Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26830 del 21/10/2019

Cassazione civile sez. I, 21/10/2019, (ud. 20/09/2019, dep. 21/10/2019), n.26830

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 2749/18 proposto da:

Ministero dell’interno, elettivamente domiciliato in Roma, via dei

Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura dello Stato, che lo

rappresenta

e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

K.E.A. (o K.);

– intimato –

avverso l’ordinanza del Giudice di pace di Bologna 10.7.2017 n. 596;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 20

settembre 2019 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti;

udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’accoglimento

del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. K.E.A. (o K.), cittadino extracomunitario (il ricorso e l’ordinanza impugnata non ne indicano la nazionalità), già titolare di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 9, il 7.4.2016 venne tratto in arresto con l’imputazione di spaccio di stupefacenti e sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere (poi sostituita dal Tribunale del riesame con quella dell’obbligo di firma); per tale imputazione il 27.10.2016 sarà condannato in primo grado alla pena tre anni di reclusione.

2. Nelle more del procedimento penale il Questore di Bologna con provvedimento del 20.6.2016 revocò al suddetto K.E.A. il permesso di soggiorno.

3. Circa un anno dopo tali fatti, il Prefetto di Bologna con provvedimento 6.4.2017 ordinò l’espulsione dello straniero con accompagnamento immediato alla frontiera, D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 13, comma 2, lett. c), in quanto ritenuto pericoloso per la pubblica sicurezza; contestualmente al decreto di espulsione venne notificato a K.E.A. il provvedimento del Questore di Bologna con cui ne veniva ordinato l’accompagnamento al centro di identificazione ed espulsione di Brindisi.

Tale provvedimento era motivato con la ritenuta sussistenza del pericolo di fuga.

4. Con provvedimento 10.4.2017 il Giudice di pace di Brindisi convalidò il provvedimento di trattenimento nel CIE.

Successivamente “rilasciato” dal CIE (il ricorso non ne indica le ragioni), K.E.A. lasciò la città di Brindisi e venne in seguito rintracciato dalla polizia a Bologna.

Infine, il 30.5.2017 il Questore di Bologna eseguì il provvedimento di espulsione.

5. Con ricorso al Giudice di pace di Bologna K.E.A. impugnò (secondo quanto riferito dal ricorso) il suddetto provvedimento questorile di esecuzione dell’espulsione; secondo quanto si legge nell’ordinanza del Giudice di pace, invece, ad essere impugnato fu il “provvedimento espulsivo”.

Il Giudice di pace di Bologna con ordinanza 10.7.2017 n. 596 dichiarò di “annullare il provvedimento espulsivo”, ritenendo che il ricorrente non fosse pericoloso per la pubblica sicurezza.

6. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il Ministero dell’interno, con ricorso fondato su un solo motivo. L’intimato non si è difeso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il motivo unico di ricorso.

1.1. Con l’unico motivo l’amministrazione ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, commi 2, 3, 4 e 7.

Il motivo, sebbene formalmente unitario, contiene in realtà plurime censure che è opportuno esaminare partitamente.

1.2. Con una prima censura (pag. 4 del ricorso) l’amministrazione sostiene che K.E.A. col proprio ricorso dinanzi al Giudice di pace di Bologna aveva impugnato unicamente il provvedimento di esecuzione dell’espulsione, ma non il provvedimento di revoca della “carta di soggiorno” (rectius, permesso di soggiorno di lungo periodo), nè quello di espulsione, e che di conseguenza tali provvedimenti erano divenuti definitivi, sicchè il Giudice di pace non avrebbe potuto annullarli.

1.2.1. Tale censura è inammissibile, per due indipendenti ragioni; sia ai sensi del n. 3, sia ai sensi del n. 6, dell’art. 366 c.p.c..

1.2.2. In primo luogo, infatti, l’amministrazione ricorrente nel proprio ricorso si è limitata a dichiarare con sintassi assai stringata (p. 4, primo capoverso, del ricorso) una mera circostanza di fatto, e cioè che lo straniero non aveva impugnato il decreto di espulsione.

Non ha, però, chiarito se con tale affermazione avesse inteso prospettare un vizio di ultrapetizione (per avere il Giudice di pace pronunciato su una domanda – ovvero l’annullamento del provvedimento di espulsione – mai proposta); oppure se avesse inteso denunciare un error in iudicando (per avere il Giudice di pace annullato un provvedimento divenuto inoppugnabile).

Tale oggettiva ambiguità del ricorso, non superabile in via interpretativa, rende questa censura inammissibile per genericità, ex art. 366 c.p.c., n. 3, dal momento che non espone in modo univoco il c.d. “momento volitivo” dell’impugnazione.

1.2.3. Ad abundantiam, rileva il Collegio che comunque la suddetta censura è altresì inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

Denunciare, infatti, in sede di legittimità che il Giudice di pace ha pronunciato su una domanda diversa da quella effettivamente proposta (l’avere, cioè, annullato il provvedimento di espulsione, non impugnato, invece che provvedere sull’impugnazione del diverso provvedimento di esecuzione dell’espulsione); come pure il denunciare che il Giudice di pace ha annullato un provvedimento divenuto inoppugnabile, è un motivo di ricorso che, per usare le parole della legge, “si fonda” sugli atti e sui documenti del cui erroneo esame il ricorrente si duole; e cioè l’atto introduttivo del giudizio (del quale si assume travisata la domanda) od il provvedimento di espulsione (del quale si assume violata l’inoppugnabilità).

Ma quando il ricorso per cassazione si fondi su atti o documenti, il ricorrente ha l’onere di “indicarli in modo specifico” nel ricorso, a pena di inammissibilità (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6).

“Indicarli in modo specifico” vuol dire, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte:

(a) trascriverne il contenuto, oppure riassumerlo in modo esaustivo;

(b) indicare in quale fase processuale siano stati prodotti;

(c) indicare a quale fascicolo siano allegati, e con quale indicizzazione (in tal senso, ex multis, Sez. 6-3, Sentenza n. 19048 del 28/09/2016; Sez. 5, Sentenza n. 14784 del 15/07/2015; Sez. U, Sentenza n. 16887 del 05/07/2013; Sez. L, Sentenza n. 2966 del 07/02/2011).

Di questi tre oneri, l’amministrazione ricorrente non ne ha assolto alcuno. Il ricorso, infatti, non riassume nè trascrive i termini in cui venne formulata la domanda originaria, nè in quale fase processuale sia stato prodotto il provvedimento di espulsione, a quale fascicolo sia allegato, e con quale indicizzazione.

1.3. Con una seconda censura (p. 4-5 del ricorso) l’amministrazione ricorrente sostiene che l’espulsione di K.E.A., una volta che a questi era stato revocato il permesso di soggiorno, era un atto obbligato ope legis e non discrezionale. Erroneamente, pertanto, il Giudice di pace l’aveva annullato.

1.3.1. Il motivo è infondato.

Secondo quanto riferito nel ricorso, infatti:

(a) K.E.A. era titolare di un permesso UE per soggiornanti di lungo periodo, che gli fu revocato dal questore il 20.6.2016;

(b) l’espulsione venne disposta dal prefetto del D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 13, comma 3, lett. (c) il 6.4.2017.

Quando venne revocato il permesso di soggiorno di lungo periodo, pertanto, lo straniero non era stato ancora espulso.

Ma la revoca del permesso per soggiornanti di lungo periodo non comporta ope legis l’espulsione: tanto si desume dal “sistema” di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 9.

Tale norma disciplina i casi in cui il permesso di soggiorno di lungo periodo può essere concesso; quelli in cui può essere revocato; e quelli in cui può essere espulso il titolare di quel permesso.

Orbene, il comma 7, lett. (b), dell’art. 9 cit., prevede sì che il permesso di soggiorno di lungo periodo sia revocato “in caso di espulsione”, ma soggiunge “di cui al comma 9”.

E il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 9, comma 9, stabilisce per l’appunto che “allo straniero, cui sia stato revocato il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo e nei cui confronti non debba essere disposta l’espulsione, è rilasciato un permesso di soggiorno per altro tipo in applicazione del presente testo unico”.

Dunque la legge prevede che la persona cui sia stato revocato il permesso di soggiorno di lunga durata possa essere espulsa solo se non abbia diritto al rilascio di un diverso permesso di soggiorno, e dunque non in modo automatico.

La conclusione è corroborata dal successivo comma 10, lett. (c), del D.Lgs. n. 286 del 1998, medesimo art. 9, il quale stabilisce che l’espulsione “può” (non “deve”) essere disposta quando il titolare di permesso di soggiorno di lungo periodo sia pericoloso per la sicurezza pubblica.

In sostanza il sistema della legge è nel senso che la pericolosità sociale può impedire il rilascio del permesso di lungo periodo (art. 9, comma 4), oppure comportarne la revoca (art. 9, comma 10), ma pur sempre con valutazione caso per caso, e non in modo automatico.

Aggiungasi che l’espulsione, stando a quanto riferito dalla stessa amministrazione ricorrente, venne disposta non già per la mancanza di un titolo legittimante il soggiorno, ma per la pericolosità sociale dell’espulso: e dunque non potrebbe questa Corte, ora, sostituire la ratio decidendi del provvedimento espulsivo, supponendo che esso sia stato disposto non per la pericolosità sociale dello straniero, ma per essere egli stato privato della carta di soggiorno.

1.4. Con una terza censura (pp. 5-6 del ricorso), l’amministrazione ricorrente sostiene che il Giudice di pace non avrebbe potuto sindacare nel merito il provvedimento amministrativo di espulsione, e stabilire se sussistesse o meno la pericolosità dell’espulso, trattandosi di sindacato spettante unicamente al giudice amministrativo.

Soggiunge, comunque, che il Giudice di pace ha altresì errato nel ritenere insussistente il pericolo per la sicurezza pubblica da parte di K.E.A..

1.4.1. La censura è in parte infondata, ed in parte inammissibile.

Nella parte in cui denuncia un difetto di giurisdizione del Giudice di pace a sindacare il merito del provvedimento espulsivo, il motivo è infondato.

Questa Corte, infatti, ha ripetutamente affermato che il Giudice ordinario, investito dell’opposizione avverso un provvedimento di espulsione dello straniero adottato per motivi di pubblica sicurezza, ha il potere-dovere di verificare l’esistenza dei presupposti di appartenenza dello straniero ad una delle categorie soggetti socialmente pericolosi previsti dalla legge (prevenuti, terroristi, mafiosi), e che nel compimento di tale riscontro il Giudice di pace “ha poteri di accertamento pieni e non già limitati da una insussistente discrezionalità dell’amministrazione” (Sez. 6-1, Ordinanza n. 24084 del 25/11/2015, Rv. 637703-01; nello stesso senso, Sez. 6-1, Ordinanza n. 21099 del 11/09/2017, Rv. 645746-01; Sez. 6-1, Ordinanza n. 16955 del 07/07/2017 (non massimata); Sez. 6-1, Ordinanza n. 4869 del 24/02/2017 (non massimata); Sez. 6-1, Ordinanza n. 11466 del 14/05/2013, Rv. 626614-01).

Il sindacato del giudice ordinario sul provvedimento prefettizio di espulsione, infatti, ha ad oggetto non l’atto, ma i diritti soggettivi che esso comprime e le condizioni per la loro legittima compressione, con la conseguenza che in sede di opposizione il Giudice di pace ben può sindacare la “completezza, logicità e non contraddittorietà delle valutazioni operate dall’amministrazione, con l’unico limite rappresentato dalla impossibilità di sostituire o integrare gli elementi di fatto su cui si fonda il provvedimento espulsivo” (Sez. 1, Sentenza n. 11321 del 16/06/2004, Rv. 573670-01).

1.4.2. Nella parte, infine, in cui censura il giudizio di non attualità della pericolosità dell’espulso, compiuto dal Giudice di pace, il motivo è inammissibile, in quanto investe un tipico apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito.

2. Le spese.

2.1. Non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio dell’intimato.

2.2. Non è luogo a provvedere ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), essendo le Amministrazioni dello Stato istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito. (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550-01).

P.Q.M.

la Corte di Cassazione:

(-) rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, il 20 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2019

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