnatamente quella prevista dall’art. 83, comma 3, relativa ai procedimenti cautelari aventi ad oggetto la tutela di diritti fondamentali della persona, ma detta eccezione, di lettura necessariamente restrittiva, non riguarda i processi di protezione internazionale, che pur se finalizzati alla tutela di diritti fondamentali della persona non hanno natura cautelare, in quanto non sono rivolti ad assicurare una tutela d’urgenza anticipata, strumentale a un successivo giudizio di cognizione, ma costituiscono lo strumento processuale attraverso il quale si assicura, in sede di cognizione piena, la tutela definitiva dei suddetti diritti (in tema, con riferimento ai giudizi di incandidabilità di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 143, comma 11, si veda Cass. 2749/2021).

2.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per avere la Corte erroneamente dichiarato inammissibile il capo di appello relativo allo status di rifugiato. La parte deduce che la dichiarazione di inammissibilità dei motivi di gravame risulta fondata esclusivamente su un errore materiale di battitura, mentre, di contro, l’atto di appello risponde a tutti i requisiti previsti dalla norma processuale. Espone che effettivamente nell’atto d’appello è stata dedotta la sussistenza di aggressioni e persecuzioni subite da gruppi terroristici, ma si tratta di errori materiali di battitura dato che da una lettura complessiva dell’appello, in particolare dal fatto storico, emerge chiaramente che le minacce e aggressioni narrate dal richiedente asilo provenivano dalla famiglia della bambina.

Con il secondo motivo d’appello si lamenta la nullità della sentenza per omessa pronuncia con violazione dell’art. 112 c.p.c., nonché del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 7, 9, 11 e 17, dell’art. 11, n. 1, lett. e) della Direttiva del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/83/CE e della Direttiva 2001/95/CE nonché dell’art. 10 della Direttiva 2013/32/UE in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. Il ricorrente lamenta che il giudice d’appello ha omesso di esaminare la domanda di protezione internazionale, benché con il ricorso di prima istanza e con l’appello siano stati indicati specificati fatti costitutivi del diritto per il riconoscimento delle predette forme di protezione.

I motivi possono esaminarsi congiuntamente sono inammissibili.

L’atto d’appello deve contenere a pena di inammissibilità, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., censure specifiche alla sentenza di primo grado ed è questo difetto che è stato rilevato dalla Corte, la quale osserva che la parte si è limitata, per un verso, ad una mera ricognizione della normativa esistente, per altro ha evidenziato un profilo di rischio del tutto inconferente (le aggressioni terroristiche) con la storia narrata. La circostanza che nella parte in fatto dell’atto d’appello il richiedente abbia operato un riferimento alla storia riferita innanzi alla Commissione territoriale, e cioè di essere fuggito dal suo paese per timore di vendetta privata, lungi dal giustificare il presunto “errore di battitura” evidenzia ancora di più la inconferenza del motivo d’appello con la storia narrata e l’insanabile contraddizione nell’atto di appello tra la parte in fatto e i motivi dell’impugnazione. Né la parte, pur parlando di errore materiale, trascrive o riassume una specifica censura contenuta nell’atto d’appello alle effettive rationes decidendi della sentenza di primo grado.

Il ricorrente peraltro non considera che La Corte ha comunque tenuto conto di quanto esposto nella parte in fatto, osservando che il ricorrente ha parlato di un crimine comune ma senza dare riscontro sull’eventuale processo a suo carico ed ha allegato “con clausola di stile lo stereotipo della impossibilità di ottenere protezione da parte della autorità”.

In tal modo la Corte ha stigmatizzato oltre che la genericità e inconferenza dell’atto di appello, anche il difetto di allegazione. Il ricorrente è infatti tenuto ad allegare in modo chiaro e completo i fatti costitutivi della pretesa (Cass. n. 11175/2020; Cass. n. 24010/2020) posto che il ricorrente è l’unico ad essere in possesso delle informazioni relative alla sua storia personale e quindi deve indicare gli elementi relativi all’età, all’estrazione, ai rapporti familiari, ai luoghi in cui ha soggiornato in precedenza, alle domande di asilo eventualmente già presentate (v. CGUE 5 giugno 2014, causa C-146/14; nello stesso senso Cass. 8819/2020). L’onere di allegazione deve essere soddisfatto anche sul punto della effettività del rischio di subire un processo ingiusto, ovvero un danno grave da un agente privato. La persecuzione da un agente privato rileva infatti solo nel caso in cui l’organizzazione statale non sia in grado, in concreto, di proteggere il suo cittadino; pertanto è essenziale che il richiedente, sul quale incombe l’onere di allegazione (Cass. n. 11175/2020; Cass. n. 24010/2020) specifichi se si è rivolto o meno alle autorità e quale è stata la risposta. Ciò in quanto il giudice non deve valutare in astratto l’efficienza dei sistemi giudiziari dei paesi terzi, bensì verificare se in concreto e in quella specifica situazione la protezione dello Stato si è rivelata o potrebbe rivelarsi inefficiente, indagine che il giudice non può compiere se il richiedente non illustra i dettagli della propria vicenda individuale anche su questo punto.

3.- Con il terzo motivo del ricorso la parte lamenta la violazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, nonché del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 32, per il mancato riconoscimento della protezione umanitaria, in violazione del principio di non respingimento anche in relazione al rischio dell’applicazione della pena di morte, nonché la violazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria e per non aver considerato la grave situazione di vulnerabilità personale del ricorrente.

Lamenta che la Corte pur ritenendo credibile la storia non abbia svolto alcuna indagine sul rischio di subire un processo ingiusto o una pena di morte o trattamenti inumani o degradanti.

Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente non coglie la ratio decidendi della sentenza, posto che la Corte ha rilevato che manca la allegazione di un rischio credibile, sia per la inconferenza del rischio dedotto in appello (attacchi terroristici) sia in relazione a quanto già osservato dal giudice di primo grado sulla mancata allegazione della pendenza di un processo, sia per la genericità con la quale viene dedotto il rischio di vendetta e lo stereotipo di non poter ottenere protezione della polizia. Se il ricorrente non soddisfa l’onere di allegazione il giudice non può e non deve supplire ad eventuali carenze delle allegazioni stesse (Cass. n. 2355/2020; Cass. 8819/2020).

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Nulla sulle spese in difetto di regolare costituzione da parte del Ministero.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2021

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