Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26839 del 25/11/2020

Cassazione civile sez. lav., 25/11/2020, (ud. 16/09/2020, dep. 25/11/2020), n.26839

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7357/2015 proposto da:

B.C., M.G., domiciliate in ROMA PIAZZA

CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentate e difese dagli avvocati LORENA DI GIAMBATTISTA,

MAURIZIO BALLETTA;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI MONTORIO AL VOMANO, in persona del Sindaco pro tempore,

domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE

SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CARLO

SCARPANTONI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1068/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 11/12/2014 R.G.N. 1220/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/09/2020 dal Consigliere Dott. ROBERTO BELLE’.

 

Fatto

RITENUTO

Che:

1. secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata B.C. e M.G. hanno ottenuto, dal Tribunale di Teramo, una prima sentenza (850/2002) con cui il Comune di Montorio al Vomano fu condannato ad ammettere le medesime alla selezione per 12 posti di impiegato d’ordine, sulla base di graduatoria del locale Centro per l’impiego, da cui erano state escluse per il trattarsi di lavoratori socialmente utili trasferiti presso altro ente;

in esito a tale sentenza, le due candidate sono state sottoposte alla prova selettiva, risultando idonee e venendo collocate ai primi due posti della graduatoria;

la predetta sentenza è stata però successivamente annullata dallo stesso Tribunale di Teramo, con pronuncia rescindente n. 1025/2003, in esito ad opposizione di terzo proposta dai lavoratori già assunti in luogo delle ricorrenti, i quali, pur senza avere partecipato al giudizio, si erano visti invalidare dal Comune i contratti con loro medio tempore stipulati;

dopo un ulteriore iter processuale, la pronuncia sull’opposizione di terzo, intanto proseguita per la fase rescissoria, è stata definita con sentenza della Corte d’Appello di L’Aquila (1061/2010);

tale pronuncia, rispetto alla partecipazione delle ricorrenti alle selezioni, ha ritenuto che fosse cessata la materia del contendere, per l’avvenuto scrutinio svolto in attuazione della sentenza poi annullata, mentre erano da ritenere tardive, perchè proposte solo in corso di giudizio, le domande di estinzione del rapporto di lavoro con i dipendenti assunti e di condanna del Comune all’assunzione delle ricorrenti e al risarcimento del danno;

le ricorrenti hanno quindi dato corso ad un nuovo giudizio, nel contraddittorio del solo Comune di Montorio al Vomano, nell’ambito del quale hanno chiesto, sul presupposto dell’aver esse superato la prova selettiva posta in essere successivamente alla prima sentenza del Tribunale di Teramo, l’accertamento del loro diritto all’assunzione, l’emissione di una sentenza costitutiva del relativo rapporto di lavoro e la condanna del Comune al risarcimento del danno da ritardata assunzione;

tali domande sono state respinte in primo grado e, rispetto ad esse, nella sentenza qui impugnata, la Corte d’Appello di L’Aquila ha rilevato come la sentenza (1061/2010) resa in sede rescissoria dalla Corte d’Appello avesse dichiarato cessata la materia del contendere, con pronuncia mai impugnata ed ha aggiunto che comunque l’annullamento della prima sentenza (850/2002) del Tribunale di Teramo in sede di opposizione di terzo (sentenza 1025/2003) aveva determinato la caducazione della valutazione svolta dal Comune in favore delle ricorrenti, alle quali era quindi precluso far valere un diritto che dipendeva necessariamente da quella valutazione di idoneità;

2. le ricorrenti hanno impugnato per cassazione quest’ultima sentenza con tre motivi.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo è addotta la violazione degli artt. 112,324 c.p.c. e art. 2909 c.c., per avere la Corte territoriale indebitamente superato il giudicato derivante dalle pregresse sentenze tra le parti;

con il secondo motivo si afferma la violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè della L. n. 56 del 1987, art. 16, art. 2932 c.c. e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 2 (art. 360 c.p.c., n. 3), per non avere la Corte di merito pronunciato sul diritto all’assunzione il terzo motivo è invece dedicato, richiamando l’art. 404 c.p.c. e art. 2909 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) alla violazione del giudicato derivante dalla prima sentenza del Tribunale di Teramo (850/2002), sostenendo le ricorrenti, attraverso il richiamo a Cass. 12266/2012, che l’accoglimento dell’opposizione di terzo non ha necessariamente effetto caducatorio integrale della sentenza, ma solo delle parti di essa che contrastino con l’interesse dei terzi stessi;

2. i tre motivi, stante la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente e sono complessivamente inammissibili per una pluralità di ragioni;

2.1 la Corte d’Appello, per denegare che la prova di idoneità favorevolmente superata dalle ricorrenti potesse costituire fondamento della loro pretesa all’assunzione, oltre a quanto argomentato sulla declaratoria di cessazione della materia del contendere pronunciata con la sentenza di appello (1061/2010) in sede di opposizione di terzo, ha fatto leva su un ulteriore profilo, consistente nel fatto che quella selezione “per il travolgimento della sentenza che l’ha imposta, deve considerarsi tamquam non esset”;

tale ratio decidendi muove dal presupposto, esplicitamente affermato sempre dalla Corte d’Appello nella sentenza qui impugnata, che il diritto “di assunzione e di risarcimento del danno” azionato nel presente giudizio si fonderebbe su quella selezione;

essa esprime in sostanza il ragionamento, in sè teoricamente corretto, per cui anche la riforma della sentenza pronunciata in sede di opposizione di terzo dispiega gli effetti di cui all’art. 336 c.p.c., comma 2, caducando i provvedimenti attuativi in base ad essa assunti;

anche perchè, se il pregiudizio per i lavoratori assunti che proposero opposizione di terzo derivava appunto dal fatto che l’ammissione alla selezione delle odierne ricorrenti avrebbe comportato la perdita del lavoro da parte loro, è evidente che l’accoglimento dell’azione ai sensi dell’art. 404 c.p.c., non poteva che far venire meno la selezione e della graduatoria poste in essere sulla base della sentenza poi riformata;

sul punto nulla è esplicitamente detto nel ricorso per cassazione;

infatti, se quello (superamento della selezione di idoneità) era il titolo fondante della domanda e se la Corte di merito ha ritenuto che quel titolo fosse da aversi per caducato, le ricorrenti avrebbero dovuto mettere in discussione la prima affermazione, riportando le parti del proprio ricorso da cui si dovesse desumere che il fondamento da esse posto a base della pretesa non era quello o che la domanda dovesse essere diversamente intesa, precisando perchè e anche a tal fine riportando i passaggi dell’atto introduttivo utili a sorreggere l’assunto; altrimenti, esse avrebbero dovuto mettere in discussione la correttezza o la pertinenza delle conseguenze in diritto (caducazione della selezione) tratte nella sentenza impugnata sul punto;

ma nè l’uno nè l’altro aspetto sono stati oggetto di puntuali critiche nei motivi di ricorso e ciò è già sufficiente a determinare l’inammissibilità dell’impugnazione, perchè quella ratio decidendi resta inattaccata ed intatta nella sua specificità;

2.2 il ricorso è peraltro inammissibile, guardando la vicenda sotto il profilo della domanda di assunzione o costituzione del rapporto di lavoro, anche per le seguenti, per quanto connesse, ragioni;

la giurisprudenza di questa Corte, pur richiedendo necessariamente, allorquando si agisca al fine di ottenere il riconoscimento del posto di lavoro in esito a selezioni o concorsi, il litisconsorzio con i concorrenti potenzialmente pregiudicati dalla domanda (Cass. 16 dicembre 2013, n. 28036; Cass. 5 giugno 2008, n. 14914), ammette l’azione contro il solo ente pubblico quando la domanda abbia natura risarcitoria (Cass. 5 giugno 2008, n. 14914) o quando essa sia compatibile con gli esiti della selezione, dei quali non debba disporsi la rimozione (Cass. 9 novembre 2018, n. 28766; Cass. 16 luglio 2018, n. 18807; Cass. 17 gennaio 2017, n. 988), come può ad es. accadere se siano stati assegnati meno posti di quelli per i quali la P.A. aveva disposto procedersi alla selezione e si assuma che a proprio favore ricorrano elementi certi per il riconoscimento del diritto all’assunzione;

la prospettazione delle ricorrenti, a quanto si desume dal ricorso per cassazione (v. pag. 25, ove si fa riferimento all’intangibilità della sfera giuridica dei terzi opponenti), intenderebbe porsi in linea con quest’ultima ipotesi, tanto è vero che la causa è stata intentata senza richiedere la caducazione delle assunzioni degli altri lavoratori e senza chiamarli in giudizio;

tuttavia, è pacifico in causa che la selezione era stata avviata per 12 posti, sicchè manca a priori il necessario fondamento di una domanda proposta nei riguardi del solo Comune, perchè non può dirsi vi sia compatibilità con gli esiti della selezione verso gli altri contendenti;

nè può condividersi l’ulteriore assunto delle ricorrenti secondo cui, derivando a loro dire la mancata assunzione da un inadempimento comunale, ad esso dovrebbe rimediarsi per il solo fatto dell’esistenza di posti vacanti;

la scelta della misura e delle modalità attraverso cui colmare posti di organico non coperti dipende da valutazione discrezionali di interesse pubblico che non possono essere vanificate da vicende ad esse estranee, sicchè nel caso di specie l’attribuzione dei posti rivendicati dalle ricorrenti non potrebbe che avvenire caducando i posti attribuiti ad altri;

la carenza non attiene dunque tanto al contraddittorio ma, più a fondo, al fondamento sostanziale della domanda per come prospettata e coltivata, il che è assorbente, con riferimento alla pretesa di assunzione, di ogni altra questione;

anche in parte qua i motivi, in quanto l’azione è comunque inidonea al suo scopo, sono inammissibili;

2.3 infine, anche l’impostazione del ricorso attorno agli effetti dei precedenti giudicati intercorsi tra le parti non trova sufficiente sostegno nella formulazione dei motivi;

è intanto errato l’assunto, contenuto nel contesto del secondo motivo, secondo cui il giudicato sul diritto all’assunzione deriverebbe dall’ordinanza 22 settembre 2003, n. 14070 di questa Corte con la quale fu decisa la questione di giurisdizione;

infatti, l’affermazione ivi contenuta in ordine al fatto che la posizione dei ricorrenti era di diritto soggettivo al pari di quella degli altri concorrenti non significa di certo che fu riconosciuta la fondatezza nel merito della pretesa ma solo, in linea con la funzione propria, indiscutibile ed indiscussa, della decisione sulla giurisdizione, che la situazione interessata era da qualificarsi come di diritto soggettivo e non di interesse legittimo;

è poi teoricamente vero quanto sostenuto nel terzo motivo, ovverosia che l’accoglimento dell’opposizione di terzo non necessariamente caduca la sentenza passata in giudicato, nelle parti che sono indipendenti da quanto fatto valere dai terzi stessi (così Cass. 17 luglio 2012, n. 12266);

il motivo si fonda tuttavia su giudicati e provvedimenti che richiama, ma di cui non trascrive il contenuto nel ricorso per cassazione;

per principio consolidato, nel vantare un giudicato a sè favorevole o nel denunciare la violazione da parte del giudice del merito delle regole di interpretazione del giudicato, è necessaria la trascrizione integrale del testo della sentenza di riferimento (Cass. 23 giugno 2017, n. 15737; Cass. 11 febbraio 2015, n. 2617 e, da ultimo, tra le molte, Cass. 11 settembre 2020, n. 18934; Cass. 17 luglio 2020, n. 15288; Cass. 15 luglio 2020, n. 15113; Cass. 24 giugno 2020, n. 12496);

al di là di tale principio, le esigenze cui esso è finalizzato a fare fronte emergono in modo concreto ed evidente nel caso di specie;

infatti, l’annullamento della sentenza 850/2002 è un dato di fatto pacifico e l’ipotesi per cui tale annullamento possa non aver toccato alcuni aspetti di quella pronuncia, tra cui l’accertamento dell’illegittimità del comportamento della P.A., si fonda inevitabilmente sulla piena conoscenza di quanto deciso dalle pronunce rese in sede di opposizione di terzo;

se ed in che misura il primo giudicato poi rimosso sarebbe sopravvissuto in parte tra gli originari contendenti non può essere stabilito sulla base della deduzione astratta in ordine alla possibilità che ciò accada, dovendosi avere aderenza, nella formulazione del ricorso, a tutto quanto accaduto ed affermato nelle diverse pronunce assunte nel caso concreto rispetto alla complessa dinamica propria del rapporto tra sentenza originaria passata in giudicato formale e processo di opposizione di terzo;

tali elementi mancano, non essendo in particolare trascritta, nè prodotta, almeno nel giudizio di legittimità, la sentenza (1025/2003) di annullamento e risultando riportate solo per stralci, al solo fine di sostenere altre tesi delle ricorrenti, le successive pronunce intercorse nel medesimo processo;

in altre parole, a fronte di una pronuncia di annullamento, l’allegazione del sopravvivere di effetti della pronuncia rimossa non può derivare dalla mera affermazione in diritto della parte, ma va supportata, in osservanza del principio di specificità sotteso all’intero disposto dell’art. 366 c.p.c., con puntuali argomentazioni, assistite dal preciso riscontro di esse sugli atti coinvolti, a loro volta da trascrivere integralmente nel ricorso, stante la necessità di essi al fine di apprezzare la persistenza o meno di un certo giudicato di cui si ipotizza la violazione;

le menzionate carenze di formulazione rendono dunque inammissibili i motivi fondati sulla maturazione di un giudicato favorevole, con valenza sia per la domanda di costituzione del rapporto di lavoro, sia sotto il profilo risarcitorio;

3. rispetto alla decisione sulle spese assumono infine rilievo le eccezioni di inammissibilità del controricorso e della memoria sollevate dalle ricorrenti con la propria memoria difensiva;

tali eccezioni sono infondate;

non è infatti vero che il controricorso manchi di deduzioni giuridiche contrarie e quelle svolte nel ricorso, in quanto con esso il Comune ha preso posizione su ciascun motivo – tra l’altro con difese i cui argomenti sono in parte stati qui accolti, specie al punto 2.2;

neppure può dirsi che la memoria abbia ampliato il tema delle difese avverso i motivi altrui, dovendosi osservare come, in particolare al punto b) di essa, sono ripresi gli argomenti di cui al punto c) del controricorso, sulla incompatibilità tra la domanda e l’intervenuta assunzione di terzi;

4. la regolazione delle spese di giudizio segue pertanto secondo soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2020

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