Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26859 del 22/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 22/12/2016, (ud. 05/10/2016, dep.22/12/2016),  n. 26859

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 21170 – 2015 R.G. proposto da:

F.A. – c.f. (OMISSIS) – (quale erede della madre,

Fo.Ma., per la quota del 39%) – F.R. – c.f. (OMISSIS) –

(quale erede della madre, Fo.Ma., per la quota del 39%) –

FE.AL. – c.f. (OMISSIS) – (quale erede della madre,

Fo.Ma., per la quota del 22%) – elettivamente domiciliati in

Palermo, al viale delle Alpi, n. 7, presso lo studio dell’avvocato

Antonina, detta Antonella, Fundarò che li rappresenta e difende in

virtù di procura speciale a margine del ricorso.

– ricorrenti –

contro

MINISTERO della GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

Avverso il Decreto n. 15 dei 8/14.1.2015 della corte d’appello di

Caltanissetta;

Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 5

ottobre 2016 dal Consigliere Dott. Abete Luigi;

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso alla corte d’appello di Caltanissetta depositato in data 10.9.2012 Fo.Ma. si doleva per l’eccessiva durata dei giudizi, all’uopo riuniti, nell’ambito dei quali f.c., con atti di citazione notificati il 18.3.1983 ed il 23.7.1984, l’aveva convenuta dinanzi al tribunale di Palermo, giudizi pendenti innanzi a questa Corte di legittimità alla data del deposito del ricorso ex L. n. 81 del 2001.

Resisteva il Ministero della Giustizia.

Con Decreto n. 15 dei 8/14.1.2015 la corte d’appello di Caltanissetta accoglieva il ricorso, condannava il Ministero resistente a pagare alla ricorrente per l’irragionevole durata dei giudizi “presupposti” la somma di Euro 13.375,00 oltre interessi e compensava integralmente le spese del procedimento.

Esplicitava, la corte, che i giudizi avevano avuto una durata complessiva pari a ventisei anni e quattro mesi e che segnatamente il periodo di irragionevole durata, tenuto conto pur dei rinvii chiesti in appello dalle parti, era pari diciassette anni e 10 mesi.

Esplicitava altresì che l’equo indennizzo poteva computarsi nella misura di Euro 750,00 per ciascun anno di ritardo.

Esplicitava infine che in considerazione della condotta processuale del Ministero resistente si prospettavano gravi ed eccezionali ragioni per compensare integralmente le spese di lite.

Avverso tale decreto hanno proposto ricorso sulla scorta di due motivi, di cui il secondo articolato in quattro “profili”, A., R. ed Fe.Al., tutti quali eredi della madre, Fo.Ma.; hanno chiesto che questa Corte ne disponga per quanto di ragione la cassazione e decida nel merito con condanna del Ministero alle spese e del primo giudizio e del giudizio di legittimità, spese da attribuirsi al difensore anticipatario.

Il Ministero della Giustizia non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, dell’art. 6 della C.E.D.U., dell’art. 111 Cost. nonchè degli artt. 1223, 1226, 1227 e 2056 c.c..

Deducono che la quantificazione dell’indennizzo, quale operata dalla corte di merito, con riferimento agli anni di irragionevole durata successivi ai primi tre, non si conforma alla misura – pari ad Euro 1.000,00 – quale individuata dall’elaborazione giurisprudenziale di questa Corte e della Corte E.D.U..

Deducono inoltre che la corte distrettuale non ha in alcun modo esplicitato l’iter logico – argomentativo che l’ha indotta all’operata quantificazione.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., e art. 738 c.p.c., u.c., della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5, degli artt. 6 e 13 della C.E.D.U. e dell’art. 1 Primo Protocollo Addizionale C.E.D.U.; l’insussistenza di gravi ed eccezionali ragioni ai fini della disposta integrale compensazione delle spese; l’insussistenza di un onere di produzione documentale; l’insussistenza di reciproca soccombenza.

Segnatamente con il primo profilo (del secondo motivo) deducono che la mancata produzione di documenti ulteriori rispetto a quelli strettamente necessari “non può (…) avere alcuna refluenza sul regime delle spese processuali” (così ricorso, pag. 16); che invero era onere ex lege della corte territoriale attendere all’acquisizione della documentazione, tanto più che l’originaria ricorrente ha provveduto all’allegazione della documentazione utile in suo possesso; che, d’altra parte, la domanda è stata integralmente accolta.

Segnatamente con il secondo profilo (del secondo motivo) deducono che nel domandare l’equa riparazione l’originaria ricorrente non ha quantificato la propria richiesta, ma ha invocato i soli “principi – fissati dalla Corte E.D.U. – che consentono alle corti interne di operare discrezionalmente e di liquidare anche un importo diverso” (così ricorso, pag. 19); che, pertanto, nel caso di specie non sussiste reciproca soccombenza nè sussistono le gravi ed eccezionali ragioni di cui all’art. 92 c.p.c., per disporre la compensazione; che in pari tempo la corte d’appello ha disatteso la giurisprudenza di legittimità alla cui stregua la sostanziale soccombenza permane in ogni caso, pur in ipotesi di mancata opposizione alla domanda avversa e pur in ipotesi di riduzione in sede di decisione del quantum domandato.

Segnatamente con il terzo profilo (del secondo motivo) deducono che la disposta parziale compensazione viola l’art. 1 del Primo Protocollo Addizionale C.E.D.U., oltre che gli artt. 6 e 13 C.E.D.U.; che infatti la disposta compensazione riduce surrettiziamente l’indennizzo accordato, comprime il diritto al godimento dei loro beni ed elude l’esigenza di “effettività” del rimedio giurisdizionale apprestato.

Segnatamente con il quarto profilo (del secondo motivo) deducono che la disposta parziale compensazione “comporta come conseguenza l’obbligo di pagamento dell’imposta di registro in misura proporzionale alla misura della compensazione, ciò che contrasta con le indicazioni (…) della (…) Corte E.D.U. (…) secondo cui la somma accordata a titolo di equa riparazione non deve essere erosa o intaccata dal pagamento di alcuna tassa o imposta” (così ricorso, pag. 22).

Il primo motivo è destituito di fondamento.

Si rappresenta previamente che questa Corte spiega che, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, i criteri di liquidazione applicati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo non possono essere ignorati dal giudice nazionale, il quale può, tuttavia, apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, purchè motivate e non irragionevoli (cfr. Cass. 28.5.2012, n. 8471; Cass. 30.7.2010, n. 17922).In questi termini la liquidazione di un indennizzo in misura inferiore a quella ordinariamente applicata dalla Corte E.D.U. non costituisce, a rigore, violazione di legge ed, al più, può integrare vizio della motivazione (cfr. Cass. 7.11.2011, n. 23029).Conseguentemente la denuncia veicolata dal motivo in disamina, riveste valenza esclusivamente in relazione alla previsione del n. 5) dell’art. 360 c.p.c., comma 1, ben vero nella formulazione applicabile ratione temporis, ossia in rapporto alla formulazione scaturita dal D.Lgs. n. 83 del 2012, art. 54, convertito nella L. n. 134 del 2012.

In tal guisa, nel segno dell’insegnamento a sezioni unite di questa Corte n. 8053 del 7.4.2014, la denuncia è vanamente formulata, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè il dictum non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Su tale scorta si rappresenta che la corte di merito ha dato atto che il giudizio “presupposto”, senz’altro in prime cure, si è concluso con l’accoglimento della domanda che f.c. aveva proposto, tra gli altri, nei confronti di Fo.Ma..

La motivazione addotta a supporto dell’operata quantificazione dell’indennizzo annuo risulta dunque più che congrua. E ciò tanto più giacchè la corte distrettuale ha da decidere con decreto, sicchè ben può la motivazione assumere caratteri di sommarietà a condizione che si riescano ad individuare – siccome nel caso in esame – almeno per grandi linee ed anche dall’insieme delle indicazioni espresse nel provvedimento, i fondamentali elementi di giudizio sui quali la decisione è basata (cfr. in tal senso Cass. 18.2.2013, n. 3934).

Si badi, badi, in ogni caso, che il quantum dell’indennizzo annuo, quale determinato dalla corte nissena, risulta più che congruo alla luce del criterio, applicabile ratione temporis, che ne individua il valore minimo in Euro 500,00 ed il valore massimo in Euro 1.500,00.

Fondato e meritevole di accoglimento è viceversa il primo “profilo” del secondo motivo. Evidentemente il buon esito del primo “profilo” assorbe e rende vana la disamina dei – profili” ulteriori.

Al riguardo si rappresenta quanto segue.

In primo luogo che nel procedimento d’equa riparazione disciplinato dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, la liquidazione dell’indennizzo in misura inferiore a quella richiesta dalla parte, per l’applicazione, da parte del giudice, di un moltiplicatore annuo diverso da quello invocato dall’attore, non integra un’ipotesi di accoglimento parziale della domanda che legittima la compensazione delle spese, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, poichè, in assenza di strumenti di predeterminazione anticipata del danno e del suo ammontare, spetta al giudice individuare in maniera autonoma l’indennizzo dovuto, secondo criteri che sfuggono alla previsione della parte, la quale, nel precisare l’ammontare della somma richiesta a titolo di danno non patrimoniale, non completa il “petitum” della domanda sotto il profilo quantitativo, ma soltanto sollecita, a prescindere dalle espressioni utilizzate, l’esercizio di un potere ufficioso di liquidazione (cfr. Cass. 16.7.2015, n. 14976).

In secondo luogo che le “gravi ed eccezionali ragioni” postulate dall’art. 92 c.p.c., comma 2, nella formulazione applicabile alla fattispecie ratione temporis (ovvero nella formulazione scaturita dalla L. n. 69 del 2009), ai fini della compensazione delle spese non possono reputarsi integrate dalla circostanza per cui il Ministero resistente abbia atteso alla produzione della documentazione necessaria ai fini dell’accertamento della durata del giudizio “presupposto”.

Invero deve opinarsi nel senso che a fini della determinazione della durata temporale della lite “presupposta” fosse comunque esaustiva la documentazione allegata dall’originaria ricorrente e quale descritta dalla corte territoriale a pagina 2 dell’impugnato decreto.

In accoglimento ed in relazione al primo “profilo” del secondo motivo dell’esperito ricorso va quindi cassato il Decreto n. 15 dei 8/14.1.2015 della corte d’appello di Caltanissetta nella parte e limitatamente alla parte in cui ha disposto la compensazione integrale delle spese del procedimento.

In ogni caso, giacchè non si prospetta la necessità di ulteriori accertamenti di fatto, nulla osta a che questa Corte, con statuizione “nel merito” ex art. 384 c.p.c., comma 2, ultima parte, condanni il Ministero della Giustizia al pagamento delle spese del procedimento dinanzi alla corte di appello di Caltanissetta, liquidate così come da dispositivo e con distrazione in favore dell’avvocato Antonina, detta Antonella, Fundarò, che ha dichiarato di aver anticipato le spese e di non aver riscosso gli onorari.

L’accoglimento del primo “profilo” del secondo motivo del ricorso giustifica la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate così come da dispositivo e parimenti con distrazione in favore dell’avvocato Antonina, detta Antonella, Fundarò, che analogamente ha dichiarato di aver anticipato le spese e di non aver riscosso gli onorari.

Si evidenzia che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, non è soggetto a contributo unificato il giudizio di equa riparazione ex L. n. 89 del 2001. Il che rende comunque inapplicabile, al di là del parziale buon esito del ricorso, il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (comma 1 quater introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, a decorrere dall’1.1.2013) (cfr. Cass. sez. un. 28.5.2014, n. 11915).

PQM

La Corte rigetta il primo motivo del ricorso; accoglie il primo “profilo” del secondo motivo del ricorso, assorbiti i “profili” ulteriori; cassa, in relazione al “profilo” accolto, il decreto n. 15 dei 8/14.1.2015 della corte d’appello di Caltanissetta nella parte e limitatamente alla parte in cui ha disposto la integrale compensazione delle spese del giudizio e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia a pagare all’avvocato Antonina, detta Antonella, Fundarò, difensore anticipatario dei ricorrenti, le spese del giudizio dinanzi alla corte di appello di Caltanissetta, spese che nel complesso si liquidano, per compensi, in Euro 1.500,00, oltre rimborso forfetario delle spese generali, i.v.a. e cassa come per legge; condanna il Ministero della Giustizia a pagare all’avvocato Antonina, detta Antonella, Fundarò, difensore anticipatario dei ricorrenti, le spese del presente giudizio di legittimità, spese che nel complesso si liquidano, per compensi, in Euro 1.200,00, oltre rimborso forfetario delle spese generali, i.v.a. e cassa come per legge.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2016

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