Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26835 del 25/11/2020

Cassazione civile sez. lav., 25/11/2020, (ud. 25/06/2020, dep. 25/11/2020), n.26835

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 104/2020 proposto da:

A.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato LOREDANA LISO;

– ricorrente –

contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE DI BARI;

– intimata –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso il decreto 6009/2019 del TRIBUNALE di BARI, depositata il

28/11/2019 R.G.N. 17639/2017.

 

Fatto

RILEVATO

che con sentenza del 28 novembre 2019, il Tribunale di Bari, investito dell’impugnazione del provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso in sede amministrativa, rigettava la domanda proposta in sede giudiziaria da A.A. nei confronti del Ministero dell’Interno, della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Bari con l’intervento del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari, avente ad oggetto il riconoscimento della protezione umanitaria nonchè della protezione sussidiaria o internazionale;

che la decisione del Tribunale discende dall’aver questo ritenuto irrilevanti sotto il profilo dell’interesse ad agire le censure attinenti all’illegittimità formale del provvedimento di diniego, superflua, a fronte della produzione del verbale delle dichiarazioni rese dall’istante in sede amministrativa la sua audizione diretta, insussistenti i requisiti per il riconoscimento della protezione D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 7, per non essere state dedotte situazioni di persecuzione personale e diretta nè della protezione sussidiaria per non essere ravvisabile in relazione al rimpatrio il rischio di incorrere in un danno grave, neppure in relazione alle caratteristiche del Paese di provenienza il Pakistan, la cui situazione non può qualificarsi connotata da violenza indiscriminata conseguente all’essere interessato da un conflitto armato interno o internazionale secondo quanto previsto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), se non con riguardo ad un ambito territoriale distante dalla specifica zona di provenienza del ricorrente che, per di più, risulta essere fuggito per motivi esclusivamente personali, non ravvisabili le condizioni per il rilascio, per via giudiziaria, del permesso di soggiorno D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6, non ricorrendo un serio motivo di carattere umanitario, non individuabile nella sola condizione di conseguita integrazione nel nostro Paese, del resto inferiore, anche sotto il profilo economico, alla situazione in essere nel Paese di origine ed in difetto di specifiche ragioni di vulnerabilità attuale o emergente come conseguenza del rimpatrio;

che per la cassazione di tale decisione ricorre A.A., affidando l’impugnazione a due motivi, in relazione alla quale il Ministero dell’Interno si è limitato a rilasciare delega per la difesa nell’udienza di trattazione mentre la Commissione Territoriale non ha svolto alcuna attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il primo motivo, il ricorrente, nel denunciare, in una con l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), lamenta l’incongruità logica e giuridica della valutazione in base alla quale il Tribunale è addivenuto al diniego dello status di rifugiato ed altresì della protezione sussidiaria avendo egli assolto nei limiti in cui può sovvenire il dovere di cooperazione dl giudice l’onere di fornire gli elementi di fatto idonei attestare la ricorrenza tanto del fondato timore di una persecuzione personale e diretta quanto del rischio di danno grave correlato alla condizione di violenza generalizzata e diffusa che connota il Paese di origine; che, con il secondo motivo il ricorrente denunzia il carattere apparente della motivazione conseguente alla violazione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra 28 luglio 1951, art. 10 Cost., D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 7,14 e 17, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per essere il Tribunale incorso nell’error in procedendo per non aver dato corso anche avvalendosi dei propri poteri d’ufficio ad una adeguata istruttoria circa la tutela dei diritti umani di cui poteva beneficiare nel paese d’origine rilevante ai fini del riconoscimento tanto dello status di rifugiato quanto della protezione sussidiaria ed aver derivato esclusivamente dal rigetto di tali domande il diniego della residuale protezione umanitaria;

che entrambi i motivi, i quali, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, risultano infondati, derivando il rigetto delle diverse forme di protezione internazionale richieste dal ricorrente dall’accertamento, che lungi dall’essere, come asserito dal ricorrente, parziale, in quanto riferito soltanto ad una zona del Paese di provenienza, deve, viceversa, ritenersi completo in quanto fondato su una comparazione della condizione socio-politica della specifica zona di appartenenza dl ricorrente rispetto a quella di zone che, in ragione della loro dislocazione territoriale, non riverberano sulla situazione personale del ricorrente medesimo, dell’inconfigurabilità nella specie di un pregiudizio incidente su un diritto assoluto del ricorrente, correttamente individuato dal Tribunale come presupposto di ciascuna delle protezioni richieste, sia pur secondo una graduazione discendente di gravità;

che, pertanto, il ricorso va rigettato senza attribuzione delle spese per non aver il Ministero e l’altra parte intimata svolto alcuna attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 25 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2020

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