Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26848 del 29/11/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 26848 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: FALASCHI MILENA

Titolo —
Trascrizione Contraddittorio

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 16757/07) proposto da:
CANOVA MARIO e BORGNA ROSALIA, rappresentati e difesi, in forza di procura speciale a
margine del ricorso, dagli Aw.ti Augusto Launo e Paola Launo del foro di Mondovì e dall’Aw.to
Alessandro Nobiloni del foro di Roma ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo
in Roma, via Giovanni Nicotera n. 29;
– ricorrenti contro
BORGNA FRANCO e ROBERI RENZA, rappresentati e difesi dall’Aw.to Gian Carlo Bovetti del
foro di Mondovì Sondrio, dall’Aw.to Marco Weigmann del foro di Torino e dall’Avv.to Alessandra
Giovannetti del foro di Roma, in virtù di procura speciale apposta a margine del ricorso, ed
elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultima in Roma, via Piemonte n. 39;

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Data pubblicazione: 29/11/2013

- controricoffenti e ricorrenti incidentali e contro
BRIATORE DARIO e CANAVESE JOLANDA, in proprio e nella qualità di eredi di Giuseppe

dall’Aw.to Stefano Fiore del foro di Roma, in virtù di procura speciale apposta a margine del
controricorso, ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo in Roma, piazzale
Clodio n. 12;
– controricoffenti e contro
MOLINARI MARINELLA, MOLINARI GIOVANNI, RAVOTTO VILMA, SALVATICO EZIO,
SALVATICO GIANFRANCO, gli ultimi tre nella qualità di eredi di Salvatico lvon, SALVATICO
JEAN DENIS MARIE, in proprio e nella qualità di erede di Romagnolo Emilia;
– intimati –

nonchè sul ricorso incidentale (R.G. n. 17139/07) proposto da BORGNA — ROBERI
avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino n. 1707 depositata il 30 ottobre 2006.
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 19 settembre 2013 dal
Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;
uditi gli Avv.ti Alessandro Nobiloni, per parte ricorrente, Alessandra Giannetti, per parte
ricorrente incidentale, e Stefano Fiore, per parte resistente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Rosario
Giovanni Russo, che ha concluso, previa riunione dei ricorsi, per l’accoglimento – in gradato
subordine — del primo, del secondo e del settimo motivo del ricorso incidentale, del secondo
motivo del ricorso principale, assorbiti tutti i restanti motivi di entrambi i ricorsi.

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Briatore, rappresentati e difesi dagli Aw.ti Elio Clerici ed Angelo Bertolotti del foro di Torino e

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 22 settembre 1990 i coniugi Dario BRIATORE — Renza
SALVATICO ed i coniugi Giuseppe BRIATORE — Jolanda CANAVESE evocavano, dinanzi al

BORGNA (in Canova) e Marinella MOLINARI (in Porta) chiedendo che venisse dichiarata
l’esistenza di un diritto di passaggio in favore del fondo degli istanti, sito in Garessio (distinto in
Catasto al foglio 46 mapp. 401) ed a carico dei fondi di proprietà dei convenuti (foglio 46 mapp.
918 e 919 di proprietà Borgna-Roberi; foglio 46 mapp. 167 e 523 di proprietà Canova-Borgna e
Molinari), con determinazione del tracciato, oltre al risarcimento dei danni, trattandosi di fondi tutti
originariamente compresi nel mappale 167 e vantando gli attori una servitù titolata, in base al loro
atto di acquisto a rogito notaio Parisi del 18.7.1990, che richiamava l’atto a rogito notaio Nani del
5.6.1939 in cui la servitù era prevista espressamente, praticato il passaggio senza un preciso
percorso, pur essendo il loro fondo sostanzialmente intercluso.
Instaurato il contraddittorio, si costituivano i convenuti CANOVA-BORGNA, i quali assumevano
l’assoluta libertà dei propri fondi, chiedevano di essere autorizzati a chiamare in giudizi i propri
danti causa, Jean Denis Marie Salvatico e Emilia Romagnolo ved. Salvatico, per essere dagli
stessi — nella denegata ipotesi di accoglimento delle pretese attoree — garantiti e manlevati.
Si costituivano anche i coniugi BORGNA-ROBERI e la MOLINARI, i quali nel resistere
chiedevano di chiamare in giudizio i propri danti causa nei confronti dei quali esercitavano
garanzia per evizione. Si costituivano in giudizio anche i chiamati Giovanni Molinari e lvon
Salvatico (venditori quanto a Borgna-Roberi, l’ultimo condividente quanto alla Molinari), mentre
Jean Dens Marie Salvatico ed Emilia Salvatico rimanevano contumaci.
Espletata istruttoria, anche con c.t.u., la causa veniva interrotta per il decesso di Ivon Salvatico e
veniva riassunta da Dario BRIATORE, Giuseppe BRIATORE e Jolanda CANAVESE (non anche
da Renza Salvatico che separatasi dal coniuge Dario Briatore, a seguito della definizione dei loro

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Tribunale di Mondovì, Franco BORGNA, Renza ROBERI (in Borgna) Mario CANOVA, Rosalia

rapporti patrimoniali, non era più legittimata) nei confronti degli eredi di Ivon Salvatico e delle altre
parti, ad esclusione di Giovanni Molinari, per cui veniva concessa proroga per la notificazione,
eccepita dagli appellati l’estinzione del procedimento, il giudice adito, respinta quest’ultima

carico dei fondi dei convenuti e a favore di quelli degli attori, giacchè l’atto notarile del 1939
conteneva solo una ricognizione del vantato diritto reale.
In virtù di rituale appello interposto da Dario BRIATORE e Jolanda CANAVESE, anche quali eredi
di Giuseppe Briatore, nel frattempo deceduto, con il quale si dolevano che il giudice di prime cure
non avesse contestualizzato l’interpretazione dell’atto notarile del 1939, non avendo tenuto conto
che in detto anno vigeva il codice Albertino, che all’art. 634 c.c. prevedeva la ricognizione scritta
da parte del titolare del fondo servente quale forma idonea a sostituire il titolo esecutivo della
servitù, la Corte di appello di Torino, nella resistenza degli appellati CANOVA-BORGNA e
BORGNA-ROBERI, dichiarata la contumacia di Marinella e Giovanni MOLINARO, Vilma Ravotto,
Ezio e Gianfranco Salvatico (gli ultimi tre nella qualità di eredi di Ivon Salvatico) e quella di Jean
Denis Salvatico (anche quale erede di Emilia Romagnolo), in accoglimento del gravame e in
riforma della decisione impugnata, accertata l’esistenza, in base all’atto pubblico per notaio Marco
Nani del 5.6.1939, trascritto il 23.8.1939, della servitù di passaggio e piedi e con i carri a favore
del fondo di cui al mappale 401 foglio 46 (di cui Dario BRIATORE era nudo proprietario e la
CANAVESE usufruttuaria) e a carico dei fondi censiti allo stesso foglio con i mappali 167, 522,
523, 918, 919, 920, 921 e 924, tutti derivanti dal frazionamento di quello che nel 1939 era l’unico
mappale 167; individuava, ai sensi degli artt. 1063 e 1065 c.c., il sedime per l’esercizio della
servitù di passaggio accertata secondo quanto descritto nell’ipotesi 1) prospettata dal c.t.u. geom.
Marco Castellino nella relazione depositata il 21.1.1994; respinte tutte le altre domande formulate,
sia dagli appellanti sia dagli appellati costituiti.

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eccezione, rigettava la domanda attorea ritenendo l’inesistenza della dedotta servitù titolata a

A sostegno della decisione adottata la corte territoriale, in via preliminare, evidenziava
l’inammissibilità ex art. 342 c.p.c. dell’eccezione di estinzione del processo riproposta dagli
appellati CANOVA-BORGNA nelle conclusioni perché priva di qualunque riferimento alle

Ancora sul piano processuale rilevava che la posizione di Renza Salvatico, comproprietaria con
Dario BRIATORE del preteso fondo dominante, attesa la mancata riassunzione nei suoi confronti
del giudizio dopo il decesso di lvon Salvatico, si doveva ritenere che non avendo le altre parti fatto
alcun cenno alla questione, succeduto a titolo particolare per atto tra vivi nella sua posizione
Dario Briatore, avessero prestato un implicito ma inequivoco consenso, ex art. 111, comma 3,
c.p.c., alla sua sostanziale estromissione dal giudizio.
Del pari in ambito processuale doveva ritenersi che non fosse stata introdotta domanda nuova
con il richiamo dell’art. 634 cod. alb. da parte degli attori per fondare l’esistenza del titolo della
servitù di passaggio, trattandosi solo di un’altra giustificazione giuridica al titolo del loro diritto
reale, senza apportare alcuna modificazione in fatto.
Nel merito, dall’esame dell’atto a rogito del notaio Marco Nani del 1939 emergeva che Seghezza
Oreste vendeva a Salvatico Giovanni il terreno posto in Garessio, individuato al foglio 46, mappali
139 e 167, con la seguente specificazione: “Il venditore dismette detto terreno gravato di servitù di
passaggio anche con carro dalla via Nazionale a favore del numero di mappa quattrocentouno
corrente, sempre a minor danno”. Detta dichiarazione era stata fatta da colui che al momento in
cui la effettuò era proprietario del fondo servente, per cui — atteso il tempo in cui è stata resa,
l’anno 1939 — la rendeva idonea, ai sensi dell’art. 634 c.c. del 1865, che l’atto che la conteneva, il
rogito del 1939, sostituiva con la stessa efficacia il titolo costitutivo del diritto reale.
Né la mancata individuazione del tracciato del passaggio sul fondo servente appariva motivo di
genericità o indeterminatezza del diritto reale, considerato che all’epoca entrambi i fondi non

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argomentazioni esposte sul punto nella sentenza impugnata.

erano edificati e quindi era sufficiente avere l’accortezza di esercitare il passaggio senza
danneggiare le colture, mentre la situazione attuale giustificava la domanda ex art 1063 c.c..
Aggiungeva che parte acquirente dell’atto del 1939, regolarmente trascritto, con indicazione

causa dei danti causa degli appellati, per cui la servitù era ad essi opponibile a prescindere da un
richiamo espresso e specifico alla stessa contenuto nei loro titoli di acquisto. Né il frazionamento
del fondo servente, conseguito alla divisione dei beni dismessi dal de cuius Giovanni Salvatico,
poteva nuocere al fondo dominante.
Concludeva che le prove testimoniali assunte confermavano che il passaggio in concreto era
stato esercitato quanto meno dal 1967 in poi, nulla quanto all’epoca precedente, per cui doveva
ritenersi infondata anche l’eccezione di prescrizione del diritto prospettata dagli appellati
BORGNA-ROBERI.
Quanto alle domande di garanzia per evizione, riteneva la irritualità di quella proposta da
BORGNA-ROBERI in grado di appello, non riproposta nella prima comparsa di costituzione
(datata 14/15.1.2003), ma solo in quella successiva (datata 11/24.9.2003), inammissibile ex artt.
346 e 347 c.p.c., mentre quanto alla domanda proposta da CANOVA-BORGNA, occorreva tenere
conto della trascrizione, che rendeva il diritto di servitù di passaggio facilmente accertabile e
sicuramente opponibile ai terzi acquirenti.
Awerso la indicata sentenza della Corte di appello di Torino hanno proposto ricorso per
cassazione CANOVA-BORGNA, articolato su due motivi, nonché BORGNA-ROBERI, affidato a
nove motivi, illustrati con memorie ex art. 378 c.p.c., ai quali hanno replicato i BRIATORECANAVESE, con separati controricorsi.
Fissata pubblica udienza al 22.4.2013, il Collegio rinviata la causa a nuovo ruolo disponendo la
rinnovazione della notifica del ricorso incidentale nei confronti degli intimati Giovanni MOLINARI,
Vilma RAVOTTO, Ezio SALVATICO, Gianfranco SALVATICO e Jean Denis Marie SALVATICO

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specifica del peso che gravava gli immobili nell’attualità, era Giovanni Salvatico, il primo dante

(risultato poi quest’ultimo già raggiunto dalla notifica del ricorso principale), attività cui i difensori
dei ricorrenti incidentali provvedevano, curando, altresì, il deposito delle relative relate di
notificazione.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente disposta, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., la riunione dei ricorsi hinc et inde
proposti avverso la stessa sentenza.
Peraltro, il loro sovrapporsi temporale pone la necessità di precisare che — come questa Corte ha
già avuto modo di affermare – il principio di unità dell’impugnazione, sancito dall’art. 333 c.p.c.,
implica che l’impugnazione proposta per prima determina la pendenza dell’unico processo nel
quale sono destinate a confluire, sotto pena di decadenza, per essere decise simultaneamente,
tutte le impugnazioni successivamente proposte avverso la stessa sentenza, di talché queste
inevitabilmente assumono carattere incidentale.
Tanto chiarito, con il primo motivo del ricorso principale proposto da CANOVA-BORGNA
viene denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 634 c.c. del 1865, 1027, 1031,
1058, 1063, 1065, 1079 e 1362 c.c. vigente perché ad awiso dei ricorrenti l’atto Nani del
5.6.1939 non integra gli estremi di una valida ricognizione di servitù a norma dell’art. 634 c.c. del
1865 non contenendo l’indicazione del luogo e delle modalità di esercizio ed estensione, tanto da
essere gli stessi originari attori ad invocare ex artt. 1063 e 1065 c.c. la determinazione del
sedime, dell’estensione e delle modalità per l’esercizio del transito. Proseguono i ricorrenti che
l’erroneità dei principi ermeneutici si evince anche dalla considerazione che per aversi un valido
atto di ricognizione ex art. 634 c.c. del 1865 non bastano formule generiche, ma occorre che dal
contesto dell’atto sia possibile stabilire quale ne sia il contenuto, mentre nella specie il percorso
tracciato dal c.t.u. con l’ipotesi 1) va ad incidere solo sui fondi appartenenti ai BORGNA-ROBERI

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Entrambe le parti ricorrenti, principale ed incidentale, hanno depositato memorie illustrative.

e non su quelli CANOVA-BORGNA, divisi dalla strada nazionale da cunetta e su cui insistono
fabbricati e piantt, senza tenere conto che il fondo degli originari attori è servito da una ampia
strada pubblica.

inequivocabilmente manifestato la volontà diretta alla costituzione del diritto reale, bensì vi era
esclusivamente la ricognizione di una pretesa servitù prediale ritenuta già esistente,
dichiarazione pertanto inidonea a costituire qualsivoglia diritto reale. A cotollario del motivo è
posto il seguente quesito di diritto: “se la mancata indicazione del preciso luogo su cui la servitù
(nella specie: di passaggio) deve essere esercitata, nonché della sua estensione e delle modalità
di esercizio costituisca o no violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt.
634 c.c. del 1865, 1027, 1031, 1058, 1063, 1065, 1079 e 1362 c.c. vigente e 360 comma 1, n. 3,
c. p.c. “.
Con il secondo motivo del ricorso principale viene denunciata la omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio per non avere la
corte di merito nell’esaminare la domanda di garanzia da loro proposta tenuto conto dell’atto per
notaio Oggerino del 28.6.1979 laddove i beni venivano venduti “liberi da ipoteche e trascrizioni
pregiudizievoli, nello stato di fatto in cui si trovavano attualmente, a corpo, con ogni accessione e
pertinenza con garanzia per l’evizione…”, basandosi solo sulla rituale trascrizione dell’atto del
notaio Nani del 1939. Il motivo culmina nel seguente momento di sintesi: “se la scelta del sedime
di cui all’ipotesi 1 — adottata dal giudice di appello nella sua sentenza n. 1707/06 sulla base della
relazione 21.1.1994 e planimetrica del c.tu. geom. M. Castellino — costituisca o no omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio. Se, in
ogni caso, l’omesso esame del titolo rogito Oggerino 28/06/1979 n. 10749/4856 costituisca nullità
dell’impugnata sentenza pure in relazione alla domanda di garanzia proposta — anche in appello —
dai convenuti Canova-Borgna contro il contumace dante causa Salvatico Jean Denis Marie e

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Concludono asserendo che nella specie le parti del rogito del 1939 non avevano

respinta dal secondo giudice (pagg. 15 e 17) e tale omissione renda la motivazione inidonea a
giustificare la decisione come assunta”.
Passando ad illustrare il ricorso incidentale, con il primo motivo viene denunciata la

comproprietà dei CANOVA-BORGNA, oltre che di Armando Borgna ed Alfonso Borgna, soggetti
rimasti estranei al giudizio. Il motivo pone il seguente quesito: “se l’actio con fessoria servitutis
veda come legittimati passivi necessari tutti i comproprietari del preteso fondo servente e se
quindi la sentenza resa solo nei confronti di taluni di essi vada annullata con rinvio della causa al
primo giudice”.
Con il secondo motivo viene denunciata la violazione dell’art. 28, comma 1, n. 3 e dell’art.
58, comma 1, n. 3 della legge 16.2.1913 n. 89 in relazione all’ad. 1421 c.c., oltre a insufficiente
motivazione, per avere il notaio Marco Nani stipulato l’atto del 1939 in cui egli stesso compariva
come parte, in particolare, nella qualità di proprietario del preteso fondo dominante, per cui si
avrebbe dovuto dichiarare l’invalidità dell’atto, mentre il giudice di appello aveva trattato la
questione in modo assolutamente apodittico. L’illustrazione del motivo è conclusa ponendo il
seguente quesito di diritto: “se possa ritenersi valida, o vada invece dichiarata nulla, anche ex
officio, la clausola di un atto notarile di compravendita di un terreno, che venga assunta come
equipollente ad un titolo costitutivo di una servitù passiva a carico del terreno compravenduto e a
vantaggio di un fondo di proprietà del notaio rogante”.
Con il terzo motivo viene denunciata la violazione dell’ari 2644, comma 1, c.c. vigente e
dell’ad. 1942 c.c. del 1865, nonché omessa motivazione, giacchè nel sistema di pubblicità
immobiliare la trascrizione si fa a favore e a carico di soggetti: nella specie, di converso, la
trascrizione era stata fatta contro l’acquirente dei mappali 139 e 167 ed in favore del preteso
fondo dominante (mappale n. 401), che all’epoca era del notaio Marco Nani, per cui quel titolo
non avrebbe alcun effetto nei confronti di colui che acquisti da lui quel fondo. In altri termini, nel

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violazione dell’art. 102 c.p.c. per essere il fondo di cui ai mappali 523 sub 1 e 920 del foglio 46 in

sistema della pubblicità immobiliare res transit cum iuribus in re aliena solo quando questi iura ,
se consistenti in diritti reali attivi conseguenti a titolo, risultino correttamente trascritti. A
conclusione il motivo pone a conclusione il seguente quesito: “se, non essendo trascritto a favore

con regolare trascrizione, del proprietario del fondo a cui il titolo della servitù avrebbe profittato
possa avvalersi di quel titolo di servitù nei confronti del proprietario de/fondo servente”.
Con il quarto motivo viene dedotta la violazione degli artt. 616, 640 e 647 c.c. del 1865,
nonché degli artt. 2908 e 1032 c.c. vigente, giacchè anche nel codice civile del 1865 il titolo che
occorreva per la costituzione delle servitù discontinue volontarie doveva prevedere l’esercizio e
l’estensione della servitù per non peccare di indeterminatezza, precetto contenuto anche
nell’attuale sistema. Di converso, la corte di merito si è trovata a definire determinato un titolo
che, su un fondo di vasta estensione, circa 3522 mq., non definiva in alcun modo dove dovesse
passare la “servitù di passaggio anche con carro dalla via Nazionale” a favore del mappale 401,
salvo che con l’espressione ‘sempre a minor danno’, creando essa stessa un nuovo e surrogativo
titolo — la sentenza — che invece è consentito dalla legge solo per le servitù coattive. A corollaro
del motivo viene posto il seguente quesito: “se possa o meno il giudice, laddove una parte
invochi una servitù volontaria adducendo un titolo che appaia al giudice non sufficientemente
determinato, stabilire egli stesso, con pronuncia costitutiva o integrativa del titolo, dove e come
vada esercitata la servitù”.
Con il quinto motivo viene dedotta la violazione degli artt. 616, 640 e 647 c.c. del 1865,
nonché dell’art. 1065 c.c. vigente, oltre ad omessa motivazione, per non avere la corte di merito
spiegato con congrua motivazione perché la soluzione adottata risultasse essere ‘l’unica
concretamente possibile’, rispondendo anche al criterio del minore danno, in forza di una
valutazione complessiva e comparata. Il mezzo pone a conclusione il seguente quesito di diritto:
“se il giudice, laddove una parte richieda l’individuazione del luogo di esercizio di una servitù

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del proprietario di un fondo un titolo di servitù attiva a vantaggio de quel fondo, l’avente causa,

volontaria costituita ‘a minor danno’, possa o meno procedersi, senza violare le norme di cui con
il presente ‘mezzo’ si è denunciata la violazione, prescindendo dalla valutazione, da esporre poi
in congrua motivazione a conforto della decisione assunta dalla situazione dei luoghi,

della coltivazione, nonché di tutti gli altri elementi mediante i quali di norma è possibile
individuare le esigenze del fondo dominante che le parti hanno inteso soddisfare tuttavia
arrecando al fondo servente il ‘minor danno’ possibile”.
Con il sesto motivo viene denunciata la falsa applicazione degli artt. 616, 640 e 647 c.c.
del 1865, dell’art. 1065 e dell’art. 2697 c.c. vigente per avere la corte torinese ritenuto di
determinare il passo della servitù di passaggio con riferimento allo stato attuale dei luoghi e cioè
a quello risultante dagli accertamenti peritali espletati nel corso del giudizio di primo grado e non
con riferimento all’epoca della convenzione, come più volte affermato dalla corte di legittimità in
detta materia. Il motivo culmina nel seguente quesito di diritto:

“se in ipotesi di servitù

convenzionale da esercitarsi a ‘minor danno’ per il fondo servente ed al fine di individuare su
quest’ultimo il luogo di esercizio e le relative modalità, l’accertamento della situazione dei luoghi,
dell’estensione del fondo dominante e di quello servente, della coltura del fondo dominante, del
metodo di coltivazione ed in genere di tutti gli elementi mediante i quali di norma non è possibile
individuare le esigenze del fondo dominante che i contraenti hanno inteso soddisfare tuttavia
arrecando il ‘minor danno’ al fondo servente, debba o meno dal giudice essere effettuato, in forza
di una corretta interpretazione delle norme di cui con il presente ‘mezzo’ si sono denunciate la
falsa applicazione e la violazione, con riferimento all’epoca della convenzione, con onere
gravante sulla parte che tende all’esercizio della servitù di fornire prova in ordine ai vari elementi
necessari per il suddetto accertamento, con riferimento a tale epoca”.
Con il settimo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 346 e 347 c.c. vigente al 1990
per avere la corte di merito dichiarato la tardività della domanda di garanzia formulata dai

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dell’estensione dei fondi dominante e servente, della coltura del fondo dominante, del metodo

ricorrenti incidentali in sede di appello solo con la seconda memoria, nonostante il regime
processuale da applicare fosse meno rigoroso, trattandosi di questioni non respinte, ma non
trattate dal giudice di prime cure. Il mezzo conclude ponendo il seguente quesito di diritto: “se,

1995, le domande ed eccezioni che la parte appellata intenda riproporre in appello ex artt. 346347 c.p.c., non trattate nella sentenza di primo grado perché assorbine da elementi decisionali
già di per sé pienamente favorevoli alla parte appellata, debbano essere riproposte, a pena di
inammissibilità, nella comparsa di risposta e/o alla prima udienza possano essere riproposte
anche in un atto e/o in un’udienza successivi.”.
Il Collegio valuta preliminare, anche rispetto all’esame del primo motivo del ricorso
incidentale (con il quale è prospettata la violazione dell’art. 102 c.p.c.), la questione posta con il
secondo motivo del ricorso incidentale, per quanto di seguito si illustrerà.
Deve innanzitutto osservarsi come dalla sentenza emerga — circostanza incontestata fra le parti —
che la servitù in oggetto è stata costituita con atto a rogito del notaio Nani Marco di Garessio in
data 5.6.1939, registrato il successivo 23.6.1939: in particolare, si tratta di atto di vendita a favore
di Giovanni Salvatico dei mappali 139 e 167 del foglio 46 di Garessio, precisato che il venditore,
Seghezza Oreste, cedeva tali terreni gravati da servitù di passaggio con carro dalla via Nazionale
a favore del mappale 401, di proprietà dello stesso notaio, da esercitarsi a minor danno.
Ritiene questa Corte che la doglianza mossa con detto mezzo, in tema di divieti posti dall’art. 28

nella disciplina processuale inerente ad un processo iniziato antecedentemente alla novella del

della legge notarile e di interesse del notaio all’atto rogato, sia fondato.
L’art. 28 della legge 16.2.1913 n. 89 nello statuire quali atti il notaio non possa rogare, al fine di
assicurare la posizione di terzietà del professionista (figura che assomma in sé le componenti del
munus pubblico, proprio del pubblico ufficiale, e quelle del libero professionista), dopo avere, nei
nn. 1 e 2, previsto che il notaio non può ricevere atti se essi sono espressamente proibiti dalla
legge o manifestamente contrari al buon costume e all’ordine pubblico, o se vi intervengono

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mi

come parti la propria moglie o suoi parenti o affini in linea retta in qualunque grado, ed in linea
collaterale fino al terzo grado inclusivamente, allarga ulteriormente l’arco degli atti interdetti,
disponendo al n.3 che tra essi vi sono quelli che “contengano disposizioni che interessino lui

persone delle quali egli sia procuratore per l’atto da stipularsi, salvo che la disposizione si trovi in
testamento segreto

L’art. 58, comma 1, n. 3 della stessa legge, sanziona con la nullità le

disposizioni effettuate in violazione della precedente norma (giacchè la funzione notarile “non
solo deve svolgersi nell’ambito della più rigorosa legalità, ma deve essere esplicitata pure in
modo da ispirare la massima fiducia ed allontanare possibilmente anche il sospetto che negli atti
possa esservi un interesse personale del notaro che li riceve”, così Cass. 4 agosto 1942 n.
2449).
Osserva questa Corte che, come tutti i divieti sanzionati da nullità, con il conseguente regime
della rilevabilità d’ufficio o su istanza di qualunque terzo interessato e della imprescrittibilità della
relativa azione (ari. 1421 e 1422 c.c.), il divieto in esame presidia superiori e generali interessi e
non già quelli propri ed esclusivi delle parti del contratto ed assume una valenza precettiva
meramente formale, laddove configura come illegittime situazioni tipiche di mera condotta e non
anche le situazioni produttive di danno per alcuni soggetti o di vantaggio per il notaio o per i
prossimi congiunti indicati dalla norma.
Trattasi di norma posta a garanzia della terzietà del notaio rispetto all’atto che roga, ed è

stesso, la moglie sua o alcuno dei suoi parenti o affini, fino al terzo grado inclusivamente, o

l’equivalente, per il notaio, dell’obbligo di astensione dall’attività, che è imposto al giudice dall’ari.
51, n. 1 c.p.c., che ha l’obbligo di astenersi “se ha interesse nella causa”. Come per il giudice
(Cass. 15 aprile 1971 n. 1060), l’interesse personale mette in dubbio l’imparzialità dell’organo che
procede.
Poiché la norma è a presidio dell’imparzialità del notaio e pone un divieto allo stesso di rogare,
detta valutazione di esistenza dell’interesse dei soggetti indicati dalla norma, va effettuata ex

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m

ante e non ex post e cioè in termini di mera potenzialità, o se si vuole, di pericolosità che
l’atto possa essere rogato al fine di soddisfare un interesse dei soggetti indicati dalla norma,
irrilevante che in concreto le parti non abbiano ricevuto un danno dall’atto rogato. La tutela

congiunti) abbiano un interesse, tant’è che il divieto attiene già alla condotta e l’interesse che
rende illegittima la condotta non può che essere valutato anteriormente e cioè prima che la
condotta sia posta in essere. Pertanto l’interesse — diversamente da quanto osservato dalla corte
di merito nella sentenza impugnata, che ne ha ritenuto la irrilevanza – non può essere identificato
in maniera riduttiva e cioè come contrasto con gli interessi delle parti che hanno richiesto l’opera
del notaio, nell’ottica del parametro normativo di cui all’art. 1394 c.c..
Infatti da una parte la norma di cui all’art. 28 n. 3 non fa alcun riferimento a fattispecie
di conflitto ed inoltre la terzietà del pubblico ufficiale è lesa anche nel caso di coincidenza tra
l’interesse privato dello stesso e quello delle parti.
Trattasi, quindi, di un divieto che ha la stessa funzione di garantire la trasparenza dell’attività
del notaio, quale pubblico ufficiale, simile anche ai divieti posti dal codice civile nei confronti di
particolari pubblici ufficiali in tema di cessione di diritti (art. 1261 c.c.) o di acquisti (art. 1471, n.
2), sanzionati anche essi con una nullità assoluta ed inderogabile. La particolarità rispetto a detti
divieti è che in essi l’interesse del pubblico ufficiale si realizza esclusivamente con l’atto vietato,
nel senso che questo lo regola come suo oggetto, imputato a persona determinata, nel caso

dell’imparzialità è anticipata, vietando allo stesso di rogare un atto in cui egli (o i prossimi

invece di cui all’art. 28, n. 3 cit., l’interesse si realizza per il tramite dell’atto, come conseguenza
giuridica e/o patrimoniale dello stesso, secondo la regolarità causale.
Se l’interesse fosse solo quello regolato dall’atto, allora il suo portatore sarebbe la vera parte
sostanziale del negozio, con la conseguenza che la norma in questione non si distinguerebbe da
quella di cui all’art. 28 n. 2 legge n. 89 del 1913, la quale fa divieto di ricezione degli atti nei quali
intervengono come parti o come procuratori, tutori ed amministratori, il coniuge, i parenti, ed affini

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in linea retta ed in linea collaterale, fino al terzo grado, discendendo peraltro dal sistema il divieto
che il notaio possa rogare se stesso, e, quindi essere parte dell’atto.
Ne consegue che l’interesse di cui all’art. 28 n. 3 legge n. 89 del 1913 non è un interesse interno

secondo la regolarità causale e, quindi, da valutarsi ex ante (v. in termini, Cass. 23 maggio 2001
n. 7028, che si pone in linea di diretta continuità con quanto affermato da Cass. n. 2449 del 1942
cit. e Cass. 9 aprile 1963 nn. 907 e 908, oltre a Cass. 11 giugno 1969 n. 2067, nonchè da Cass.
1° settembre 2000 n. 11497).
Infatti, chiarito lo spirito informatore della norma nei termini sopra illustrati, concretizzandosi il
bene dalla stessa tutelato nell’esigenza di terzietà che deve caratterizzare la funzione notarile,
non par dubbio che detto bene debba trovare una soglia di tutela anticipata anche contro il
semplice sospetto e/o pericolo dell’esistenza di un interesse personale del notaio rogante negli
atti che questi riceve. Del resto l’obbligo di astensione dall’esercizio del ministero notarile previsto
dall’art. 28 n. 3 legge notarile o, se si vuole, l’esigenza di imparzialità espressa da detta norma,
che sia posto a tutela di interessi di carattere generale può desumersi, a maiori, anche dal tipo di
reazione che l’ordinamento prevede per l’ipotesi di violazione di detto obbligo, ossia la nullità
delle disposizioni nelle quali il notaio o gli altri soggetti indicati dalla stessa disposizione abbiano
un interesse: trattasi di nullità parziale, che però, in ossequio ai principi generali che informano la
disciplina del contratto, si potrebbe tradurre in nullità dell’intero atto ove da esso risulti che
sarebbe stato compiuto “senza quella parte del suo contenuto che è colpita da nullità” (art. 1419,
comma 1, c.c.).
Dunque, per concludere, si ritiene sussistere i presupposti per l’accoglimento del secondo motivo
del ricorso incidentale, essendo evidente l’interesse del notaio Nani Marco alla dichiarazione del
venditore contenuta nell’atto rogato in data 5.6.1939 con la quale è stata costituita la servitù in
contestazione, per cui – rimanendo assorbite le altre doglianze dedotte sia con il ricorso principale

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all’atto e che in esso si esaurisce, ma formalmente esterno all’atto negoziale e ad esso ricollegato

sia con quello incidentale in quanto superate dalle considerazioni che precedono – la sentenza
impugnata va cassata.
Non essendo necessarie ulteriori acquisizioni, ricorrono, inoltre, gli estremi per decidere nel

Osserva il Collegio che poiché nella specie si è al di fuori della capacità dispositiva delle parti
contraenti ed essendo — per quanto sopra esposto – anche il semplice pericolo di una
compromissione della funzione di terzietà del notaio legittimo a qualificare in termini di nullità le
disposizioni del relativo contratto, per cui resta emarginata qualsiasi indagine di fatto sul
contenuto negoziale dell’atto tesa a verificare l’effettiva sussistenza di un pregiudizio agli interessi
delle parti che sono intervenute all’atto stesso, va rigettata la domanda attorea di accertamento
della esistenza della servitù di passaggio per nullità della relativa dichiarazione di costituzione del
diritto reale contenuta nel contratto di compravendita a rogito del notaio Nani Marco del 5.6.1939.
Quanto al regime delle spese processuali, l’esito definitivo del giudizio, alla luce anche della
natura delle controversia, della peculiarità della vicenda e delle modalità di prospettazione della
questione, giustifica tra le parti la compensazione per intero delle stesse (sia del primo grado, sia
di quelle di appello, sia del giudizio di legittimità).

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, assorbiti gli altri motivi
del ricorso incidentale ed il ricorso principale;
cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito, respinge la domanda attorea;
dichiara interamente compensate fra le parti le spese di tutti i gradi di giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione Civile, il 19 settembre 2013.

merito la controversia, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2.

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