Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26845 del 22/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 22/12/2016, (ud. 23/11/2016, dep.22/12/2016),  n. 26845

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2107/2015 proposto da:

I.G.M.C., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA PANAMA 74, presso lo studio dell’avvocato GIANNI EMILIO

IACOBELLI, che la rappresenta e difende giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE SPA, (OMISSIS), società con socio unico – in persona

del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 10097/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

25/11/2013, depositata il 15/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIO FERNANDES;

udito l’Avvocato Fares Ilaria (delega verbale avvocato Iacobelli

Gianni Emilio) difensore della ricorrente che si riporta alla

memoria.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 23 novembre 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:

“In sede di rinvio da Cass. n. 10675/2012, la Corte di Appello di Roma, con sentenza del 15 marzo 2014, confermava la decisione del Tribunale in sede di rigetto della domanda proposta da I.G.M.C. nei confronti di Poste Italiane s.p.a. ed intesa alla declaratoria di nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso essa ricorrente e la convenuta società per il periodo dal 9 febbraio al 31 maggio 2001 con conseguente accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e condanna della società alla reintegra della lavoratrice nonchè al pagamento delle retribuzioni maturate dalla scadenza del termine alla riammissione in servizio.

Il termine al contratto era stato apposto ai sensi dell’art. 25 CCNL, 2001 “esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più favorevole riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi”.

La Corte territoriale – esclusa la ricorrenza di una ipotesi di scioglimento del rapporto per mutuo tacito consenso – riteneva legittima la clausola appositiva del termine alla luce della giurisprudenza di questa Suprema Corte secondo cui: l’accertamento da parte dei contratti collettivi di determinate situazioni di fatto e la valutazione di esse come idonea causale del contratto a termine escludono la necessità di un accertamento a posteriori in ordine alla effettività delle stesse situazioni; l’indicazione del nominativo del lavoratore sostituito non era necessaria. Precisava che la questione relativa al mancato rispetto da parte della società della cd. “clausola di contingentamento” era inammissibile essendo stata sollevata per la prima volta in appello.

Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la I. affidato a due motivi.

Poste Italiane s.p.a. resiste con controricorso.

Con entrambi i motivi di ricorso viene dedotta violazione di plurime disposizioni di legge (in relazione all’art. 360, n. 3 – primo motivo e n. 4 – secondo motivo) per avere l’impugnata sentenza erroneamente ritenuto che la questione relativa al mancato rispetto della “clausola di contingentamento” non fosse stata sollevata nel ricorso introduttivo del giudizio, bensì, solo in appello.

Entrambi i motivi, da trattare congiuntamente in quanto logicamente. connessi, sono fondati.

L’esame operato dalla Corte territoriale del ricorso introduttivo del giudizio effettivamente non tiene conto di alcuni passaggi dello stesso – trascritti nei motivi in ossequio al principio di autosufficienza – in cui emerge che la questione della presunta violazione della clausola di contingentamento (costituente uno dei presupposti per la legittimità del termine nei casi indicati e quindi avente carattere decisivo), con sollecitazione al datore di lavoro ad assolvere l’onere probatorio a suo carico, era stata posta e costituiva oggetto del contendere come, peraltro, dimostrato anche dalle difese articolate sul punto dalla società nella memoria di costituzione e risposta innanzi al Tribunale.

E’ appena il caso di ricordare, a proposito di tale onere probatorio, che, in base alla consolidata e condivisa giurisprudenza di questa Corte, la facoltà delle organizzazioni sindacali di individuare ulteriori ipotesi di apposizione del termine al contratto di lavoro è subordinata dalla L. n. 56 del 1987, art. 23, alla determinazione delle percentuali di lavoratori che possono essere assunti sul totale dei dipendenti. Pertanto, non è sufficiente l’indicazione del numero massimo di contratti a termine, occorrendo altresì, a garanzia di trasparenza ed a pena di invalidità dell’apposizione del termine, l’indicazione del numero dei lavoratori assunti a tempo indeterminato, sì da potersi verificare il rapporto percentuale tra lavoratori stabili e a termine. L’onere della prova dell’osservanza di detto rapporto, nei limiti delle percentuali indicate dalla contrattazione collettiva, è a carico del datore di lavoro, in base alle regole di cui alla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 3, secondo cui incombe al datore di lavoro dimostrare l’obiettiva esistenza delle condizioni che giustificano l’apposizione di un termine al contratto di lavoro (vedi, per tutte: Cass. 12 dicembre 2011, n. 26567; Cass. 19 gennaio 2010, n. 839; Cass. 12 marzo 2009, n. 6010, nonchè Cass. 1 ottobre 2013, n. 22417; Cass. 10 marzo 2015, n. 4764).

Alla luce di quanto esposto si propone l’accoglimento del ricorso, la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che si atterrà, nell’ulteriore esame del merito della controversia, ai principi su affermati – con ordinanza ex art. 375 c.p.c., n. 5″.

Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.

La I. ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c.. Il Collegio ritiene di condividere pienamente il contenuto della riportata relazione e, pertanto, accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

Non sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013). Tale disposizione trova applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame, avuto riguardo al momento in cui la notifica del ricorso si è perfezionata, con la ricezione dell’atto da parte del destinatario (Sezioni Unite, sent. n. 3774 del 18 febbraio 2014). Inoltre, il presupposto di insorgenza dell’obbligo del versamento, per il ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014).

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2016

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