Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26839 del 22/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 22/12/2016, (ud. 08/11/2016, dep.22/12/2016),  n. 26839

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12971/2015 proposto da:

R.A., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO TRIESTE 87,

presso lo studio dell’avvocato ARTURO ANTONUCCI, rappresentato e

difeso dall’avvocato CARMELO SAITTA, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PRIVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati GIUSEPPINA

GIANNICO, ANTONELLA PATTERI, LUIGI CALIULO, SERGIO PREDEN, giusta

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 766/2014 della CORTE D’APPELLO di MESSINA del

13/05/2014, depositata il 20/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’08/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIO FERNANDES;

udito l’Avvocato Sergio Preden difensore del controricorrente che si

riporta agli scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio dell’8 novembre 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c. sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:

“Con sentenza del 20 maggio 2014, la Corte di Appello di Messina confermava la decisione del primo giudice di rigetto della domanda proposta da R.A. nei confronti dell’INPS ed intesa al riconoscimento del beneficio – di cui alla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, e succ. modifiche – della maggiorazione contributiva per esposizione all’amianto, per un periodo di circa tredici anni, nello svolgimento dell’attività lavorativa a bordo di navi mercantili italiane ed estere.

La Corte territoriale rilevava che correttamente il Tribunale aveva ritenuto carente di allegazione probatoria la domanda e che la consulenza tecnica d’ufficio – richiesta dal R. in primo grado ed in appello – non poteva essere utilizzata per la ricerca delle prove che le parti hanno l’onere di fornire.

Per la cassazione di tale decisione il R. propone ricorso affidato ad un unico motivo.

L’INPS resiste con controricorso.

Con l’unico motivo di ricorso si deduce “violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’artt. 445 e 441 c.p.c. e all’art. 24 Cost.” in quanto la Corte di merito erroneamente non aveva ammesso la consulenza tecnica d’ufficio che nel caso in esame era l’unico strumento a disposizione del ricorrente per poter dimostrare l’esposizione qualificata al rischio amianto stante la impossibilità di rintracciare le numerose navi sulle quali era stato imbarcato per oltre un decennio e di indicare “elementi precisi sulla concreta e specifica posizione di lavoro”.

Il motivo è infondato.

Secondo il consolidato orientamento di legittimità la consulenza tecnica d’ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo essa la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze, onde non può essere utilizzata al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume ed è quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati. (principio affermato ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., comma 1, cfr. Cass. n. 3130 del 08/02/2011).

E’ stato anche precisato che al limite costituito dal divieto di compiere indagini esplorative è consentito derogare unicamente quando l’accertamento di determinate situazioni di fatto possa effettuarsi soltanto con l’ausilio di speciali cognizioni tecniche, essendo in questo caso consentito al c.t.u. anche di acquisire ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti, sebbene risultante da documenti non prodotti dalle parti, sempre che si tratti di fatti accessori e rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza, e non di fatti e situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti, debbano necessariamente essere provati dalle stesse (Cass. n. 3191 del 2006). Nè la consulenza d’ufficio può quindi essere utilizzata per acquisire documentazione che la parte avrebbe potuto produrre e la cui ammissione da parte del giudice comporterebbe lo snaturamento della funzione assegnata dal codice a tale istituto e la violazione del giusto processo, presidiato dall’art. 111 Cost., sotto il profilo della posizione paritaria delle parti e della ragionevole durata (cfr. Cass. n. 8989 del 2011).

Orbene, nel caso in esame la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali principi in quanto la consulenza tecnica d’ufficio avrebbe avuto un contenuto meramente esplorativo non avendo il ricorrente – come ammesso dallo stesso nel ricorso – neppure fornito elementi sulla concreta e specifica posizione di lavoro assunta di volta in volta nei vari periodi di imbarco.

Alla luce di quanto esposto, si propone il rigetto del ricorso, con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5″.

Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.

Il Collegio condivide pienamente il contenuto della sopra riportata relazione e, pertanto, rigetta il ricorso.

Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono poste a carico del ricorrente e vengono liquidate nella misura di cui al dispositivo.

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013). Tale disposizione trova applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame, avuto riguardo al momento in cui la notifica del ricorso si è perfezionata, con la ricezione dell’atto da parte del destinatario (Sezioni Unite, sent. n. 3774 del 18 febbraio 2014). Inoltre, il presupposto di insorgenza dell’obbligo del versamento, per il ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in Euro 100,000 per esborsi, euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2016

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