Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26840 del 25/11/2020

Cassazione civile sez. lav., 25/11/2020, (ud. 16/09/2020, dep. 25/11/2020), n.26840

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24857/2017 proposto da:

ICE – AGENZIA PER LA PROMOZIONE ALL’ESTERO E L’INTERNAZIONALIZZAZIONE

DELLE IMPRESE ITALIANE, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE

DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI

PORTOGHESI n. 12;

– ricorrente –

contro

S.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE CARSO 23,

presso lo studio dell’avvocato MARIA ROSARIA DAMIZIA, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1422/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 18/04/2017 R.G.N. 894/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/09/2020 dal Consigliere Dott. ROBERTO BELLE’.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. con ricorso al Tribunale di Milano, S.G., ex dirigente dell’Istituto Commercio Estero (ICE) ha convenuto in giudizio il predetto ente al fine di far accertare il suo diritto ad ottenere la liquidazione dell’indennità di fine servizio sulla base della normativa (L. n. 70 del 1975, art. 13) applicabile ai dipendenti degli enti pubblici non economici e ciò per l’intero servizio prestato, senza il frazionamento delle erogazioni, applicato dopo la cessazione del rapporto avvenuta il 1.2.2009, attraverso la liquidazione di una parte secondo il regime di cui all’art. 13 cit. (per il periodo fino al 18.7.1990) e per la parte successiva secondo il regime del t.f.r.;

la domanda è stata accolta dal Tribunale e la pronuncia è stata confermata dalla Corte d’Appello di Milano, la quale ha richiamato Cass. 26557/2008, per affermare la sottoposizione del personale I.C.E., dopo il reingresso nella disciplina degli enti pubblici non economici disposto dalla L. n. 68 del 1997, art. 10, esclusivamente alle regole proprie dei dipendenti di essi;

2. l’I.C.E. – Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane (Agenzia ICE), nel corso del processo subentrata in forza del D.L. n. 98 del 2011, nei rapporti giuridici, anche di lavoro (art. 14, comma 26-octies), già facenti capo all’ICE, ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo, resistito da controricorso della parte privata, che ha infine depositato anche memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. con l’unico motivo di ricorso Agenzia ICE assume la violazione e falsa applicazione della L. n. 70 del 1975, art. 13 e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, nonchè dell’art. 2120 c.c. e dei contratti collettivi di lavoro ratione temporis applicabili sostenendo che, pur se i dirigenti non erano stati contemplati dalla disciplina collettiva che per gli altri dipendenti, dopo il 1997, aveva disposto la protrazione del regime di t.f.r., fosse ragionevole l’operato consistito nella sottoposizione del proprio personale ad un medesimo regime, senza contare che a decorrere dal 1.1.2011 per tutti i dipendenti della P.A. vi è stato il transito al regime del t.f.r. e che a tutto concedere, essendosi irreversibilmente prodotti gli effetti della L. n. 106 del 1989, art. 5, comma 5, fino al 1997, un diverso regime avrebbe potuto essere riconosciuto semmai solo al periodo successivo al 1998;

2. il personale dell’ICE, ai sensi della L. n. 106 del 1989, art. 5, comma 5, fu sottoposto per legge, a partire dal 18.7.1990, alla disciplina della contrattazione collettiva privata del settore assicurativo, anche rispetto al t.f.r.;

successivamente la disciplina legale è mutata;

secondo la L. n. 68 del 1997, art. 10, infatti “il rapporto di lavoro dei dirigenti e del personale dell’ICE è disciplinato dai contratti collettivi del comparto degli enti pubblici non economici” (comma 1) e “alle materie non disciplinate dai contratti di cui al comma 1 si applica il regolamento del personale di cui all’art. 4, comma 3, lett. a)” (comma 2);

la riforma è stata intesa da questa Corte come tale da avere comportato un’evoluzione dei rapporti di lavoro verso il regime del pubblico impiego privatizzato (Cass. 20 giugno 2016, n. 12679);

nel 2011, VICE è stato poi soppresso ed il personale è stato distribuito tra la nuova Agenzia ICE e il MISE, ma la norma (D.L. n. 98 del 2011, art. 14, comma 26-octies) ha previsto che “ai dipendenti trasferiti al Ministero dello sviluppo economico e all’Agenzia di cui al comma 18, mantengono l’inquadramento previdenziale di provenienza nonchè il trattamento economico fondamentale e accessorio limitatamente alle voci fisse e continuative, corrisposto al momento dell’inquadramento”;

non vi è quindi dubbio che tale ulteriore evoluzione ordinamentale non abbia comportato mutamenti nell’assetto dei diritti oggetto di causa che restano quindi da definire secondo la disciplina preesistente ad esso;

2.1 con riferimento quindi alla richiamata previsione di cui alla L. n. 68 del 1997, art. 10, non vi è dubbio che la contrattazione collettiva in concreto non sia intervenuta quanto ai dirigenti, perchè il c.c.n.l. 1998-2001, oltre a risultare applicabile (art. 1) solo ai non dirigenti, nel regolare la protrazione del regime di t.f.r. di cui alla disciplina previgente, lo ha fatto con esplicito riferimento al “personale non dirigente” (art. 46);

ciò non consente di aderire, anche per l’inequivoca limitazione letterale, alla tesi secondo cui ai dirigenti potrebbero estendersi le regole applicate per i non dirigenti; al contempo la normativa specifica dell’ICE del 1997 non ha previsto forme opzionali (l’opzione era stata prevista invece dalla L. n. 106 del 1989, art. 5, comma 5, in relazione ai mutamenti illo tempore intervenuti), nè, trattandosi di lavoratori già in servizio al 31.12.1995, è fatta questione di avvenuto esercizio dell’opzione di cui alla L. n. 449 del 1997, art. 59, comma 56 (e successive norme ed accordi attuativi), sicchè le regole generali sulla trasformazione in t.f.r. non sono di ostacolo al permanere del regime dell’indennità di fine servizio del parastato (sul tema, v. Cass. S.U. 25 marzo 2010, n. 7158, in motivazione);

nè ha rilievo il D.L. n. 78 del 2010, art. 10, comma 12, norma che avrebbe (ma, in senso contrario v. anche Corte Cost. 11 ottobre 2012, n. 223) fatto trasmigrare i regimi di t.f.s. a regimi di t.f.r., in quanto la disposizione è stata abrogata (L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 98), con previsione anche di riliquidazione di quanto attuato medio tempore secondo i sistemi previgenti;

d’altra parte, Cass. 5 novembre 2008, n. 26557, seppure ad altri fini, ha sottolineato come, nonostante l’evoluzione normativa, i rapporti di lavoro con VICE abbiano avuto continuità giuridica;

in questo quadro, nell’assenza di una normativa che sia intervenuta esplicitamente a regolare la vicenda sotto il profilo del trattamento di fine servizio, non è possibile ipotizzare la tesi di una liquidazione pro rata di esso, con periodi regolati secondo un regime (t.f.r.) ed altri secondo altro regime (L. n. 70 del 1975, art. 13);

i diritti di fine rapporto, comunque denominati, sorgono infatti, a parte le possibilità di anticipazione di cui qui non si discute, solo al termine del rapporto di lavoro (Cass. 19 luglio 2018, n. 19277; Cass. 6 febbraio 2018, n. 2827; Cass. 23 aprile 2009, n. 9695);

essi pertanto, in assenza di norme diverse, soggiacciono al regime esistente in quel momento;

al contempo, le regole di accantonamento o contribuzione che assistono le diverse forme ed i diversi istituti, riguardano le modalità di realizzazione e conservazione della provvista e, allorquando vi siano mutamenti di regime, si pone soltanto il diverso problema di regolare le eventuali modalità di confluenza di tale provvista verso chi sia tenuto all’erogazione ultima;

tale fenomeno risulta nel caso di specie meno gravoso in quanto sia il t.f.r. sia l’indennità di fine servizio sono a carico del datore di lavoro, il che potrebbe anche consentire l’assorbimento mediante detrazione di eventuali anticipazioni erogate all’epoca in cui vigeva il t.f.r., ma in ogni caso non può incidere sugli obblighi che discendono la legge e che sono da applicare al momento della cessazione del rapporto;

la sentenza impugnata ha quindi fatto buon governo della disciplina giuridica coinvolta e conseguentemente il ricorso va rigettato;

3. la notevole complessità e novità della questione giustificano la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2020

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