Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26833 del 22/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 22/12/2016, (ud. 22/09/2016, dep.22/12/2016),  n. 26833

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – rel. Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5778/2015 proposto da:

G.S., rappresentato e difeso, per procura speciale a

margine del ricorso, dall’Avvocato Antonina Fundarò;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

generale dello Stato, che lo rappresenta e difende per legge;

– resistente –

avverso il decreto n. 725/2014 della Corte d’appello di

Caltanissetta, depositato il 25 giugno 2014.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22

settembre 2016 dal Presidente relatore Dott. Stefano Petitti.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che, con ricorso depositato il 10 settembre 2012 presso la Corte d’appello di Caltanissetta, G.S. chiedeva la condanna del Ministero della giustizia al pagamento di un indennizzo per la irragionevole durata di un giudizio svoltosi dinnanzi al Tribunale di Palermo e poi dinnanzi alla Corte d’appello della medesima città, iniziato con atto di citazione notificato il 29 gennaio 2001, pendente in cassazione alla data della domanda;

che l’adita Corte d’appello riteneva che il giudizio presupposto, che alla data della domanda aveva avuto una durata di undici anni e sette mesi, avesse avuto una durata irragionevole – detratti i sei anni di durata ragionevole per il primo grado, per il grado di appello e per il giudizio di legittimità, nonchè un anno e sei mesi per stasi processuale – di quattro anni e un mese, in relazione alla quale liquidava un indennizzo di Euro 3.333,33, facendo applicazione del criterio di 750,00 Euro per i primi tre anni e di 1.000,00 Euro per ciascuno degli anni successivi;

che la Corte d’appello, infine, compensava per metà le spese del giudizio in considerazione dell’accoglimento solo parziale della domanda;

che per la cassazione di questo decreto il G. ha proposto ricorso affidato a due motivi;

che il Ministero della giustizia non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale discussione in pubblica udienza.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio ha deliberato la redazione della motivazione della sentenza in forma semplificata;

che con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, artt. 6 e 13 della CILDU e art. 111 Cost., violazione degli artt. 1223, 1226, 1227 e 2056 c.c., dolendosi della erronea detrazione dalla durata complessiva del giudizio presupposto della intera stasi processuale, senza riconoscere il tempo occorrente perla predisposizione della impugnazione;

che, sotto altro profilo, il ricorrente deduce che erroneamente la Corte d’appello ha detratto un anno per il giudizio di cassazione, pur se, al momento della domanda di equa riparazione, il giudizio di cassazione era pendente da soli quarantadue giorni;

che con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., rilevando che erroneamente la Corte d’appello ha compensato per metà le spese di lite sul presupposto di una soccombenza reciproca in realtà insussistente;

che il primo motivo di ricorso è infondato, nella parte in cui si denuncia la erroneità della detrazione dell’intero periodo di stasi processuale relativo alla proposizione dell’appello;

che, invero, la Corte d’appello ha correttamente detratto dalla durata complessiva del giudizio presupposto il lasso di tempo intercorso tra il deposito della sentenza di primo grado e la proposizione della impugnazione, atteso che in tale lasso di tempo nessun giudice poteva ritenersi investito del potere di decidere in ordine alla domanda proposta dalla parte;

che tale soluzione risulta espressamente prevista dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-quater, introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012, a tenore del quale “ai fini del computo non si tiene conto del tempo in cui il processo è sospeso e di quello intercorso tra il giorno in cui inizia a decorrere il termine per proporre l’impugnazione e la proposizione della stessa”;

che tale disposizione, pur se destinata ad essere applicata ai giudizi introdotti successivamente all’11 settembre 2012, esprime tuttavia un chiaro elemento interpretativo della ratio della legge sull’equa riparazione, da ritenersi operante anche per il periodo anteriore alla sua entrata in vigore, in assenza di una previsione legislativa di segno contrario e trovandosi in presenza di una interpretazione giurisprudenziale che, effettivamente, aveva considerato computabile ai fini della durata del giudizio presupposto il termine breve per la proposizione della impugnazione, a decorrere dalla data di comunicazione della sentenza da impugnare;

che il Collegio ritiene che, invece, non possa essere addebitato all’amministrazione della giustizia il lasso di tempo di stasi processuale, nel quale nessun giudice è incaricato della trattazione del processo;

che, d’altra parte, attraverso la generalizzazione delle comunicazioni telematiche degli avvisi di cancelleria deve ritenersi che i ritardi nelle dette comunicazioni siano ormai destinati a scomparire;

che, nella specie, la stessa ricorrente riferisce che la comunicazione è avvenuta il 6 giugno 2007, mentre la sentenza di primo grado è stata depositata il 29 maggio 2007 e l’appello è stato proposto con citazione in appello notificata l’11 giugno 2008, sicchè deve escludersi che il ritardo in ipotesi addebitabile all’amministrazione – pari a pochi giorni – possa avere concorso a determinare un autonomo e significativo pregiudizio all’interesse della parte alla sollecita definizione della controversia, posto che la impugnazione è stata proposta alla scadenza del termine lungo;

che il motivo è invece fondato nella parte in cui denuncia l’erronea detrazione di un anno per la durata del giudizio di cassazione, pur se alla data di proposizione della domanda di equa riparazione, il detto giudizio era pendente da soli 42 giorni;

che il secondo motivo è fondato, alla luce del principio per cui “nel procedimento d’equa riparazione disciplinato dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, la liquidazione dell’indennizzo in misura inferiore a quella richiesta dalla parte, per l’applicazione, da parte del giudice, di un moltiplicatore annuo diverso da quello invocato dall’attore, non integra un’ipotesi di accoglimento parziale della domanda che legittima la compensazione delle spese, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, poichè, in assenza di strumenti di predeterminazione anticipata del danno e del suo ammontare, spetta al giudice individuare in maniera autonoma l’indennizzo dovuto, secondo criteri che sfuggono alla previsione della parte, la quale, nel precisare l’ammontare della somma richiesta a titolo di danno non patrimoniale, non completa il petitum della domanda sotto il profilo quantitativo, ma soltanto sollecita, a prescindere dalle espressioni utilizzate, l’esercizio di un potere ufficioso di liquidazione” (Cass. n. 14976 del 2015);

che dunque, accolti il primo motivo per quanto di ragione e il secondo motivo di ricorso, il decreto impugnato deve essere cassato in relazione alle censure accolte;

che, tuttavia, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, provvedendosi in questa sede ad liquidare un indennizzo ragguagliato ad una irragionevole durata di cinque anni e un mese, sulla base del criterio di liquidazione già applicato, senza contestazioni sul punto, dalla Corte d’appello, e ad elidere dal decreto impugnato la statuizione di compensazione delle spese;

che il Ministero della giustizia va quindi condannato al pagamento, in favore del ricorrente, della somma di Euro 4.333,33, oltre interessi legali dalla data della domanda al soddisfo, nonchè alla rifusione delle spese del giudizio di merito, come già liquidate dalla Corte d’appello, senza la disposta compensazione parziale;

che le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, con distrazione in favore del difensore della ricorrente, per dichiarato anticipo.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, per quanto di ragione, e il secondo motivo; cassa il decreto impugnato in relazione alle censure accolte e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministero della giustizia al pagamento, in favore del ricorrente, della somma di Euro 4.333,33, oltre interessi legali dalla data della domanda al soddisfo, nonchè al pagamento delle spese del giudizio di merito, come liquidate dalla Corte d’appello; condanna altresì il Ministero della giustizia al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 800,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie e agli accessori di legge; dispone la distrazione delle spese, come liquidate, in favore del difensore della ricorrente, per dichiarato anticipo.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, della Corte Suprema di Cassazione, il 22 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2016

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