Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26851 del 22/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 22/12/2016,  n. 26851

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9551/2015 proposto da:

G.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PIETRO

GIANNONE 27, presso lo studio dell’avvocato SIMONETTA CAPUTO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUIGI FENIZIA, giusta

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

e contro

– intimato –

– ricorrenti incidentali –

avverso il decreto n. 197/14 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA

dell’08/10/2014, depositata il 15/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/07/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FELICE MANNA;

udito l’Avvocato LUIGI FENIZIA, difensore del ricorrente, che si

riporta ai motivi.

Fatto

IN FATTO

Con ricorso del 15.5.2014 G.M. adiva la Corte d’appello di Brescia per ottenere la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, di un equo indennizzo per il danno sia non patrimoniale sia patrimoniale (biologico, per spese legali e per lucro cessante) a causa della durata irragionevole di un procedimento e di un processo penale a suo carico, conclusosi con sentenza di assoluzione pronunciata da questa Corte Suprema il 19.11.2013.

Accolta la domanda in sede monitoria limitatamente al danno non patrimoniale, liquidato con il decreto monocratico ex art. 3 legge Pinto in Euro 3.000,00, in ragione di 1.500,00 per ciascuno dei due anni di durata irragionevole, il G. proponeva opposizione ai sensi dell’art. 5-ter detta Legge. Resistendo il Ministero, l’opposizione era respinta dalla medesima Corte territoriale in composizione collegiale, che condannava il G. alle spese. Quest’ultima riteneva liquidato nel massimo di legge l’indennizzo per il danno non patrimoniale, e non riconoscibile alcuna somma a titolo di danno patrimoniale perchè non sufficientemente provato.

Per la cassazione di tale decreto G.M. propone ricorso, affidato a tre motivi, cui ha fatto seguito il deposito di memoria.

Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia, che propone altresì ricorso incidentale sulla base di due motivi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – E’ preliminare l’esame del ricorso incidentale, che attiene alla durata ragionevole del giudizio presupposto.

Entrambi i motivi svolti a sostegno espongono la violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e attengono alla durata complessiva di 8 anni del processo presupposto.

Sostiene il Ministero che da tale durata si sarebbe dovuta scomputare la fase delle indagini preliminari (primo motivo) e quella di emissione della misura cautelare custodiale (secondo motivo). L’una e l’altra sarebbero suscettibili di valutazione separata ai fini dell’equa riparazione: la prima perchè soltanto eventuale, la seconda per l’esistenza della diversa tutela indennitaria prevista dalla legge per il caso di ingiusta detenzione.

2. – Dette censure sono infondate.

2.1. – La prima disattende la giurisprudenza sia di questa Corte che di quella costituzionale.

Ed infatti, in tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, nella valutazione della durata del processo penale si deve tener conto della fase delle indagini preliminari dal momento in cui l’indagato abbia avuto concreta notizia della pendenza del procedimento nei suoi confronti, al qual fine è idoneo l’invito a dichiarare o eleggere domicilio ex art. 161 c.p.c., conseguendone l’assunzione della qualità di indagato (Cass. n. 14385/15).Inoltre, è costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 117 Cost., comma 1, in relazione all’art. 6 CEDU, la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 2-bis, nella parte in cui prevede che – al fine del riconoscimento dell’equa riparazione per violazione del termine ragionevole del procedimento – il processo penale si considera iniziato con l’assunzione della qualità di imputato, ovvero quando l’indagato ha avuto legale conoscenza della chiusura delle indagini preliminari, anzichè quando l’indagato, in seguito a un atto dell’autorità giudiziaria, ha avuto conoscenza del procedimento a suo carico. La norma censurata, che determina la durata ragionevole del processo, esclude dal relativo calcolo il tempo occupato dallo svolgimento delle indagini preliminari. Detta previsione, dunque, è in contrasto con l’art. 6 CEDU, il quale, ai fini della riparazione per irragionevole durata del processo, esige una nozione di processo autonoma dalle ripartizioni per fasi dell’attività giudiziaria – operate invece in ambito nazionale – tale da abbracciare anche parte delle indagini preliminari, laddove esse hanno comportato la comunicazione formale dell’accusa penale, o comunque il compimento di atti, da parte dell’autorità giudiziaria che si siano ripercossi sulla sfera giuridica della persona (Corte cost. n. 184/15).

2.2. – La seconda censura non considera la diversità ontologica dei due danni – quello da durata irragionevole del processo e quello per ingiusta detenzione – derivanti dalla lesione di differenti beni costituzionalmente garantiti (la durata ragionevole del processo e la libertà personale). Danni – e dunque indennizzi – tra loro cumulabili, l’uno potendosi dare indipendentemente dall’altro.

3. – Il primo motivo del ricorso principale denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c. e, dunque, l’omessa pronuncia sulla domanda avente ad oggetto il ristoro dei danni non patrimoniali. Sostiene parte ricorrente che per il carattere interamente devolutivo dell’opposizione L. n. 89 del 2001, ex art. 5-ter, la Corte bresciana avrebbe dovuto pronunciarsi anche sul danno non patrimoniale, avendo perduto il decreto monocratico ogni efficacia in forza della proposta opposizione.

3.1. – Il motivo è manifestamente infondato.

Il carattere devolutivo dell’opposizione significa non già che il decreto emesso ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5, sia travolto dalla mera proposizione del ricorso di cui all’art. 5-ter detta Legge, ma solo che alla Corte d’appello adita in composizione collegiale è rimessa la cognizione dell’intera materia controversa, senza che il giudizio incontri altri limiti se non quelli derivanti dai capi del decreto monocratico che siano oggetto d’opposizione. Con il corollario che solo l’accoglimento totale o parziale di quest’ultima travolge il decreto, il quale, diversamente, in caso cioè di rigetto dell’opposizione, permane quale unico titolo esecutivo per il pagamento dell’indennizzo. Detto provvedimento, in altri termini, è sostituito dalla decisone collegiale solo se ed in quanto l’opposizione sia accolta. Del resto, se esso diventasse inefficace per il solo fatto di essere stato opposto, non se ne

spiegherebbe la possibilità d’inibitoria prevista dall’art. 5 ter, ° comma 4.

4. – Il secondo motivo del ricorso principale deduce una “violazione di legge”, non meglio precisata, e l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, in relazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, sul capo di domanda relativo al riconoscimento dei danni patrimoniali.

4.1. – Il motivo è inammissibile sotto entrambi i profili dedotti.

4.1.1. – Sotto il primo, perchè quando nel ricorso per cassazione è denunziata violazione o falsa applicazione di norme di diritto, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni, intese motivatamente a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbono ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità. (Cass. n. 635/15). Diversamente, il motivo è inammissibile, in quanto non consente alla Corte di cassazione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (v. ex multis, Cass. n. 828/07).

E nella specie la censura non menziona nè nell’intitolazione nè nel corpo del motivo una sola norma violata, nè tanto meno indica quali (pur implicite) considerazioni di carattere giuridico il decreto impugnato avrebbe operato in maniera errata.

L’unica menzione è per l’art. 738 c.p.c., comma 3, ma in un contesto – quello della possibilità che il giudice integri le prove offerte mediante l’esercizio di poteri istruttori officiosi – che non attiene alla logica della violazione di legge, ma semmai ad un generico sindacato, anch’esso inammissibile, sul mancato esercizio di poteri ad ogni modo discrezionali.

4.1.2. – Il motivo è infondato anche sotto il secondo aspetto. Nel prospettare un vizio motivazionale esso suppone come ancora esistente il controllo di legittimità sulla motivazione, venuto meno in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, modifica applicabile al caso di specie essendo stato pubblicato il decreto impugnato in epoca successiva all’11.9.2012 (data di efficacia del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5); ed essendo denunciabile soltanto l’omesso esame di un fatto decisivo che sia stato oggetto di discussione tra le parti, ogni censura sull’insufficienza motivazionale resta preclusa (cfr. Cass. S.U. n. 8053/14).

5. – Il terzo mezzo d’annullamento lamenta la condanna alle spese, perchè l’opposizione – non concerneva i danni non patrimoniali, già liquidati correttamente dal Giudice di prima istanza, ma soltanto il diniego, in astratto e in tesi, della indennizzabilità anche dei danni patrimoniali” (così, testualmente, a pag. 16 del ricorso).

5.1. – Il motivo è infondato.

Le considerazioni innanzi svolte sul nesso che intercorre tra il decreto monocratico e la successiva fase di opposizione L. n. 89 del 2001, ex art. 5-ter, consentono di impostare e risolvere anche il problema delle spese di ciascuna fase.

Questa Corte ha già chiarito che l’opposizione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 5-ter, non introduce un autonomo giudizio di impugnazione del decreto che ha deciso sulla domanda, ma realizza, con l’ampio effetto devolutivo di ogni opposizione, la fase a contraddittorio pieno di un unico procedimento, avente ad oggetto la medesima pretesa fatta valere con il ricorso introduttivo (Cass. n. 19348/15; analogamente, Cass. n. 20463/15). Il tutto avviene a (quasi) perfetta somiglianza con il procedimento per decreto ingiuntivo (al cui archetipo il legislatore si è dichiaratamente ispirato), col quale il procedimento ex lege Pinto condivide una prima fase, che si svolge inaudita altera parte e che termina con la provocatio ad opponendum, e una seconda fase d’opposizione, caratterizzata da un contraddittorio pieno e da una cognizione esaustiva.

Quest’ultima, come s’è detto, termina con un provvedimento che ha carattere sostitutivo del decreto emesso in sede monitoria solo se ed in quanto l’opposizione sia accolta in tutto o in parte. In tal caso, infatti, l’esito dichiarativo finale è difforme dall’accertamento compiuto con il decreto opposto, che pertanto va necessariamente revocato. Di riflesso, sostituendosi a quest’ultimo il decreto collegiale quale unica statuizione di merito, viene meno anche il capo relativo alle spese liquidate in favore della parte istante e poste a carico di quella erariale ai sensi dell’ultima parte della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5. Spese che, pertanto, devono essere (non più semplicemente liquidate ma) regolate a misura dell’intera vicenda processuale e non soltanto della fase d’opposizione, in base al criterio di soccombenza e mediante una valutazione complessiva del procedimento di equa riparazione. Al pari dell’opposizione a decreto ingiuntivo (sulle cui spese per l’ipotesi di accoglimento v. Cass. n. 19120/09), anche il giudizio inscenato a termini della L. n. 89 del 2001, art. 5-ter, costituisce una struttura procedimentale essenzialmente unitaria. E dunque, in caso di accoglimento dell’opposizione deve essere altrettanto indivisibile la statuizione sulle spese (salvo il giudice dell’opposizione le regoli diversamente secondo le due fasi, solo per esprimere una consapevole tecnica di compensazione totale o parziale).

5.1.1. – Il quadro appena delineato muta radicalmente se, invece, l’opposizione L. n. 89 del 2001, ex art. 5-ter, è respinta, poichè il decreto monocratico sopravvive tanto nel suo contenuto dichiarativo quanto nel capo che liquida le spese. Con la conseguenza che il regolamento che ne segue in sede di opposizione, non potendo riguardare anche le spese, ormai intangibili, della fase monitoria, è ulteriore e autonomo.

Solo che – e qui cessano le analogie – a differenza dell’opposizione ex art. 645 c.p.c., le cui spese in caso di rigetto non possono essere stabilite in maniera contraddittoria rispetto al decreto ingiuntivo, dato il principio per cui la parte totalmente vittoriosa non può essere condannata a pagare neppure una frazione delle spese (giurisprudenza costante: cfr. per tutte e fra le tante, Cass. n. 15317/13), l’opposizione L. n. 89 del 2001, ex art. 5-ter, non accolta può legittimamente condurre a un tale esito.

Si consideri che l’opposizione può essere attivata sia dalla parte erariale, che subisce l’ingiunzione di cui al decreto pronunciato ai sensi dell’art. 3, comma 5, sia da quella privata insoddisfatta da tale provvedimento, nel qual caso l’opposizione è necessitata dalla non riproponibilità della domanda (L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 6). Quest’ultima ipotesi s’invera allorchè il decreto monocratico abbia respinto in toto ovvero abbia accolto parzialmente la domanda d’equa riparazione, escludendo una o più voci di danno o liquidandole in misura inferiore al richiesto.

Su tale premessa positiva, due considerazioni tra loro correlate dimostrano la conclusione innanzi premessa e valgono a sostenere il principio che segue, da enunciare ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, seconda ipotesi. L’opposizione ex art. 5-ter della parte privata insoddisfatta dall’esito della fase monitoria ha carattere pretensivo, a differenza di quella erariale che ha sempre e solo natura difensiva. Pertanto, salvo l’ipotesi d’opposizione incidentale, il Ministero opposto, avendo prestato acquiescenza al decreto emesso ai sensi dell’art. 3, comma 5, affronta un giudizio che non aveva interesse a provocare e del quale, se vittorioso, non può sopportare le spese. Di conseguenza queste ultime nel caso di rigetto dell’opposizione vanno regolate in maniera del tutto autonoma, anche a carico integrale della parte privata opponente, ancorchè essa abbia diritto a ripetere quelle liquidate nel decreto monocratico che abbia accolto solo parzialmente la domanda di equa riparazione.

L’affermata unitarietà del procedimento della L. n. 89 del 2001 e il suo esito finale allorchè, come nel caso in oggetto, resti comunque accertata la responsabilità dello Stato per la durata irragionevole del giudizio presupposto, non consentono di evocare, in funzione di contrasto, il principio per cui la parte vittoriosa non può soggiacere al pagamento delle spese sostenute da quella soccombente. Pur nell’indiscussa unitarietà del procedimento ex lege Pinto, profili impugnatori restano presenti e ineludibili in questo come in ogni altro rimedio che produca anche un effetto demolitorio d’un precedente provvedimento, e impongono un regolamento delle spese non unitario ove tale effetto non sia conseguito. La tutela del diritto all’equa riparazione non resta monca, ma soddisfatta dalle spese della fase monitoria; il di più provocato da un’opposizione infondata è correttamente posto a carico della parte opponente, salvo ricorrano ipotesi di compensazione ai sensi dell’art. 92 cpv. c.p.c..

6. – In conclusione sia il ricorso principale che quello incidentale devono essere respinti, con integrale compensazione delle spese per la soccombenza reciproca.

7. – Rilevato che dagli atti il processo risulta esente dal pagamento del contributo unificato, non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale e compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, della Corte Suprema di Cassazione, il 7 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2016

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