Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26809 del 22/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 22/12/2016, (ud. 20/10/2016, dep.22/12/2016),  n. 26809

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19589-2015 proposto da:

R.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUIGI

CALAMATTA 16, presso lo studio dell’avvocato MANUELA MARIA ZOCCALI,

che lo rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati CLEMENTINA

PULLI, MAURO RICCI, EMANUELA CAPANNOLO giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 12260/2014 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositata

il 23/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/10/2016 PAGETTA;

udito l’Avvocato Patteri Antonella (delega Ricci) controricorrente

che si riporta agli scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

R.R., in esito a dissenso espresso in conclusioni dell’ausiliare officiato nel procedimento per ATP instaurato ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c., comma 1, per l’accertamento del requisito sanitario prescritto ai fini delle prestazioni di cui alla L. n. 118 del 1971, artt. 12 e 13 adiva il giudice del lavoro con ricorso proposto ai sensi dell’art. 445 bis cit., comma 6.

La domanda, in adesione agli esiti della rinnovata consulenza tecnica d’ufficio, era respinta.

Per la cassazione della decisione propone ricorso R.R. sulla base di un unico motivo articolato in più censure; l’INPS resiste con tempestivo controricorso.

Con l’unico motivo parte ricorrente, premesso di avere, nel giudizio di merito, tempestivamente eccepito la nullità della consulenza tecnica d’ufficio per mancato rispetto sia del termine assegnato dal giudice per il deposito sia di quello di dieci giorni dall’udienza di discussione, censura la decisione per avere omesso di rilevare la nullità della consulenza tecnica d’ufficio. Nel prosieguo della illustrazione del motivo, rubricato “Violazione di legge (art. 360, comma 1, punto 3)”, ci si duole che l’ausiliare non abbia tenuto in alcun conto i rilievi mossi dal consulente tecnico di parte ricorrente, a seguito dell’invio della bozza della relazione peritale. Si lamenta, quindi, la omessa considerazione di alcune specifiche patologie sofferte dal periziato e la mancata applicazione delle tabelle di legge nella determinazione della percentuale di invalidità.

Il ricorso, in conformità della proposta formulata nella relazione depositata ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c., deve reputarsi in parte manifestamente infondato e in parte inammissibile. Invero, in relazione alla censura relativa alla mancata declaratoria di nullità della consulenza tecnica d’ufficio, in quanto depositata (anche) in violazione del termine di dicci giorni dall’udienza fissata per la discussione, occorre premettere che nel ricorso per cassazione si dà espressamente atto che, a seguito della eccezione a riguardo formulata dal R. all’udienza del 16.12.2014, la causa era rinviata all’udienza del 23.12.2014, nel corso della quale “parte ricorrente ampiamente contestava le conclusioni a cui era pervenuto il Dott. B. che sostanzialmente confermava il risultato raggiunto dalla prima CTU” (ricorso pag. 7).

In base quindi alle medesime allegazioni del ricorso per cassazione è da escludere che si sia realizzato un pregiudizio al diritto di difesa del ricorrente, posto che questi, in conseguenza del rinvio dell’udienza ha potuto ampiamente interloquire in ordine alle conclusioni dell’ausiliare. Secondo quanto ritenuto dalla giurisprudenza di questa Corte in fattispecie analoga a quella in esame, in caso di differimento dell’udienza di discussione allo scopo di consentire alle parti di esaminare la relazione peritale, tardivamente depositata e di dedurre nel merito, non sussiste alcun pregiudizio del diritto di difesa (Cass. 10157 del 2004) In applicazione di tale principio deve quindi ritenersi che il differimento della udienza, finalizzato a consentire il pieno dispiegarsi del diritto di difesa del ricorrente, ha sanato la nullità (relativa) scaturita dal mancato rispetto dei termini di deposito della consulenza tecnica d’ufficio.

In relazione alle ulteriori censure si rileva che le stesse sono sviluppate in termini non coerenti con le caratteristiche specifiche del giudizio di cassazione, che è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso; il singolo motivo, infatti, anche prima della riforma introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006, assume una funzione identificativa condizionata dalla sua formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative di censura formalizzate con una limitata elasticità dal legislatore. La tassatività e la specificità del motivo di censura esigono una precisa formulazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche di censura enucleate dal codice di rito. (n. 18292 del 2008, n. 18819 del 2010). In particolare, il motivo con cui si denunzia il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie, diversamente impedendosi alla Corte di Cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inammissibile, la deduzione di “errori di diritto” individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una circostanziata critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata. (ex plurimis, Cass. n. 11501 del 2006).

Con riferimento alla nuova configurazione del motivo di ricorso per cassazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 le Sezioni unite di questa Corte hanno chiarito che “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”. (Cass. ss.uu. n.8053 del 2014).

In particolare è stato precisato che il controllo previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5 concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). In conseguenza la parte ricorrente sarà tenuta ad indicare, nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, la decisività del fatto stesso.

Parte ricorrente non ha sviluppato le censure alla decisione impugnata con modalità conformi all’insegnamento di questa Corte. Le doglianze svolte, laddove sembrano prospettare l’errore di diritto della sentenza impugnata, non risultano corredate dalla puntuale indicazione delle norme violate e delle affermazioni in diritto della sentenza impugnata, in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie.

Parimenti inidonee alla valida censura della decisione sono le deduzioni attinenti al vizio di motivazione. In particolare, parte ricorrente, nel denunziare il vizio di motivazione “apparente”, si limita a dedurre che il ctu non ha tenuto conto in alcun modo dei rilievi critici alla relazione peritale, ed ha omesso, tra l’altro, di rappresentarli al giudicante; non individua, tuttavia, alcun fatto storico, avente carattere decisivo il cui esame è stato omesso dalla sentenza impugnata. Tale fatto non potrebbe comunque individuarsi nel dedotto mancato esame delle controdeduzioni alla relazione peritale, le quali non configurano alcun fatto, in senso materiale come, invece, prescritto.

Occorre ancora evidenziare che il contenuto di tali controdeduzioni, sinteticamente riassunto dal ricorrente, si limita ad esprimere, in merito alle patologie diagnosticate e valutate dal ctu un mero dissenso diagnostico, dissenso che, in quanto non attinente a vizi del processo logico formale alla base della decisione, si traduce in un’inammissibile critica del convincimento del giudice. (v. tra le altre, Cass. ord. n. 1656 del 2012).

Le spese sono regolate secondo soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione all’INPS delle spese del giudizio che liquida in complessivi Euro 2.500,00 per compensi professionali, Euro 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2016

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