Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26859 del 14/12/2011

Cassazione civile sez. lav., 14/12/2011, (ud. 10/05/2011, dep. 14/12/2011), n.26859

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 22443-2008 proposto da:

D.T.P., M.B., F.F.,

D.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GERMANICO

172, presso lo studio dell’avvocato PANICI PIER LUIGI, che li

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

MOF MERCATO ORTOFRUTTICOLO DI FONDI S.P.A.;

– intimata –

nonchè da:

MOF – MERCATO ORTOFRUTTICOLO DI FONDI S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

DELLE MALIZIE 114, presso lo studio dell’avvocato VALLEBONA ANTONIO,

che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

F.F., D.M., M.B., D.

T.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 6876/2007 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/12/2007 r.g.n. 3100/06 + 5973/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2011 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito l’Avvocato PANICI PIER LUIGI; udito l’Avvocato VALLEBONA

ANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

incidentale, assorbito o inammissibile o rigetto del ricorso

principale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- La sentenza attualmente impugnata: a) in accoglimento dell’appello della MOF Mercato Ortofrutticolo di Fondi s.p.a. e in riforma della sentenza del Tribunale di Latina n. 428 del 15 febbraio 2006, accoglie l’opposizione della stessa società avverso l’esecuzione intrapresa da D.M., F.F., D.T.P. e M.B. con atto di pignoramento presso terzi notificato il 25 maggio 2005 e dichiara l’esecuzione inammissibile; b) respinge l’appello dei suddetti lavoratori avverso la sentenza del Tribunale di Latina n. 1951 del 14 giugno 2006.

La Corte d’appello di Roma, per quel che qui interessa, afferma che:

a) è infondata eccezione di inammissibilità dell’appello dei lavoratori ex art 616 cod. proc. civ. in quanto, sulla base del combinato disposto degli artt. 617 e 618 cod. proc. civ, (relativi all’opposizione agli atti esecutivi) si deve ritenere che, anche per l’opposizione all’esecuzione, la non impugnabilità della sentenze di primo grado riguardi soltanto le sentenze emesse dopo l’inizio dell’esecuzione e non quelle antecedenti;

b) tale conclusione è quella che maggiormente corrisponde alla logica del sistema, secondo cui non è possibile interpretare dell’art. 616 cod. proc. civ., u.c. dato il suo carattere eccezionale, in senso estensivo o analogico;

c) non merita accoglimento la tesi dei lavoratori secondo la quale il licenziamento intimato dalla MOF il 23 novembre 2004 – all’esito di una procedura di mobilità, iniziata il 29 aprile 2004 e conclusasi con accordo sindacale del 26 ottobre 2004 – non avrebbe potuto essere fatto valere dinanzi al giudice dell’esecuzione, in quanto antecedente l’ordinanza cautelare posta a base dell’esecuzione stessa;

d) infatti, il giudizio cautelare, al cui esito è stata emessa l’ordinanza suindicata, si è concluso il 18 novembre 2004, quando il giudice si è riservato;

e) dopo la suddetta intimazione dei licenziamenti la predetta ordinanza è stata soltanto depositata dal giudice in Cancelleria (il 14 dicembre 2004), ma nel tempo intercorrente tra la “riserva” e il deposito la società non avrebbe potuto dedurre nulla;

f) conseguentemente i licenziamenti in oggetto devono considerarsi successivi alla formazione del titolo esecutivo costituito dall’ordinanza cautelare stessa;

g) eventuali fatti estintivi del titolo non devono, ma possono, essere fatti valere dinanzi al giudice del merito ovvero del cautelare, sicchè essi possono essere prospettati anche in sede esecutiva;

h) come ritenuto dal giudice di primo grado, il provvedimento giudiziale che accerta la sussistenza di una illecita interposizione di manodopera della L. n. 1369 del 1960, ex art. 1 e la conseguente insorgenza del rapporto con l’interponente, non “costituisce” il rapporto che è già in atto, ma si limita ad accertarlo, con effetto dal suo inizio col soggetto interposto;

i) si tratta, quindi, di una pronuncia di tipo dichiarativo e non costitutivo, in base alla quale il datore di lavoro effettivo ha il potere di licenziare durante lo svolgimento del rapporto così accertato, senza che rilevi la data dell’accertamento stesso;

j) così, nella specie, il licenziamento deve considerarsi intimato in un momento in cui il rapporto di lavoro era sussistente, anche se tale esistenza è stata accertata e dichiarata giudizialmente in un secondo momento;

k) non rileva, in contrario, che la società abbia intimato il licenziamento in forma dubitativa (“qualora fosse accertata o confermata giudizialmente la attuale sussistenza di un rapporto di lavoro”), in quanto ciò dipende dal fatto che l’accertamento era al momento sub judice;

1) in sintesi, poichè i licenziamenti hanno risolto il rapporto di lavoro tra la MOF e gli appellati, questi ultimi non hanno più diritto alle retribuzioni dovute per il rapporto stesso e in attuazione dell’ordinanza cautelare, salvo il successivo accertamento dell’illegittimità dei licenziamenti, peraltro non impugnati dai lavoratori.

2.- Il ricorso di D.M., F.F., D.T. P. e M.B. domanda la cassazione della sentenza per cinque motivi; resiste, con controricorso, la MOF s.p.a., che propone, a sua volta, ricorso incidentale per un unico motivo.

Le parti depositano anche memorie ex art. 378 cod. proc. civ..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi vanno preliminarmente riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ..

1^ – Sintesi dei motivi del ricorso principale e del ricorso incidentale.

1.- Con il primo motivo del ricorso principale, illustrato da quesito di diritto, si denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 669-novies, 669-decies e 669-duodecies cod. proc. civ..

Si contesta l’affermazione della Corte d’appello di Roma secondo cui il provvedimento cautelare, in sede di attuazione, può essere dichiarato inefficace anche dal Giudice dell’esecuzione perchè l’art. 669-decies cod. proc. civ. non stabilisce una competenza esclusiva del Giudice che ha emesso il provvedimento cautelare o del Giudice del reclamo o di quello del giudizio di merito.

2.- Con il secondo motivo, illustrato da quesito di diritto, si denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 615, 669-sexies, 669-novies 669- decies, 669-duodecies e 669-terdecies cod. proc. civ., nonchè degli artt. 133, 134 e 275 cod. proc. civ..

Si rileva come nella sentenza impugnata la Corte d’appello abbia – erroneamente -considerato i licenziamenti in oggetto (intimati il 23 novembre 2004) successivi alla formazione del titolo costituito dall’ordinanza cautelare facendo riferimento alla data – 18 novembre 2004 – nella quale il Giudice del cautelare si era riservato in vista dell’emissione del suddetto provvedimento, anzichè prendere in considerazione la data del deposito del provvedimento stesso in Cancelleria.

Ciò, in base all’erroneo assunto secondo cui nel tempo intercorrente tra la riserva e il deposito del provvedimento la società non avrebbe potuto dedurre alcunchè. Assunto che, oltre ad essere erroneo, è stato anche smentito dal fatto che avverso l’ordinanza del 14 dicembre 2004 è stato proposto reclamo il 22 dicembre successivo, respinto dal Tribunale e sul quale si è svolto il giudizio di merito.

Conseguentemente, con l’opposizione all’esecuzione è stato violato il principio ne bis in idem in quanto sono state proposte questioni in contrasto con il contenuto del titolo esecutivo giudiziale e deducibili (e dedotte) con gli specifici mezzi di impugnazione di tale titolo.

3.- Con il terzo motivo, illustrato da quesito di diritto, si denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 39, 615, 669-novies 669-decies, 669- duodecies e 669-terdecies cod. proc. civ., nonchè dell’art. 99 cod. proc. civ. e art. 2909 cod. civ..

Si ribadisce che, come rilevato in proposito nel precedente motivo, dopo il rigetto del proposto il reclamo avverso l’ordinanza cautelare (del 7 marzo 2005), l’opposizione all’esecuzione era divenuta inammissibile e la Corte d’appello avrebbe dovuto dichiarare la litispendenza e disporre la cancellazione della causa dal ruolo, per evitare contrasto di giudicati.

4.- Con il quarto motivo di ricorso, dotato del prescritto momento di sintesi, si denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 – omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Le circostanze decisive e rappresentate, come tali, all’attenzione della Corte d’appello, ma sulle quali si assume non vi sia alcuna motivazione sono le seguenti:

a) nel giudizio di opposizione definito con sentenza del 15 febbraio 2006, n. 428 il Tribunale di Latina aveva già esaminato la questione dell’idoneità o meno del licenziamento intimato non in costanza di rapporto di lavoro e prima dell’ordinanza cautelare di reintegrazione in senso sfavorevole per la MOF;

b) lo stesso Tribunale di Latina in composizione collegiale e in sede di reclamo avverso il provvedimento cautelare, aveva respinto l’impugnazione dello stesso MOF;

c) conseguentemente, l’ulteriore domanda della MOF doveva essere dichiarata inammissibile e improcedibile.

5.- Con il quinto motivo, illustrato da quesito di diritto, si denuncia – in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione degli artt. 1324, 1325 e 1418 cod. civ. nonchè della L. n. 1369 del 1960, art. 1.

Si ricorda che gli attuali ricorrenti sono stati licenziati dalla Best Service coop. a r.l. ed estromessi dall’azienda gestita dalla società MOF. Quest’ultima ha sempre negato di essere datore di lavoro degli odierni ricorrenti.

In questa situazione, si contesta l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui è ritenuta possibile l’intimazione del licenziamento prima dell’accertamento della fondatezza della domanda dei lavoratori e della costituzione provvisoria del rapporto di lavoro, avvenuta con la citata ordinanza cautelare del 14 dicembre 2004.

In particolare, si pone l’accento sul punto in cui, contro la tesi anche della MOF, la Corte d’appello considera il rapporto di lavoro sussistente, anche se ciò è stato dichiarato ed accertato in un secondo momento, sicchè l’ordinanza cautelare in oggetto avrebbe natura dichiarativa e non costitutiva.

6.- Con l’unico motivo del ricorso incidentale, illustrato da quesito di diritto, si denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 – violazione e falsa applicazione dell’art. 616 cod. proc. civ., in riferimento all’erronea affermazione dell’appellabilità della sentenza di primo grado, relativa alla opposizione all’esecuzione non ancora iniziata, e al conseguente rigetto dell’eccezione di inammissibilità dell’appello avversario.

Si ricorda che nella specie: 1) l’appello dei lavoratori, riguardava un precetto notificato il 29 marzo 2006; 2) la conseguente opposizione al precetto della MOF s.p.a. era del 31 marzo 2006; 3) la sentenza di accoglimento della opposizione del 14 giugno 2006.

Conseguentemente avrebbe dovuto essere applicato l’art. 616 cod. proc. civ. nuovo testo in vigore dal 1 marzo 2006, che per l’opposizione all’esecuzione esclude l’appello.

Si contesta, quindi, perchè erronea, l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui la suddetta norma si applica solo alle opposizioni all’esecuzione proposte dopo l’inizio dell’esecuzione e non a quelle proposte prima, ancorchè la norma nulla dica al riguardo, diversamente dagli artt. 617 e 618 cod. proc. civ. i quali, per le impugnazioni dei provvedimenti relativi alle opposizione agli atti esecutivi, fanno riferimento alla suddetta distinzione.

2^ – Esame delle censure 7.- Preliminarmente deve essere escluso che per effetto della sentenza del Tribunale di Latina n. 627/09 del 31 marzo 2009, segnalata dalla MOF, si possa considerare verificata una situazione di sopravvenuta carenza di interesse al ricorso dei lavoratori, come specificato nella memoria difensiva.

7.1.- Infatti, va ricordato che è jus receptum che nel giudizio di legittimità, lo ius superveniens, che introduca una nuova disciplina del rapporto controverso, può trovare di regola applicazione solo alla duplice condizione che: a) la sopravvenienza sia posteriore alla proposizione del ricorso per cassazione, e ciò perchè, in tale ipotesi, il ricorrente non ha potuto tener conto dei mutamenti operatisi successivamente nei presupposti legali che condizionano la disciplina dei singoli casi concreti; b) la normativa sopraggiunta sia pertinente rispetto alle questioni agitate nel ricorso, posto come regola, i principi generali dell’ordinamento in materia di processo per cassazione, soprattutto quello che impone che la funzione giurisdizionale di legittimità sia esercitata attraverso l’individuazione delle censure espresse nei motivi di ricorso e sulla base di esse, impediscono di rilevare d’ufficio o a seguito di segnalazione fatta dalla parte mediante memoria difensiva ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ., regole di giudizio determinate dalla sopravvenienza, rispetto al momento di proposizione del ricorso, di disposizioni, ancorchè dotate di efficacia retroattiva, afferenti un profilo della norma applicata non investito, neppure indirettamente, dai motivi di ricorso e che concernano quindi una questione non sottoposta al giudice di legittimità (Cass. 8 maggio 2006, n. 10547;

Cass. 27 febbraio 2004, n. 4070).

Qualora la sopravvenienza sia rappresentata da una sentenza, si deve trattare di una decisione inoppugnabile, contenente una regula iuris cui il giudice ha il dovere di conformarsi nel caso concreto, cioè di un giudicato esterno o interno ovvero di altra decisione del pari vincolante (vedi: Cass. 14 aprile 2008, n. 9743).

7.2. In particolare, nel giudizio di cassazione, l’esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata. Si tratta infatti di un elemento che non può essere incluso nel fatto, in quanto, pur non identificandosi con gli elementi normativi astratti, è ad essi assimilabile, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto, e partecipando quindi della natura dei comandi giuridici, la cui interpretazione non si esaurisce in un giudizio di mero fatto. Il suo accertamento, pertanto, non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del ne bis in idem, corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo, e consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione. Tale garanzia di stabilità, collegata all’attuazione dei principi costituzionali del giusto processo e della ragionevole durata, i quali escludono la legittimità di soluzioni interpretative volte a conferire rilievo a formalismi non giustificati da effettive e concrete garanzie difensive, non trova ostacolo nel divieto posto dall’art. 372 cod. proc. civ., il quale, riferendosi esclusivamente ai documenti che avrebbero potuto essere prodotti nel giudizio di merito, non si estende a quelli attestanti la successiva formazione del giudicato; questi ultimi, d’altronde, comprovando la sopravvenuta formazione di una regula iuris alla quale il giudice ha il dovere di conformarsi in relazione al caso concreto, attengono ad una circostanza che incide sullo stesso interesse delle parti alla decisione, e sono quindi riconducibili alla categoria dei documenti riguardanti l’ammissibilità del ricorso. La produzione di tali documenti può aver luogo unitamente al ricorso per cassazione, se si tratta di giudicato formatosi in pendenza del termine per l’impugnazione, ovvero, nel caso di formazione successiva alla notifica del ricorso, fino all’udienza di discussione prima dell’inizio della relazione; qualora la produzione abbia luogo oltre il termine stabilito dall’art. 378 cod. proc. civ. per il deposito delle memorie, dovendo essere assicurata la garanzia del contraddittorio, la Corte, avvalendosi dei poteri riconosciutile dall’art. 384 c.p.c., comma 3, nel testo modificato dal D.Lgs. 2006, n. 40, deve assegnare alle parti un opportuno termine per il deposito in cancelleria di eventuali osservazioni (vedi, per tutte: Cass. SU 16 giugno 2006, n. 13916).

Ciò non può valere, ovviamente, per le sentenze sopravvenute che, come quella allegata alla memoria in oggetto, non sono ancora definitive e la cui produzione resta regolata dal regime generale in base al quale nel giudizio di legittimità sono inammissibili le censure prospettate – in aggiunta ai motivi dedotti con il ricorso – con le memorie presentate ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ., atteso che dette memorie hanno una funzione meramente illustrativa di quanto già esplicitato nel ricorso, e non possono, conseguentemente, contenere motivi nuovi nè specificare quelli accennati nell’impugnazione in maniera vaga ed indeterminata (vedi, per tutte:

Cass. 15 giugno 1995, n. 6756; Cass. 23 febbraio 2006, n. 4020).

8.- Dalle suesposte considerazioni deriva che le censure possono essere esaminate nel merito.

Al riguardo va precisato che, in ordine logico, si ritiene di esaminare per primo il ricorso incidentale, che è da accogliere.

9.- Le censure avanzate con il ricorso incidentale rendono opportuno un breve excursus sulla la normativa riguardante il regime delle impugnazioni dei provvedimenti in materia di opposizioni esecutive, che negli ultimi anni ha subito molteplici modifiche.

Con riguardo all’opposizione all’esecuzione, per effetto di tale evoluzione normativa, come più volte precisato da questa Corte, alle sentenze che hanno deciso opposizioni all’esecuzione pubblicate prima del 1 marzo 2006 il regime d’impugnazione applicabile è quello dell’appello; a quelle pubblicate successivamente si applica la diversa regola della non impugnabilità, ai sensi del nuovo testo dell’art. 616 cod. proc. civ., introdotto dalla L. 24 febbraio 2006, art. 14, n. 52, con la conseguenza dell’esclusiva ricorribilità per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, per le ipotesi, invece, in cui il giudizio di primo grado sia pendente alla data di entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69 (4 luglio 2009), deve trovare applicazione, ai sensi dell’art. 49 di tale legge, la nuova disposizione dell’art. 616 cod. proc. civ. che ha eliminato la previsione della non impugnabilità, con conseguente ripristino dell’appellabilità delle pronunce di primo grado (Cass. 21 gennaio 2011, n. 1402; Cass. 27 settembre 2010, n. 20324; Cass. 16 settembre 2010, n. 19605).

Per quel che riguarda le opposizioni agli atti esecutivi, la modifica di maggior rilievo è rappresentata dalla elevazione – da cinque a venti giorni decorrenti dal primo atto dell’esecuzione (in caso di impugnativa riguardante il titolo esecutivo o il precetto) oppure dal giorno del compimento dei singoli atti – del termine per proporre l’opposizione nei casi previsti dall’art. 617 cod. proc. civ., comma 2. Le sentenze riguardanti le opposizioni agli atti esecutivi sono rimaste non impugnabili, salvo il ricorso straordinario per cassazione, di cui all’art. 111 Cost., comma 7.

10.- Come affermato anche dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 53 del 2008, con riguardo alle opposizioni all’esecuzione – ipotesi che rileva nella specie il relativo regime impugnatorio non si sottrae alla regola generale secondo cui in caso di successione di leggi e in mancanza di una disciplina transitoria, il regime da applicare va desunto dalla normativa vigente quando il provvedimento giurisdizionale è venuto a giuridica esistenza (vedi anche: Cass. 12 maggio 2000, n. 6099; Cass. 20 settembre 2006, n. 20414; Cass. SU 29 aprile 2009, n. 9940).

Nel caso in esame: 1) l’appello dei lavoratori, riguardava un precetto notificato il 29 marzo 2006; 2) la conseguente opposizione al precetto della MOF s.p.a. era del 31 marzo 2006; 3) la sentenza di accoglimento della opposizione del 14 giugno 2006.

Conseguentemente, non vi possono essere dubbi sul fatto che per questa parte, cioè non con riferimento all’appello riunito della MOF, riguardante la sentenza del Tribunale di Latina n. 428 del 15 febbraio 2006, soggetta ad appello – avrebbe dovuto essere applicato l’art. 616 cod. proc. civ. nuovo testo in vigore dal 1 marzo 2006, che per l’opposizione all’esecuzione esclude l’appello.

Nè può valere in contrario l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui la suddetta norma si applica solo alle opposizioni all’esecuzione proposte dopo l’inizio dell’esecuzione e non a quelle proposte prima, ancorchè la norma nulla dica al riguardo, diversamente dagli artt. 617 e 618 cod. proc. civ. i quali, per le impugnazioni dei provvedimenti relativi alle opposizione agli atti esecutivi, fanno riferimento alla suddetta distinzione.

Si tratta, infatti, di un’interpretazione che non trova nessun riscontro nè letterale nè sistematico ed è, quindi, da considerare del tutto implausibile.

A ciò consegue l’accoglimento del ricorso incidentale.

11- L’accoglimento, per le suddette ragioni, del ricorso incidentale comporta l’assorbimento delle censure avanzate nel ricorso principale.

Va, infatti, osservato che entrambi gli appelli riuniti sui quali si è pronunciata la sentenza impugnata, pur avendo petita differenti, ruotano intorno alla medesima questione relativa alla possibilità di dare esecuzione all’ordinanza cautelare emessa il 14 dicembre 2004 per il periodo successivo ai licenziamenti del 23 novembre 2004, periodo in relazione al quale i lavoratori interessati hanno dato inizio a plurime esecuzioni per le retribuzioni man mano maturate.

Ne consegue, che per effetto della disposta dichiarazione di inammissibilità dell’appello dei lavoratori, si deve fare riferimento esclusivo alla parte della sentenza impugnata che ha accolto l’appello della MOF avverso la sentenza del Tribunale di Latina n. 428 del 15 febbraio 2006 e, conseguentemente, ha accolto l’opposizione della stessa società avverso l’esecuzione intrapresa da D.M., F.F., D.T.P. e M.B. con atto di pignoramento presso terzi notificato il 25 maggio 2005 e ha dichiara l’esecuzione inammissibile.

3^ – Conclusioni.

12.- In sintesi, va accolto il ricorso incidentale e va dichiarato assorbito il ricorso principale.

La sentenza impugnata deve essere cassata senza rinvio, in relazione al ricorso accolto, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 3, ultima parte.

In applicazione dell’art. 385 c.p.c., comma 2, interpretato in conformità con il principio della ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111 Cost., comma 2 – si ritiene di provvedere sulle spese dell’intero giudizio (arg. ex Cass. 23 marzo 2001, n. 4229).

Conseguentemente, si compensano interamente tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione e di quello di appello, poichè ne sussistono giusti motivi, ravvisabili nelle contrastanti decisioni dei giudici di merito e nella complessità delle questioni esaminate.

Restano ferme le statuizioni sulle spese di primo grado.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il ricorso incidentale, assorbito il ricorso principale. Cassa senza rinvio la sentenza impugnata, in relazione al ricorso accolto, e compensa tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione e di quello di appello, ferme le spese di primo grado.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione lavoro, il 10 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2011

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