Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26834 del 25/11/2020

Cassazione civile sez. lav., 25/11/2020, (ud. 25/06/2020, dep. 25/11/2020), n.26834

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 519/2020 proposto da:

G.F., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati MASSIMO CARLO SEREGNI, TIZIANA ARESI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso il decreto n. 8885/2019 del TRIBUNALE di MILANO, depositata

il 10/11/2019 R.G.N. 37934/2018.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. il Tribunale di Milano, con Decreto del 10 novembre 2019, ha respinto il ricorso proposto da G.F. avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione umanitaria;

2. il Tribunale ha ritenuto – per quanto qui ancora interessa – che il richiedente lo status di rifugiato “non abbia lasciato il proprio Paese di origine per ragioni di natura persecutoria o quantomeno sono da escludere, nel suo racconto, credibili e fondati timori di subire attività persecutorie che potrebbero essere poste in essere nei suoi confronti”; circa la richiesta protezione sussidiaria il Tribunale ha considerato, sulla base delle informazioni acquisite, che in Edo State, regione di provenienza del ricorrente, fosse da escludere un danno grave derivante da uno stato di violenza indiscriminata e che, in merito alla richiesta di permesso di soggiorno per motivi umanitari, non fossero ravvisabili “indici di vulnerabilità che testimonino di una disparità tra la vita condotta nel TN e quella che il ricorrente sembra aver condotto nel Paese di origine (dove aveva un lavoro ed ha ancora una salda rete parentale)”;

3. per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il soccombente con 2 motivi; il Ministero dell’Interno resta intimato.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo di ricorso si denuncia “violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3 (scilicet: c.p.c.) in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8” lamentando che il provvedimento impugnato non avrebbe valutato “il periodo di permanenza del ricorrente nei paesi in cui è transitato, nè le ragioni che hanno poi indotto lo stesso a fuggire anche dalla Libia”;

2. il motivo è privo di fondamento;

questa Corte ha già chiarito come “Nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide” (da ultimo Cass. n. 2355 del 2020; conformi: Cass. n. 31676 del 2018; Cass. n. 2861 del 2018; nonchè, tra le pronunce non massimate: Cass. n. 13555 del 2019; Cass. n. 13082 del 2019; Cass. n. 13084 del 2019; Cass. n. 13102 del 2019; ed altre);

parte ricorrente, nella specie, non ha in alcun modo specificato quale connessione vi sia tra il contenuto della domanda di protezione avanzata ed il transito attraverso la Libia, senza neanche curarsi di allegare quando e come la questione sia stata sottoposta ai giudici del merito;

3. con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5 e art. 14, lett. c), sostenendo che il Tribunale non avrebbe concretamente valutato il racconto del richiedente protezione con le modalità indicate dalle disposizioni citate e che “la situazione patita nel suo paese d’origine… unitamente allo scarso controllo sociale” riscontrabile in esso renderebbero fondati i timori che il G. possa venire assassinato dai parenti di un tassista con cui sarebbe stato coinvolto in un incidente mortale;

– 4. il motivo non merita accoglimento;

questa Corte ha chiarito che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. n. 19197 del 2015; Cass. n. 27336 del 2018); il richiedente è dunque tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (Cass. n. 15794 del 2019); pertanto, soltanto se il richiedente il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto l’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto può sorgere il potere-dovere del giudice di accertarli anche d’ufficio, mentre la suddetta cooperazione istruttoria non può riguardare le individuali condizioni del soggetto richiedente, perchè il giudice non può essere chiamato – nè d’altronde avrebbe gli strumenti per farlo – a supplire a deficienze probatorie concernenti la situazione personale del richiedente, dovendo a tal riguardo soltanto effettuare la verifica di credibilità prevista nel suo complesso dal comma 5 del già citato articolo (adde: Cass. n. 4006 del 2018; Cass. n. 13858 del 2018; Cass. n. 3016 del 2019)

qualora poi le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili secondo i parametri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), ed in applicazione dei canoni di ragionevolezza e dei criteri generali di ordine presuntivo, l’accertamento così compiuto dal giudice di merito integra un apprezzamento di fatto, riservato al giudice cui esso è devoluto e censurabile in sede di legittimità nei limiti di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. ex multis Cass. n. 30105 del 2018; Cass. n. 29279 del 2019; Cass. n. 8020 del 2020);

nel caso il Tribunale, perfettamente consapevole dei principi innanzi richiamati, ha scrutinato con accuratezza le dichiarazioni dell’istante, ritenendo il racconto non credibile, sicchè la doglianza proposta dal ricorrente costituisce una mera contrapposizione alla valutazione che il giudice di merito ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure adeguatamente censurata sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 novellato, così come rigorosamente interpretato dalle Sezioni unite di questa Corte (sentt. nn. 8053 e 8054 del 2014);

5. conclusivamente il ricorso va rigettato; nulla va liquidato per le spese in quanto il Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensiva;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 25 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2020

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