Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26830 del 14/12/2011

Cassazione civile sez. II, 14/12/2011, (ud. 05/10/2011, dep. 14/12/2011), n.26830

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 4448-2006 proposto da:

P.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARCELLO

PRESTINARI 15, presso lo studio dell’avvocato CASALENA PAOLO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MILANO ASSICURAZIONI SPA in persona del suo Presidente Generale Dott.

S.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ATTILIO

REGOLO 12/D, presso lo studio dell’avvocato ZACCHIA RICCARDO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato BUZZONI ZOCCOLA ANNA

MARIA;

– controrscorrente –

avverso la sentenza n. 2004/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 22/08/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/10/2011 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA;

udito l’Avvocato ZACCHIA Riccardo, difensore del resistente che ha

chiesto di riportarsi ed insiste;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con due distinti atti di citazione P.S., agente monomandatario della Ausonia Assicurazioni, successivamente incorporata da La Previdente Assicurazioni s.p.a., agiva contro quest’ultima per l’accertamento negativo del recesso per giusta causa manifestato dalla preponente in seguito al mancato versamento di rimesse per L. 328.287.212, relative ai mesi di luglio e agosto 1992, e si opponeva al decreto ingiuntivo emesso dal presidente del Tribunale di Milano nei suoi confronti, su ricorso de La Previdente Assicurazioini s.p.a. e La Previdente Vita s.p.a., per il pagamento delle somme di L. 167.871.000 e di L. 9.913.123, sempre in dipendenza delle vicende del medesimo rapporto.

A sostegno dell’una e dell’altra causa il P., che domandava altresì il risarcimento del danno e il pagamento delle somme spettantegli a termini degli istituti di fine rapporto, sosteneva che il mancato versamento delle rimesse era dipeso dall’essere stato egli vittima di reati di estorsione ed usura commessi da tale B.U., funzionario di un’azienda di credito presso cui intratteneva un rapporto di c/c, il quale sin dal 1986 aveva cominciato a finanziarlo, e che, avendo accesso diretto ai terminali della banca, dal mese di aprile del 1992 aveva preso ad operare direttamente sul conto di lui, effettuando sia le operazioni di bonifico necessarie per la gestione dell’agenzia assicurativa, sia i prelievi di denaro destinati al soddisfacimento delle pretese usurarie. Ascriveva, pertanto, il mancato versamento delle rimesse all’illecita condotta posta in essere dal B., e sosteneva di non aver nè dolosamente, nè colposamente ritardato il pagamento delle rimesse.

Le società di assicurazioni resistevano in entrambe le cause, e La Previdente proponeva, altresì, domanda riconvenzionale di risoluzione del rapporto di agenzia per giusta causa.

Riunite le due cause, il Tribunale riteneva insussistente la giusta causa di recesso da parte della compagnia di assicurazioni, trattandosi non di un ammanco irrecuperabile, ma di un mero ritardato adempimento, e operate le compensazioni dei rispettivi controcrediti delle parti condannava le predette società di assicurazione al pagamento in favore del P. della somma di L. 83.301.958, rigettando ogni altra domanda.

Tale sentenza era parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Milano, che decidendo sull’impugnazione principale della Milano Assicurazioni s.p.a. (incorporante La Previdente Assicurazioni e La Previdente Vita) e incidentale del P., accertava in favore della società appellante la risoluzione per giusta causa del rapporto di agenzia, e, operate le compensazioni del caso, condannava P.S. al pagamento in favore della Milano Assicurazioni della somma complessiva di Euro 71.067,12.

Ricostruita diacronicamente la vicenda, la Corte territoriale riteneva la gravità dell’inadempimento del P., che di fronte alla richiesta di spiegazioni fattagli dagli ispettori della società mandante aveva temporeggiato, esibendo documentazione bancaria apparentemente attestante l’avvenuta disposizione del bonifico delle somme, documentazione che, in realtà, non corrispondeva agli effettivi addebiti sul c/c aperto presso la Banca di credito agrario bresciano, che il P. utilizzava per i movimenti dell’agenzia assicurativa. Osservava, inoltre, che quest’ultimo non aveva effettuato alcun immediato chiarimento dei fatti, e che, anzi, egli aveva ammesso che per un lungo periodo di tempo sul medesimo c/c erano stati movimentati sia i premi versati dagli assicurati, sia i prelievi di denaro in favore del B., sicchè, in tale contesto, la reazione delle compagnie di assicurazione era da ritenersi proporzionata alla gravità dell’inadempimento e al fatto che il P. era stato ben consapevole che il conto corrente fosse destinato a prelievi del tutto estranei all’attività dell’agenzia. In particolare, era emerso il collegamento tra il mancato versamento dei premi alle scadenze decadali e la situazione di soggezione del P. alle richieste usurarie protrattesi nel tempo e soddisfatte con il ricorso anche a fondi di pertinenza dell’agenzia.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre P.S., che propone sette motivi di annullamento.

Resiste con controricorso la Milano Assicurazioni s.p.a., che ha altresì depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con la prima censura del primo motivo parte ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione di norme degli artt. 1218, 1362, 1418, 1751, 2119 e 1455 c.c., nonchè l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, lamentando che la Corte territoriale non abbia considerato i principi generali in materia di obbligazioni e di responsabilità contrattuale, che si fondano sull’imputabilità al debitore dell’inadempimento. In particolare, la condotta del B. costituisce fatto del terzo e rileva all’interno del rapporto delle parti del contratto d’agenzia sub specie di caso fortuito, da intendersi come fatto non prevedibile al momento del suo nascere e sul quale il P. non aveva alcun potere.

Lamenta, inoltre, l’eccessiva apoditticità del giudizio valutativo operato dalla Corte d’appello in punto di gravità dell’inadempimento su cui si è basata l’affermata giusta causa di recesso, sia per quanto riguarda il profilo fattuale dell’entità dell’inadempimento, sia in ordine all’incidenza di esso ai fini dell’adozione della misura di autotutela del recesso.

1.1. – Con la seconda censura del primo motivo si deduce la violazione dell’onere della prova, perchè la Milano Assicurazioni non ha in alcun modo provato che il P. abbia dolosamente simulato il versamento delle rimesse, nè ha provato il pregiudizio che avrebbe sofferto per effetto della condotta del suo agente.

Inoltre, la Corte d’appello ha palesemente errato lì dove ha utilizzato come fonte del proprio convincimento le deposizioni dei testi Bu. e Pa., i quali non hanno mai affermato di aver avuto prova della responsabilità di P., ma si sono limitati a riferire che il loro collega M. aveva asserito di aver appreso dalla Banca di credito agrario di Brescia che il bonifico non era stato effettuato per mancanza di provvista; nè la Milano Assicurazioni ha prodotto alcun documento attestante il mancato accredito delle somme.

2. – Con il secondo motivo parte ricorrente deduce il vizio di motivazione per omessa considerazione di prove fondamentali prodotte dalla difesa del P., nonchè la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2721 c.c..

Sostiene parte ricorrente che nella sentenza impugnata vi è una clamorosa svista, lì dove il convincimento dei giudici d’appello si basa sul fatto che lo stesso P. ha affermato davanti alla polizia giudiziaria che i bonifici erano stati eseguiti anche se ciò non era vero, senza considerare che tale dichiarazione era stata rilasciata dal P. quasi due mesi dopo aver denunciato il B., ed ovviamente dopo aver avuto contezza del mancato trasferimento delle somme a favore della compagnia di assicurazioni.

3. – Il terzo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., degli artt. 2907, 2908 e 2909 e della L. n. 48 del 1979, nonchè l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia, costituito dalla valenza del provvedimento della Commissione Albo Agenti, che ha concluso il procedimento disciplinare a carico del P., ritenendo non doloso il comportamento di lui, tenuto conto del fatto che il mancato accredito delle somma dovute alla compagnia mandante è conseguenza dell’azione criminosa posta in essere nei confronti dello stesso agente dal funzionario della Cassa di credito agrario di Brescia, B.U., tratto successivamente in arresto. La Corte territoriale non ha tenuto in alcuna considerazione tale provvedimento, la cui decisività ben può essere ravvisata nella considerazione che se si ritiene non più superabile la statuizione effettuata in sede ministeriale sulla condotta addebitata al P., il titolo di recesso non potrà certamente essere quello riconosciuto dalla Corte d’appello nell’impugnata sentenza.

4. – Il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., nel senso che, riconosciuta la mancanza di responsabilità del P., deve ritenersi esistente una responsabilità extracontrattuale della società preponente.

5. – Con il quinto motivo si deduce la violazione ed errata applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. nonchè l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, non avendo la Corte territoriale riconosciuto alcuni crediti vantati dal P., emersi in sede di c.t.u.

contabile e riferiti al momento della risoluzione del rapporto. E sebbene la Milano Assicurazioni non abbia accettato il contraddittorio su tale domanda ed abbia, in subordine, eccepito la prescrizione, tali crediti non fuoriescono dallo scibile processuale, con tutte le conseguenze in relazione alla buona fede e alla compensazione.

6. – Con il sesto motivo è dedotta la violazione ed errata applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 2721 c.c.. La Corte territoriale, afferma parte ricorrente, ha considerato fondante il proprio convincimento la testimonianza de relato dei funzionari della compagnia di assicurazioni, per affermare che la comunicazione di recesso fu redatta il 18.9.1992 a seguito dei colloqui tra il dirigente dell’ufficio contabilità della compagnia con i funzionari della Banca di credito agrario di Brescia. In realtà è emerso dalle stesse testimonianze che i testi non hanno mai conferito con i funzionari di banca per accertare quanto invece la Corte da per scontato. Non solo, ma la Corte territoriale afferma che il P. allegò le dichiarazioni della Banca da cui si evinceva che i versamenti erano stati eseguiti, sostenendo, tuttavia, nel passaggio successivo che il ricorrente non fornì alcuna spiegazione a fronte della contestazione di ammanco in sede ispettiva. Inoltre la Corte d’appello non ha considerato neppure sussistenti un documento di prova scritta rilasciato da una banca in originale che attesta l’avvenuto bonifico, una prova scritta che attesta che sull’estratto del conto del P. sono stati addebitati gli importi di cui ai bonifici, un documento di prova scritta ove sono indicati gli ordini di bonifico, altro documento proveniente dal Ministero che attesta l’assenza di responsabilità del P., mentre ha considerato esistenti, valide ed efficaci le deposizioni de relato di due funzionari della stessa compagnia di assicurazioni, e un verbale di sommarie informazioni testimoniali dove lo stesso P. afferma non essere vero che i bonifici siano stati eseguiti, ma ovviamente riferendosi al fatto che egli aveva scoperto non essere vera la circostanza.

7. – Il settimo motivo denuncia, con una prima censura, la violazione e falsa applicazione ed interpretazione dell’art. 96 c.p.c., assumendo che la Milano Assicurazioni ha agito e resistito in giudizio nella piena consapevolezza che le proprie ragioni erano infondate, non considerando che operate le opportune compensazioni il P. era comunque ed ampiamente creditore. Allo stesso modo è di mala fede la condotta della Milano Assicurazioni, che ha notificato al P. il decreto ingiuntivo dopo la notifica dell’atto di citazione, e si è opposta alle richieste istruttorie e alle produzioni di lui. Di tutto ciò dovrà tenersi conto sia ai fini della soccombenza, sia a quelli della liquidazione del danno esistenziale, ex art. 96 c.p.c..

7.1. – Con un’ulteriore censura, infine, sostiene che nell’intera vicenda sia ravvisabile un fumus persecutionis ai danni del P..

8. – La prima censura del primo motivo e il terzo motivo – da esaminare congiuntamente in quanto diretti in maniera consimile a negare fondamento giuridico o, comunque, sufficiente e logica base motivazionale alla ritenuta esistenza dell’elemento psicologico doloso o colposo del P. – sono infondati.

8.1. – Reclama priorità logica l’osservare che la decisione della Commissione Albo Agenti, che ha concluso il procedimento disciplinare in senso favorevole al P., escludendo che questi avesse intenzionalmente omesso di accreditare alla compagnia mandante le somme dovute, non ha efficienza decisiva in causa, trattandosi di statuizione che non soltanto non è opponibile alla società preponente, terza rispetto al procedimento disciplinare, ma che inoltre, riguardando profili di carattere deontologico, non coinvolge il diverso tema della responsabilità contrattuale che è alla base del recesso per giusta causa, tutto interno ad un rapporto di esaustivo rilievo privatistico.

8.2. – E’ manifestamente infondata la tesi che alimenta in maniera trasversale i motivi in esame, ossia che l’evento posto a base del recesso per giusta causa in quanto dipendente dal fatto illecito di un terzo non possa essere attribuito all’agente nè a titolo di dolo, nè a titolo di colpa. E ciò per due ragioni fra loro interattive.

8.2.1. – La prima è che il caso fortuito, cui appartiene la sottospecie del fatto del terzo, è insieme con la forza maggiore causa di esclusione della responsabilità da fatto illecito (art. 2043 e ss. c.c.) nelle ipotesi previste dalla legge, mentre nell’ambito della responsabilità contrattuale vige il diverso criterio dell’impossibilità, nel senso che il debitore è tenuto ad adempiere fino al limite estremo della possibilità della prestazione (secondo la prescrizione generale dell’art. 1218 c.c.). Pertanto, il fatto del terzo può assurgere a causa di esclusione della responsabilità contrattuale non ex se, ma solo in quanto sia altrimenti e ulteriormente caratterizzato da elementi che ne evidenzino la sostanziale corrispondenza (non ontologica, bensì) effettuale a una situazione di impossibilità non imputabile.

8.2.2. – La seconda ragione risiede in ciò, che il fatto del terzo, sebbene costituisca una categoria riconducibile al caso fortuito e dunque, di regola, al settore della responsabilità per fatto illecito, in tanto può valere quale causa di esclusione della responsabilità ex art. 1218 c.c., in quanto renda impossibile l’adempimento ovvero, per le obbligazioni aventi ad oggetto un facere connotato in senso tecnico, esaurisca le possibilità di adempimento diligente secondo i parametri di esigibilità tipologici o basati sugli obblighi collaterali di buona fede. Ciò può verificasi soltanto ove il fatto del terzo consista in una forza esterna, improvvisa ed imprevedibile, tale da neutralizzare e soverchiare la diligenza del debitore, salvo questi, in virtù di previsione legislativa o convenzionale, debba sopportarne il rischio (cfr. su quest’ultimo periodo, Cass. nn. 1192/80 e 2189/75).

8.3. – Nello specifico, la Corte territoriale ha ritenuto ravvisabile la giusta causa di recesso da parte della società preponente non solo e non tanto nella condotta – ritenuta omissiva, fuorviante o, ad ogni modo, non collaborativa – dell’agente di fronte alle richieste di chiarimenti formulate dagli ispettori in merito alle rimesse, ma anche e soprattutto per il fatto, giudicato “indiscusso”, che il P. era “comunque a conoscenza dell’inserimento del tutto improprio del B. nei flussi di denaro attinenti al rapporto di agenzia al fine di ricavare da tali flussi l’importo di L. 12 milioni mensili” (v. pag. 23 sentenza impugnata), e che egli “risulta(va) aver tollerato per un rilevante periodo di tempo l’ingerenza impropria di un terzo nei movimenti contabili relativi al rapporto di agenzia” (v. pag. 25 detta sentenza).

Detto accertamento di fatto non è investito da censura quanto al suo substrato motivazionale (le doglianze che il ricorrente ha proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 riguardano, semmai, la valutazione operata dalla Corte d’appello circa le risultanze istruttorie relative ai mancati versamenti dei premi dei mesi di luglio e agosto 1992, e alla condotta dello stesso P. durante e dopo l’ispezione disposta dalla società preponente); e del resto trova conferma nelle stesse affermazioni contenute nel ricorso per cassazione, lì dove si legge che “dall’aprile in avanti, l’estorsore (…) avendo accesso ai terminali dell’istituto (…), con lo scopo di finanziare la propria attività (…) provvedeva ad effettuare direttamente tutte le operazioni di bonifico delle somme che dovevano essere accreditate sul conto corrente della Compagnia”, e che “Per P. si pose il problema di decidere se attendere oltre o meno: egli decise di attendere allo scopo di incastrare il funzionario della Banca e comunque di non pregiudicare irreparabilmente la propria immagine oltre alla tranquillità dei suoi familiari” (v. pag. 16 ricorso).

8.3.1. – L’aver ritenuto non scriminante tale fatto del terzo, costituisce un accertamento congruo, logico e non in contrasto con i superiori principi di diritto indicati, e dunque va esente da censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Così come accertato dalla Corte lombarda, tale fatto non si presenta come evento esterno, improvviso ed imprevedibile, tale da inscrivere la fattispecie nell’ambito dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione, perchè deriva da quella che, con terminologia penalistica, può definirsi un’actio libera in causa, tale essendo la condotta di chi in maniera inizialmente libera e cosciente si ponga in condizioni di perdere il controllo dell’agire nella propria sfera giuridica. Ed è per l’esattezza quanto è avvenuto nella specie, avendo il P. dapprima contratto debiti usurari, e poi tollerato che lo stesso usuraio gestisse, per le proprie finalità illecite, le movimentazioni del c/c su cui transitavano le somme destinate alle rimesse periodiche da effettuare in favore della società mandante.

9. – La reiezione delle censure anzidette assorbe l’esame della seconda doglianza del primo motivo, nonchè del secondo, del quarto e del sesto motivo, giacchè vale a consolidare una delle due anzidette rationes decidendi, restando del tutto irrilevante stabilire se sia sufficiente e logica la trama motiva della sentenza impugnata in punto di consapevolezza del P. circa il mancato accredito delle rimesse, e in generale in ordine alla condotta di lui durante l’indagine ispettiva disposta dalla società mandante.

10. – Anche il quinto motivo è infondato, giacchè la mancata accettazione del contraddittorio su una domanda nuova comporta, nel rito ordinario civile ante lege n. 353 del 1990, che non possa tenersi conto della pretesa neppure a fini diversi, che, altrimenti, su di essi si formerebbe quel medesimo effetto di giudicato che l’espressa ricusazione del contraddittorio mira legittimamente ad evitare.

11 – Infine, il settimo motivo è assorbito dalla reiezione di tutti gli altri, quanto alla prima doglianza, mentre è inammissibile nella sua seconda articolazione giacchè non contiene alcuna specifica e intelligibile censura della sentenza impugnata.

12. – In conclusione il ricorso va respinto.

13. – Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 4.700,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali di studio secondo tariffa professionale, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2011

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