Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26831 del 25/11/2020

Cassazione civile sez. lav., 25/11/2020, (ud. 25/06/2020, dep. 25/11/2020), n.26831

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 389/2020 proposto da:

N.E., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA

DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato TERESA VASSALLO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso il decreto n. 8357/2019 del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato

il 09/10/2019 R.G.N. 8552/2018.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Il Tribunale di Venezia, Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con Decreto n. 8375 del 9 ottobre 2019, ha respinto l’impugnazione proposta da N.E., cittadino (OMISSIS), avverso il provvedimento con cui la Commissione territoriale aveva negato il riconoscimento dello status di rifugiato e di forme complementari di protezione.

2. In giudizio, il richiedente aveva insistito per il riconoscimento della protezione sussidiaria o della protezione umanitaria, allegando di avere lasciato il suo paese perchè alla morte del padre, membro degli (OMISSIS), si era rifiutato di seguire il culto di tale setta, per cui i suoi appartenenti lo avevano minacciato di morte.

3. Il Tribunale ha osservato che, sulla base del Report EASO 2017, la setta degli (OMISSIS) è una sorta di massoneria, tesa ad acquisire e garantire potere politico ed economico, che seleziona accuratamente i suoi membri, di regola appartenenti a classi benestanti e il cui reclutamento forzato è un fenomeno storicamente accertato solo negli anni ‘50, mentre oggi l’adesione è volontaria; che le cosiddette uccisioni rituali sono ormai desuete, secondo le più accreditate fonti, mentre le sette legate a culti tradizionali sono bandite dalla Costituzione e la legge vieta comportamenti e atti violenti; che, in linea di massima, salvo le sette legate ai campus universitari, le associazioni segrete tradizionali non operano il reclutamento forzato (Report EASO 2017 cit.).

4. Sulla base di tali indagini istruttorie, il Tribunale ha ritenuto che il racconto del ricorrente non trovasse riscontro nei dati acquisiti, anche tenuto conto che l’appartenenza alla setta degli (OMISSIS) è elitaria e non per discendenza e che era inverosimile che il padre del ricorrente, agricoltore, appartenesse ad essa; nè il ricorrente aveva saputo specificare in base a quali caratteristiche personali egli sarebbe stato prescelto per essere reclutato.

5. Ha altresì osservato che, pur registrandosi nel territorio nigeriano numerose criticità sotto il profilo della tutela dei diritti umani e una situazione di estesa e radicata violenza, questa si declina in modelli di distinta gravità e intensità a seconda delle zone; che, secondo il report EASO 2017, lo stato di Edo, di provenienza del ricorrente, sebbene appartenente all’area geografica del delta del Niger, non risulta direttamente coinvolto negli incidenti che di frequente interessano tale zona, legati prevalentemente a conflitti relativi alla produzione del petrolio; che, pertanto, la situazione registrata nella regione di provenienza del ricorrente non è sovrapponibile al concetto di violenza generalizzata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

6. Quanto alla protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nella formulazione anteriore alle modifiche (non applicabili ratione temporis) apportate dal D.L. n. 113 del 2018, art. 1, il Tribunale ha osservato che tale forma di tutela costituisce una figura di chiusura che dà corso all’accoglienza di fronte a qualunque prospettiva di grave violazione dei diritti umani fondamentali che non si possa far rientrare nelle due forme tipizzate di protezione maggiori; che in tale contesto è onere dell’interessato allegare i fattori di particolare vulnerabilità che potrebbero, in caso di rimpatrio, esporlo a rischi di apprezzabile entità, non potendosi tali fattori desumersi soltanto dal contesto di provenienza; che comunque la non credibilità della narrazione del richiedente costituiva un elemento ostativo a qualsiasi giudizio comparativo.

7. Per la cassazione di tale decreto N.E. ha proposto ricorso basato su due censure. Il Ministero intimato non ha svolto attività difensiva.

8. Il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

9. Con la prima censura si denuncia il difetto di istruttoria per non avere il giudice di prime cure approfondito, anche con nuova audizione dell’interessato, il punto relativo alle ragioni e alla dinamica della fuga dalla Nigeria, nonchè la tipologia delle vessazioni subite a causa della mancata affiliazione alla setta.

10. Con la seconda censura si denuncia difetto di motivazione e violazione di legge quanto alla mancata valutazione della vulnerabilità comparata e generale. Si sostiene che il racconto individuale doveva essere valorizzato, almeno in parte, per il riconoscimento e la protezione umanitaria soprattutto in considerazione del percorso di integrazione compiuto dal ricorrente.

11. Il ricorso è inammissibile.

1. La ratio decidendi su cui la sentenza si fonda non è limitata al rilievo di non credibilità del racconto dell’interessato. La sentenza ha ampiamente motivato, citando le fonti da cui ha tratto il proprio convincimento, circa l’inesistenza di rischi di danno grave in caso di rientro nel paese di origine del richiedente. Si tratta di un apprezzamento di fatto incensurabile in sede di legittimità. Il motivo tende ad ottenere un nuovo giudizio di merito attraverso la richiesta di un’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa, laddove il controllo di legittimità non equivale alla revisione del ragionamento decisorio.

2. La denuncia di omessa audizione dell’interessato è inammissibile, alla luce del principio secondo cui nel procedimento, in grado d’appello, relativo ad una domanda di protezione internazionale, non è ravvisabile una violazione processuale sanzionabile a pena di nullità nell’omessa audizione personale del richiedente, atteso che il rinvio, contenuto nel D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, comma 13, al precedente comma 10, che prevede l’obbligo di sentire le parti, non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice d’appello di valutarne la specifica rilevanza (Cass. n. 3003 del 2018 e 14600 del 2019, nonchè Cass. 4544 del 2011). Si tratta anche in questo caso di una valutazione che compete al giudice di merito, da operare in base alle concrete circostanze di causa e alla necessità di vagliarle anche alla luce delle dichiarazioni rese in sede di audizione personale dinanzi alla Commissione territoriale.

12. In conclusione, il primo motivo di ricorso si limita ad opporre alla valutazione compiuta dal giudice di merito la generica censura di scarso approfondimento istruttorio, senza prendere in esame nè validamente confutare la motivata ricostruzione contenuta nel provvedimento impugnato.

13. La seconda censura posta a base del ricorso per cassazione, vertente sul rigetto della domanda subordinata di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, è del pari inammissibile.

14. Come già detto, il ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia omesso l’esame dei requisiti di “vulnerabilità” in relazione alla c.d. protezione umanitaria, escludendo la sussistenza dei relativi presupposti sulla base di un ragionamento che, oltre ad essere fondato sulla ritenuta non credibilità del richiedente, ha richiamato il principio dell’onere di allegazione del ricorrente.

15. Il ricorso per cassazione si limita a generiche affermazioni circa l’avvenuta integrazione nel tessuto sociale e lavorativo in Italia, omettendo finanche di indicare se elementi più specifici, riferibili alla persona del richiedente, fossero stati introdotti in giudizio e sottoposti all’esame del giudice di merito. Deve ribadirsi che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 27336 del 2018).

16. Per tali assorbenti ragioni, il ricorso va dichiarato inammissibile. Nulla va disposto quanto alle spese del giudizio di legittimità, non avendo il Ministero intimato svolto attività difensiva.

17. Occorre dato atto della sussistenza dei presupposti processuali (nella specie, inammissibilità del ricorso) per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019).

18. In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno recentemente chiarito (sent. n. 4315 del 2020) che “La debenza di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione è normativamente condizionata a “due presupposti”, il primo dei quali – di natura processuale – è costituito dall’aver il giudice adottato una pronuncia di integrale rigetto o di inammissibilità o di improcedibilità dell’impugnazione, mentre il secondo – appartenente al diritto sostanziale tributario – consiste nella sussistenza dell’obbligo della parte che ha proposto impugnazione di versare il contributo unificato iniziale con riguardo al momento dell’iscrizione della causa a ruolo. L’attestazione del giudice dell’impugnazione, ai sensi all’art. 13, comma 1-quater, secondo periodo, T.U.S.G., riguarda solo la sussistenza del primo presupposto, mentre spetta all’amministrazione giudiziaria accertare la sussistenza del secondo”.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 25 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2020

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