Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26836 del 14/12/2011

Cassazione civile sez. II, 14/12/2011, (ud. 08/11/2011, dep. 14/12/2011), n.26836

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16808-2007 proposto da:

R.G., (OMISSIS) in proprio e nella qualità di

erede di M.M., domiciliata in ROMA ex lege, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato ARMENIO SALVATORE;

– ricorrente –

contro

G.G.;

– intimato –

sul ricorso 20036-2007 proposto da:

G.G., (OMISSIS) elettivamente domiciliato

in ROMA, VIALE GOTTARDO 21, presso lo studio dell’avvocato PARENTE

LUIGI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati RANGO

GIOVANNA, CARINI LUCIA;

– controricorrente ricorrente incidentale –

contro

R.G., (OMISSIS) domiciliata in ROMA ex lege,

PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato ARMENIO SALVATORE;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 126/2007 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 18/01/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/11/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO MAZZACANE;

udito l’Avvocato Maria DI SCIULLO, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato CARINI Lucia, difensore del resistente che ha chiesto

il rigetto del ricorso principale, accoglimento dell’incidentale;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio che ha concluso perla riunione dei ricorsi, e rigetto

del ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione ritualmente notificato M.M. e R.G., rispettivamente madre e sorella di R.B. P., deceduto in (OMISSIS), sulla base dell’espresso convincimento che le disposizioni contenute nel testamento olografo del (OMISSIS) non rispecchiassero la reale volontà del loro suddetto congiunto, evidenziavano lo stato di completa incapacità di intendere e di volere del R. al momento della manifestazione delle sue ultime volontà derivante da una forma di neoplasia dell’encefalo e dalle pesanti conseguenze di un ciclo di radioterapia al quale era stato sottoposto.

Le attrici lamentavano inoltre le lesione della quota di legittima di M.M. e deducevano altresì l’incapacità naturale di quest’ultima al momento della lettura del testamento del figlio, avvenuta davanti al notaio in data 19-6-1997, e dell’adesione da essa espressa alle disposizioni testamentarie in considerazione della patologia degenerativa di tipo parkinsoniano di cui soffriva.

Infine le attrici rilevavano che comunque il testamento suddetto era stato disatteso nella parte in cui poneva a carico dell’erede G.G. un legato di mantenimento in favore della madre e della sorella del testatore.

Ciò premesso, M.M. e R.G. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano il G. chiedendo, in via principale, annullarsi il suddetto testamento olografo per incapacità di intendere e di volere del testatore ai sensi dell’art. 591 c.c. e per l’effetto disporre l’attribuzione del patrimonio dello stesso in uguale misura alle esponenti in qualità di eredi legittime, in via subordinata annullarsi ex art. 428 c.c. l’atto di adesione espresso dalla M. il 19-6-1997 al testamento del figlio, accertare le lesione della quota di riserva spettante alla M. e condannarsi l’erede G. a versare, ad integrazione della quota di legittima, l’importo ritenuto di giustizia; in via di ulteriore subordine chiedevano accertarsi l’inadempimento del convenuto al legato di mantenimento in loro favore condannandolo a corrispondere a titolo di risarcimento del danno alla M. l’importo di L. 45.000.000, a R. G. l’importo di L. 100.000.000, oltre interessi, nonchè accertarsi la misura di equa contribuzione dell’erede al loro mantenimento e condannarlo a corrispondere l’importo ritenuto di giustizia, comunque non inferiore a L. 4.000.000 mensili per la M. ed a L. 3.000.000 mensili per la R..

Si costituiva in giudizio il convenuto contestando le domande attrici; in particolare, quanto alla espressione contenuta nel testamento ritenuta dalle attrici configurare un legato di mantenimento, il G. eccepiva trattarsi di mera raccomandazione e non di obbligo a suo carico, e che in ogni caso, qualora il Tribunale avesse ravvisato un legato, lo stesso avrebbe dovuto ritenersi legato di alimenti e non di mantenimento.

Il Tribunale adito con sentenza del 1-12-2003 rigettava le domande attrici.

Proposto gravame da parte della M. e della R. cui resisteva il G. la Corte di Appello di Milano con sentenza del 18-1-2007 ha rigettato l’impugnazione ritenendo, per quanto ancora interessa in questa sede, di dover confermare il rigetto della domanda delle appellanti di accertamento dell’inadempimento dell’appellato al legato di mantenimento che sarebbe stato previsto dal testatore; invero il tenore delle espressioni utilizzate nell’atto (…”sarà sua cura provvedere alle necessità”…) indicava chiaramente che non si trattava di una semplice raccomandazione, ma di un legato, peraltro limitato al soddisfacimento delle necessità delle legatane, e quindi degli alimenti, e non delle spese di mantenimento, e d’altra parte le appellanti non avevano dato prova del loro stato di bisogno.

Per la cassazione di tale sentenza la R. (in proprio e quale erede di M.M. nel frattempo deceduta) ha proposto un ricorso affidato ad un unico articolato motivo (corredato da quesiti di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.) cui il G. ha resistito con controricorso proponendo altresì un ricorso incidentale condizionato articolato in un unico motivo (pure accompagnato dalla formulazione di un quesito di diritto ex art. 366 c.p.c.) cui la R. ha resistito a sua volta con controricorso; la ricorrente principale ha successivamente depositato una memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente deve procedersi alla riunione dei ricorsi in quanto proposti contro fa medesima sentenza.

Venendo quindi all’esame del ricorso principale, si rileva che con l’unico motivo formulato la R., denunciando violazione degli artt. 438, 1362, 1363, 1366, 2697 e 2729 c.c. e artt. 115, 132, 187, 188, 189 e 245 c.p.c. nonchè omessa e contraddittoria motivazione, censura la sentenza impugnata anzitutto per non aver ammesso la prova per testi dedotta dell’appellante avendo ritenuto irrilevanti le circostanze oggetto dei capitoli, in quanto il fatto che a volte il “de cuius” avesse provveduto ad esigenze delle congiunte che superavano i loro semplici bisogni alimentari non significava affatto, in assenza di ulteriori elementi, che intendesse attribuire tale onere anche all’erede.

La ricorrente principale afferma che in tal modo la Corte territoriale ha relegato al rango meramente alimentare delle prestazioni di vario genere da parte del R. in favore della madre e della sorella che in realtà rientravano certamente nell’ambito del mantenimento, quali le spese relative alle ferie estive in albergo, all’arredamento di appartamenti, alle cure psicanalitiche per l’esponente, le spese di abbigliamento, tutte finalizzate a garantire la conservazione di un alto standard di vita;

del resto lo stesso G. nella prova per testi dedotta aveva ammesso che il tenore di vita assicurato dal R. alle sue congiunte era elevato, e che egli stesso nei primi mesi dopo la morte di quest’ultimo aveva chiesto alla M. ed alla R. di compilare liste di spese; pertanto il giudice di appello non ha applicato correttamente le regole che presiedono all’interpretazione del testamento, che avrebbero comportato l’esame di diverse circostanze, interne ed esterne alla scheda testamentaria, al fine di accertare l’effettiva volontà del testatore, nè era stato approfondito il senso comunemente assegnato al termine “necessità” in materia di mantenimento; pertanto sotto il profilo extratestuale avrebbero dovuto essere valorizzati la mentalità e l’ambiente di vita del R. nonchè i suoi stretti rapporti con i suoi familiari da un lato e con il G. dall’altro, nei cui confronti il testatore nutriva la fiducia che egli si sarebbe comportato verso la M. e verso la R.G. “come un figlio ed un fratello”; d’altra parte, sottolinea la ricorrente, la stessa munificenza manifestata dal testatore verso il G. confermava la sua fiducia in quest’ultimo, circostanza che comportava la determinazione di affidargli l’incarico di mantenimento in favore delle suddette congiunte.

La ricorrente principale poi assume che la questione interpretativa della volontà del suddetto testatore sollecitata dalla presente controversia avrebbe potuto essere meglio risolta anche sulla base delle prove di carattere presuntivo, oltre che documentali, e di quelle testimoniali, essendo volte queste ultime a lumeggiare il valore sempre dato dal R. ai rapporti con i suoi familiari e la sua costante cura nel soddisfare ripetutamente i bisogni e gli interessi di costoro; la mancata ammissione di tali prove era stato frutto di un errata configurazione del concetto di alimenti, ancorato ad esigenze di sopravvivenza dell’alimentando, avente perciò un significato più ristretto rispetto a quello proprio delle necessità soggettive tipiche di un determinato contesto storico, sociale ed economico quale quello che caratterizzava la presente vicenda, necessità pertanto definite tali anche se non afferenti a bisogni alimentari.

La censura è infondata.

La Corte territoriale, conformemente al convincimento già espresso dal giudice di primo grado, sulla base dell’esame del tenore testuale della disposizione testamentaria (“… sarà sua cura provvedere alle necessità …), ha ritenuto che tale espressione indicava chiaramente la limitazione del legato al soddisfacimento delle necessità delle legatane, e quindi degli alimenti, e non delle spese di mantenimento, ed ha quindi escluso che il legato stesso potesse avere ad oggetto il mantenimento della M. e della R. proprio per la mancanza di qualunque riferimento a tale nozione; ha poi evidenziato l’inammissibilità della prova per testi articolata sul punto dalle appellanti, in quanto inidonea a dimostrare la fondatezza della pretesa anche in caso di conferma delle circostanze oggetto dei capitoli di prova; invero, il fatto che in alcune occasioni il “de cuius avesse provveduto ad esigenze delle congiunte eccedenti i semplici bisogni alimentari di esse non significava affatto, in assenza di ulteriori elementi, che intendesse attribuire tale onere anche all’erede.

Infine il giudice di appello ha condiviso altresì l’ulteriore conclusione della sentenza di primo grado sulla mancata prova dello stato di bisogno delle attrici, circostanza che rendeva privo di rilievo, in concreto, il problema della determinazione dell’ammontare dell’assegno alimentare in mancanza di predeterminazione da parte del testatore.

Orbene questa Corte ritiene che tale interpretazione della volontà testamentaria sia frutto di un accertamento di fatto sorretto da congrua e logica motivazione, come tale immune dai profili di censura sollevati dalla ricorrente principale; invero, premesso che nell’interpretazione del testamento il giudice deve accertare – secondo il principio generale di ermeneutica enunciato dall’art. 1362 c.c., applicabile, con gli opportuni adattamenti, anche in materia testamentaria – quale sia l’effettiva volontà del testatore comunque espressa, considerando congiuntamente ed in modo coordinato l’elemento letterale e quello logico dell’atto unilaterale “mortis causo” (vedi “ex multis” Cass. 21-2-2007 n. 4022), è indubitabile che nella specie la Corte territoriale ha correttamente applicato tale criterio, essendo evidente che il concetto di “necessità” richiama quello di “bisogno”, e che la configurabilità del legato alimentare è appunto subordinata, per l'”an” e per il “quantum”, salvo diversa volontà del testatare, allo stato di bisogno del legatario, stante il richiamo fatto dall’art. 660 c.c. all’art. 438 c.c., (Cass. 5-8-1987 n. 6727), con la conseguenza che, in tal caso, il legato ha ad oggetto quanto strettamente necessario alla vita del beneficiario.

E’ pur vero, poi, come sostenuto dalla ricorrente principale, che nella interpretazione della scheda testamentaria, da condurre essenzialmente sulla base del dato testuale, possono legittimamente assumere rilievo anche elementi estrinseci (purchè riferibili al testatore), quali la cultura, la mentalità e l’ambiente di vita del testatore (vedi da ultimo in proposito Cass. 3-12-2010 n. 24637);

tuttavia l’indagine in proposito sollecitata dalla R. anche con la richiesta di ammissione di prove testimoniali risulta ininfluente ai fini della decisione in quanto, come correttamente rilevato dal giudice di appello, il tenore di vita assicurato da R.B. P. alle sue strette congiunte ed il soddisfacimento delle loro esigenze ben oltre la soglia dei bisogni alimentari non conducono di per sè, in assenza di qualsiasi ulteriore elemento di riscontro, a ritenere che egli abbia voluto porre a carico del G. un legato di mantenimento; in proposito invero deve evidenziarsi l’assenza nel testamento di qualsiasi riferimento non solo a tale termine, ma anche comunque al contenuto sostanziale del concetto stesso di mantenimento, consistente nella prestazione di tutto quanto risulti corrispondente alla posizione economico-sociale ed al tenore di vita dell’avente diritto; ancor meno nello stesso senso può avere influenza la munificenza mostrata dal testatore nei confronti del G., che semmai al contrario può spiegare la ragione per cui a suo carico il R. abbia posto soltanto un legato di alimenti e non di mantenimento.

Del pari la circostanza che per un certo periodo di tempo dopo la morte del R. il G. si fosse dimostrato disposto a soddisfare il tenore di vita piuttosto elevato della M. e di R.G. è irrilevante, trattandosi di un comportamento spontaneo dell’attuale controricorrente e ricorrente incidentale, come tale inidoneo a configurare la sussistenza di un legato di mantenimento in loro favore, che evidentemente avrebbe dovuto trovare riconoscimento nella sua previsione nella scheda testamentaria.

Infine è appena il caso di rilevare che non risulta censurata in questa sede la statuizione della Corte territoriale in ordine alla mancata prova dello stato di bisogno della M. e della R., essendo tale elemento un presupposto imprescindibile per il riconoscimento in concreto del diritto agli alimenti.

Il ricorso principale deve pertanto essere rigettato.

All’esito di tale rigetto deve dichiararsi assorbito il ricorso incidentale condizionato, basato su di un unico motivo con il quale il G., deducendo violazione degli artt. 1362, 1363, 1364, 1366, 1367 e 1369 c.c. nonchè vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che il “de cuius” con il suddetto testamento avesse voluto imporre all’esponente un obbligo giuridico e non una semplice raccomandazione.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale e condanna la ricorrente principale al pagamento di Euro 200,00 per spese e di Euro 5000,00 per onorari di avvocato.

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2011

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