Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26861 del 14/12/2011

Cassazione civile sez. lav., 14/12/2011, (ud. 05/10/2011, dep. 14/12/2011), n.26861

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11485-2007 proposto da:

R.A.I. – RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CRESCENZIO 91, presso lo studio dell’avvocato LUCISANO CLAUDIO, che

la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COLOMBO LUIGI,

RUBENS ESPOSITO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.R.;

– intimata –

sul ricorso 12557-2007 proposto da:

P.R., già elettivamente domiciliatain ROMA, VIALE DEL

VIGNOLA 5, presso lo studio dell’avvocato GUTTEREZ GAETANO,

rappresentata e difesa dall’avvocato BELCASTRO SAVERIO VINCENZO,

giusta delega in atti e da ultimo domiciliata presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

-controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

R.A.I. – RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CRESCENZIO 91, presso lo studio dell’avvocato LUCISANO CLAUDIO, che

la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COLOMBO LUIGI,

RUBENS ESPOSITO, giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza non definitiva n. 65/06 e sentenza definitiva n.

298/06 della CORTE D’APPELLO di MILANO, dep. 20.1.2006 e il

11/04/2006 r.g.n. 1114/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/10/2011 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito l’Avvocato LUCISANO CLAUDIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

incidentale, assorbito il ricorso principale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza non definitiva del 9/11/05 – 20/1/06 la Corte d’Appello di Milano, pronunziando sull’impugnazione proposta da P.R. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Milano che le aveva respinto la domanda diretta sia all’accertamento dell’illegittimità dell’apposizione del termine ai contratti di lavoro conclusi con la R.A.I., sia al riconoscimento dell’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato sin dal 1986 e sia alla dichiarazione di illegittimità dell’inquadramento attribuitole, riformò parzialmente la decisione gravata e, ritenuto il diritto dell’appellante al riconoscimento del 5^ livello a decorrere dal 10/10/2000, condannò l’azienda radiotelevisiva al pagamento delle differenze retributive, con interessi legali e rivalutazione monetaria da calcolarsi in separato giudizio.

La Corte milanese ritenne che non poteva sussistere un interesse della lavoratrice all’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro, anche al di là della questione della legittimità o meno dell’apposizione del termine ai vari contratti intercorsi tra le parti fino al 27/12/99, avendo la medesima rassegnato spontaneamente le dimissioni per motivi di salute nel corso dell’ultimo rapporto scadente il 15/12/00, la qual cosa poneva termine anche alla eventuale configurazione di un rapporto a tempo indeterminato; inoltre, era da ritenere legittima l’apposizione del termine ai cinque contratti intercorsi successivamente tra le parti a seguito delle suddette dimissioni nel periodo compreso tra il 10/10/2000 ed il 28/3/2003, trattandosi di contratti stipulati in relazione a programmazioni televisive contraddistinte dalla specificità, caratteristica, questa, atta a giustificare la deroga alla regola del rapporto lavorativo a tempo indeterminato, così come desumibile anche dalla professionalità del suo lavoro di truccatrice- parrucchiera altamente specializzata; nè poteva ritenersi illegittima la risoluzione anticipata dell’ultimo rapporto, avvenuta in data 28/3/2003, in quanto giustificata dalla cessazione anticipata del programma per il quale il contratto a termine era stato concluso, al punto che la medesima lavoratrice l’aveva espressamente accettata;

doveva, invece, ritenersi parzialmente fondata la domanda diretta al superiore inquadramento nel 5^ livello, traendosi dalle stesse deduzioni difensive dell’azienda televisiva il riconoscimento dell’autonomia e professionalità della prestazione lavorativa della P., caratteristiche, queste, atte a giustificare il reclamato inquadramento.

Con sentenza definitiva del 17/3 – 11/4/06 la Corte territoriale condannò, quindi, la R.A.I. al pagamento della somma di Euro 6.178,69, oltre che agli accessori di legge e ad una metà delle spese del doppio grado di giudizio, previa compensazione tra le parti dell’altra metà.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso la R.A.I – Radiotelevisione Italiana S.p.A., che affida l’impugnazione ad un unico motivo di censura.

Resiste con controricorso la P., la quale propone, a sua volta, ricorso incidentale affidato, anch’esso, ad un solo articolato motivo, al cui accoglimento si oppone l’azienda radiotelevisiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

1. Con un unico articolato motivo la società ricorrente denunzia la violazione dell’accordo collettivo di lavoro stipulato, fra gli altri, da Rai – Radiotelevisione italiana S.p.a e SLC – CGIL, FISTEL- CISL, UILSIC-UIL in data 8 giugno 2000, nonchè la violazione dell’art. 1363 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

In particolare, la difesa della società radiotelevisiva sostiene che la Corte di merito è incorsa in errore laddove ha affermato che “l’inquadramento della ricorrente effettuato sempre in 8^ livello, con nessuna possibilità di progressione automatica trattandosi di un contratto a termine, risulta pertanto illegittimo”; la ragione dell’errore risiederebbe nel fatto che la lettura complessiva dell’Accordo dell’8 giugno 2000 consente di appurare, contrariamente alla soluzione interpretativa adottata nella sentenza (applicazione ai soli lavoratori a tempo indeterminato dell’inquadramento automatico collegato all’anzianità di servizio), che il principio della prestazione di servizio per il tempo previsto dal contratto collettivo si applica a qualunque lavoratore subordinato, sia esso a tempo determinato che indeterminato.

Sulla base di tale premessa la ricorrente sviluppa, quindi, il seguente ragionamento: – Nello specifico caso della P. il contratto collettivo precedente all’Accordo del 2000 disponeva che “il truccatore parrucchiere è assunto al 3^ livello dell’operaio specializzato e dopo aver effettuato l’iter di carriera previsto per quest’ultimo potrà accedere al livello dell’operaio altamente specializzato (cl. 5, corrispondente all’attuale livello 5^ dell’Accordo del 2000) nel caso svolga le mansioni di 1 truccatore”;

non avendo la ricorrente dedotto e provato di aver svolto mansioni di 1 truccatore, la Corte d’appello non aveva potuto riconoscerle il superiore inquadramento rivendicato per il periodo di vigenza del CCNL del 1990, ma aveva preso in considerazione il periodo successivo all’entrata in vigore dell’Accordo del 2000 e, dunque, i contratti succedutisi dall’ottobre del 2000 in poi. Restava fermo, però, che, anche a mente di quanto disposto dalla nota a verbale dell’Accordo del 2000, la P. non aveva lavorato per il periodo di tempo contrattualmente prescritto per il riconoscimento del livello da lei richiesto, come si poteva agevolmente verificare sommando i periodi di effettiva prestazione in base ai singoli contratti a termine.

Pertanto, l’inquadramento della lavoratrice al 5^ livello comportava, nel contestato ragionamento della Corte d’appello, l’inaccettabile disapplicazione della disposizione dell’Accordo del 2000 relativa al progresso in carriera in ragione del tempo di permanenza in servizio, con la conseguenza che veniva consentito alla P. di saltare le tappe di carriera passando direttamente dall’ottavo ai quinto livello per la sola ragione che non era stata assunta a tempo indeterminato.

Da parte sua la difesa della lavoratrice eccepisce preliminarmente l’intervenuta decadenza della RAI – Radiotelevisione italiana S.p.a dalla presente impugnazione, non avendo quest’ultima mai formulato la riserva facoltativa di ricorso avverso la sentenza non definitiva n. 65 del 9/11/2005, depositata il 20/1/2006, nè entro il termine per la proposizione del ricorso, nè entro la prima udienza successiva alla comunicazione della sentenza stessa, il tutto in chiara violazione dei termini di cui all’art. 361 c.p.c..

Osserva la Corte che tale eccezione preliminare è fondata e, pertanto, il ricorso proposto dalla società radiotelevisiva è inammissibile.

Invero, l’art. 361 c.p.c. stabilisce che contro le sentenze previste dall’art. 278 e contro quelle che decidono una o alcune delle domande senza definire l’intero giudizio, il ricorso per cassazione può essere differito, qualora la parte soccombente ne faccia riserva, a pena di decadenza, entro il termine per la proposizione del ricorso e in ogni caso non oltre la prima udienza successiva alla comunicazione della sentenza stessa.

Si è anche statuito (Cass. sez. 3 n. 212 del 9/1/2007) che “nel sistema di riserva facoltativa d’impugnazione contro sentenza non definitiva, la mancata dichiarazione di riserva o la sua irritualità o tardività producono la decadenza del diritto oggetto della riserva, ma non precludono l’esercizio del potere di impugnazione della sentenza non definitiva, secondo le regole generali.” Orbene, nella fattispecie non risulta, come esattamente eccepito dalla P., che la difesa della società radiotelevisiva abbia proposto riserva di impugnazione avverso la suddetta sentenza non definitiva, per cui l’attuale ricorso principale della RAI – Radiotelevisione Italiana S.p.A è inammissibile ai sensi dell’art. 361 c.p.c..

2. Col ricorso incidentale la lavoratrice denunzia la violazione e falsa applicazione delle norme di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 1 e segg. e successive modificazioni con L. 2 maggio 1977, n. 266, della L. 18 aprile 1987, n. 56, della L. n. 196 del 1997 e del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368.

Attraverso il quesito di diritto, formulato in tre punti al termine dell’illustrazione dell’unico motivo di censura, la difesa della P. chiede, in sintesi, di accertare quanto segue: a) se la successione di tutti i contratti a termine intercorsi tra le parti costituisca violazione della L. n. 230 del 1962, art. 1 della L. n. 56 del 1987, art. 23 e del D.Lgs n. 368 del 2001, con conversione degli stessi in un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato e con conseguente diritto alle differenze retributive per gli istituti legati all’anzianità di servizio (aumenti periodici o scatti di anzianità); b) se le dimissioni della lavoratrice del 27/12/99 potevano ritenersi idonee a por fine al rapporto, con preclusione della possibilità di accertarne la unicità e la durata indeterminata, per cui sul punto la motivazione della sentenza impugnata deve ritenersi affetta dai vizi di omissione e di insufficienza; c) se l’atto di risoluzione anticipata del rapporto da parte della RAI s.p.a a causa della cessazione anticipata del programma televisivo, sottoscritto per accettazione dalla lavoratrice, violava l’art. 2119 c.c. e la L. n. 604 del 1966, trattandosi non di ipotesi di giusta causa, ma di giustificato motivo di risoluzione per il quale era da considerare inammissibile il recesso anticipato; se il ritiro della lettera di risoluzione del rapporto e la relativa sottoscrizione rappresentavano un atto di mero ricevimento che non precludeva l’opposizione all’atto risolutivo e se la stessa comunicazione della risoluzione non costituiva, piuttosto, un atto negoziale unilaterale della società privo dei requisiti necessari per valere come atto di rinunzia o transazione ai sensi dell’art. 2113 c.c..

Osserva la Corte che il ricorso incidentale è inammissibile.

Anzitutto, per quel che concerne la questione dell’apposizione del termine ai vari contratti intercorsi tra le parti, di cui al primo punto del quesito, vi è da rilevare che la lavoratrice non deduce circostanze atte a far valere la illegittimità dei singoli contratti a termine a fronte delle considerazioni svolte al riguardo dal giudice d’appello, le cui argomentazioni, essendo corrette sul versante logico-giuridico, non possono essere censurate in questa sede di legittimità. Invero, con motivazione congrua ed immune da vizi di carattere logico-giuridico, la Corte territoriale ha precisato che era da ritenere legittima l’apposizione del termine ai cinque contratti intercorsi tra le parti, successivamente alle dimissioni del 27/12/99, nel periodo compreso tra il 10/10/2000 ed il 28/3/2003, trattandosi di contratti stipulati in base alla clausola dell’accordo collettivo del 5/4/1997 (ripresa nel ccnl dell’8/6/2000), in attuazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 in relazione a programmazioni televisive contraddistinte dalla specificità, caratteristica, questa, atta a giustificare la deroga alla regola del rapporto lavorativo a tempo indeterminato. In definitiva, il giudice d’appello ha ritenuto che le singole clausole con le quali era stato fissato un termine ai suddetti contratti rispondevano alla causale prevista dalla summenzionata disposizione collettiva per l’apposizione del termine, vale a dire quella dell’esecuzione di “un programma od una pluralità di specifici programmi quando l’impegno per ciascun programma non esaurisce la prestazione giornaliera o settimanale”.

Quanto al secondo punto del quesito, vale a dire la contestata idoneità dell’atto di dimissioni della lavoratrice ai fini della interruzione del rapporto, si rileva che l’inammissibilità del quesito discende dal fatto che la parte ha omesso di allegare, in spregio al principio dell’autosufficienza che governa il giudizio di legittimità, l’atto stesso delle sue dimissioni.

Come hanno statuito, infatti, le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. Un., Ordinanza n. 7161 del 25/3/2010), “in tema di ricorso per cassazione, l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, oltre a richiedere l’indicazione degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto; tale prescrizione va correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 per cui deve ritenersi, in particolare, soddisfatta: a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la produzione del fascicolo, purchè nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile; b) qualora il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l’indicazione che il documento è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di controparte, pur se cautelativamente si rivela opportuna la produzione del documento, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per il caso in cui la controparte non si costituisca in sede di legittimità o si costituisca senza produrre il fascicolo o lo produca senza documento;

c) qualora si tratti di documento non prodotto nelle fasi di merito, relativo alla nullità della sentenza od all’ammissibilità del ricorso (art. 372 p.c.) oppure di documento attinente alla fondatezza del ricorso e formato dopo la fase di merito e comunque dopo l’esaurimento della possibilità di produrlo, mediante la produzione del documento, previa individuazione e indicazione della produzione stessa nell’ambito del ricorso.” Quanto all’ultimo punto del quesito che involge l’interpretazione dell’atto di risoluzione del rapporto da parte della società si osserva che l’inammissibilità deriva dal fatto che attraverso lo stesso viene tentata una rivisitazione delle risultanze istruttorie che non è consentita nel giudizio di legittimità. Infatti, la P. contesta la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la risoluzione anticipata del rapporto da parte della società rappresentava una giusta causa di recesso “ante tempus” a causa della cessazione del programma televisivo per il quale era stato stipulato il relativo contratto a termine, cessazione accettata espressamente da essa lavoratrice, la quale aveva, in tal modo, dimostrato di esprimere il proprio consenso a tale forma di risoluzione del rapporto; tuttavia, nel coltivare tale contestazione, la P. introduce argomentazioni difensive incentrate sulla natura giuridica, sulla supposta portata e sul contenuto di tale atto di risoluzione datoriale, oltre che della sua accettazione da parte di essa lavoratrice, argomentazioni che implicano nel loro insieme una inammissibile rivisitazione delle risultanze istruttorie già adeguatamente vagliate dalla Corte di merito con motivazioni immuni da vizi di carattere logico-giuridico, e che tendono, nel contempo, all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. La reciproca soccombenza delle parti induce questa Corte a ritenere compensate tra le parti le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce t ricorsi e dichiara inammissibile sia il ricorso principale che quello incidentale. Compensa le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 5 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2011

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