Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26807 del 25/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 25/11/2020, (ud. 06/07/2020, dep. 25/11/2020), n.26807

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13563-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, presso l’AVVOCATURA GENERALE

DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrenti –

contro

C.A.;

CA.AN.RI.;

BE.MA.CO.;

COSTRUZIONI BI. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore elettivamente domiciliati in ROMA, presso lo studio

dell’Avvocato LIVIA RANUZZI, che li rappresenta e difende giusta

procura speciale estesa in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2397/5/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della PUGLIA, depositata il 25/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 6/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott.ssa

ANTONELLA DELL’ORFANO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

l’Agenzia delle entrate propone ricorso, affidato ad unico motivo, per la cassazione della sentenza n. 2397/5/2014, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Puglia aveva accolto l’appello proposto dai contribuenti indicati in epigrafe avverso la sentenza n. 42/7/2013 della Commissione Tributaria Provinciale di Bari in rigetto del ricorso proposto avverso avvisi di rettifica e liquidazione per maggiore imposta di registro, ipotecaria e catastale, oltre a sanzioni ed interessi, annualità 2010, in relazione al maggior valore attribuito dall’Ufficio finanziario ad un terreno acquistato dalla società Costruzioni Bi. S.r.l., da B.M.C., C.A. ed Ca.An.Ri.;

i contribuenti resistono con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1.1. sono infondate le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dai controricorrenti;

1.2. in primo luogo si osserva che il ricorso è ammissibile in quanto contenente istanza di allegazione ex art. 369 c.p.c. degli atti su cui si fonda;

1.3. in tema di giudizio per cassazione, per i ricorsi avverso le sentenze delle commissioni tributarie, l’indisponibilità dei fascicoli delle parti (i quali, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 25, comma 2, restano acquisiti al fascicolo d’ufficio e sono restituiti solo al termine del processo) comporta, infatti, la conseguenza che la parte ricorrente non è onerata, a pena di improcedibilità ed ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, della produzione del proprio fascicolo e per esso di copia autentica degli atti e documenti ivi contenuti, poichè detto fascicolo è già acquisito a quello d’ufficio di cui abbia domandato la trasmissione alla S.C. ex art. 369 c.p.c., comma 3, a meno che la predetta parte non abbia irritualmente ottenuto la restituzione del fascicolo di parte dalla segreteria della commissione tributaria, circostanza che non ricorre nel caso di specie, e neppure è tenuta, per la stessa ragione, alla produzione di copia degli atti e dei documenti su cui il ricorso si fonda e che siano in ipotesi contenuti nel fascicolo della controparte (cfr. Cass. nn. 28695/2017);

1.4. il ricorso inoltre risulta anche autosufficiente non essendo necessaria (ai fini per cui è causa) la trascrizione integrale degli atti difensivi di controparte ed inoltre, a differenza di quanto si sostiene nel controricorso la sentenza è stata sottoposta a specifica impugnazione nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, avendo la parte ricorrente corredato l’atto degli elementi essenziali, descrittivi tanto della vicenda fattuale, quanto della vicenda processuale (pagg. 1-6 del ricorso), volti a riassumere ed illustrare le ragioni ed i presupposti della pretesa tributaria e le difese svolte nel giudizio di primo e di secondo grado, con la conseguenza che il ricorso per cassazione si palesa adeguato a consentire alla Corte di comprendere le censure prospettate fornendo una conoscenza del “fatto”, sostanziale e processuale, sufficiente per intendere correttamente il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia oggetto di impugnazione, oggetto dei motivi di ricorso di seguito illustrati;

1.5. va rigettata anche l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dalla parte controricorrente con riguardo all’art. 360 bis c.p.c., n. 1, lamentando che la sentenza impugnata aveva deciso questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte;

1.6 l’art. 360 bis c.p.c., invero, si applica soltanto laddove la giurisprudenza della Corte di Cassazione già abbia giudicato nello stesso modo della sentenza di merito la specifica fattispecie proposta dal ricorrente oppure quando il caso concreto non sia stato ancora deciso ma, tuttavia, si presti palesemente ad essere facilmente ricondotto, secondo i principi applicati da detta giurisprudenza, a casi assolutamente consimili, e comunque in base alla logica pacificamente affermata con riguardo all’esegesi di un istituto nell’ambito del quale la vicenda particolare pacificamente si iscriva;

1.7. evenienze, queste, che non ricorrono nella fattispecie in esame perchè le censure formulate, a prescindere dalla loro fondatezza, non mirano tanto a sollecitare genericamente un mutamento dell’orientamento giurisprudenziale di legittimità in tema di imposta di registro e di criteri di determinazione del valore venale del bene oggetto dell’atto impositivo impugnato, alla luce degli del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 53, quanto piuttosto a denunciare argomentatamente un contrasto tra la decisione di secondo grado e tale giurisprudenza per avere la CTR, erroneamente interpretando la portata precettiva delle richiamata disposizioni, ritenuto necessario che la rettifica di valore dell’immobile oggetto dell’atto compravendita tassato fosse supportata da una pluralità di criteri di valutazione anzichè da uno solo dei criteri previsti dalle citata disposizioni, in fattispecie caratterizzata da una precedente dichiarazione di successione, poi rettificata, e di una perizia di parte volta a dimostrare come il valore accertato dall’Ufficio ai fini dell’imposta di successione potesse considerarsi recessivo rispetto a quello ricavabile dagli altri elementi versati in atti;

2.1. con unico mezzo si censura, dunque, la sentenza denunciando, in rubrica, “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 3 e art. 52, commi 2 e 2 bis, nonchè del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 27, comma 3” lamentando, in primo luogo, la ricorrente che la CTR abbia erroneamente posto a carico dell’Ufficio l’obbligo di sostenere l’avviso di rettifica attraverso l’indicazione di più parametri, prevedendo invece l’art. 5 cit. solo parametri alternativi;

2.2. è stato più volte ribadito da questa Corte che, in tema di determinazione dell’imposta di registro, l’avviso di rettifica del valore dichiarato può fondarsi, oltre che sul parametro comparativo e su quello del reddito, anche su “altri elementi di valutazione” ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 3, ed in particolare è stato affermato che il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 3, nella parte in cui prevede che, ai fini della rettifica del valore dei beni, debba aversi riguardo ai trasferimenti a qualsiasi titolo ed alle divisioni e perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni, aventi ad oggetto i medesimi immobili o altri di analoghe caratteristiche e condizioni, non comporta l’immodificabilità del valore risultante da detti atti, ma si limita ad indicare un parametro certo di confronto in base al quale l’Ufficio deve determinare il valore del bene in comune commercio (cfr. Cass. nn. 29143/2018, 1961/2018, 963/2018, 4363/2011);

2.3. il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 51, comma 3, nel prevedere i criteri di valutazione cui può far ricorso l’Ufficio del Registro, ai fini dell’eventuale rettifica del valore degli immobili o dei diritti reali immobiliari, ha, tuttavia, come esclusivo destinatario il medesimo ufficio finanziario, al che deriva che tali criteri – fra cui il termine temporale triennale, previsto ai fini comparativi – non incidono sull’autonomo esercizio dei poteri cognitori d’ufficio, spettanti, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 7, al Giudice tributario, i quali non possono ritenersi più limitati di quelli esercitabili in qualunque processo di impugnazione di atti autoritativi e che consentono al giudice un ampio potere estimativo, anche sostitutivo della valutazione operata dall’Ufficio (cfr. Cass. n. 9770/2009);

2.4. la Commissione tributaria può quindi sostituire la propria valutazione a quella operata dall’Ufficio del Registro nell’avviso di accertamento di maggior valore, e ritenere congruo un diverso valore, determinato mediante la parziale utilizzazione, da un lato dell’accertamento dell’Ufficio, che può essere liberamente valutato, non essendo assistito da presunzione di legittimità, e dall’altro di una perizia di parte, prodotta dal contribuente per contestare la pretesa dell’amministrazione finanziaria, anch’essa liberamente apprezzabile dal Giudice di merito, atteso che ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, che assegna alle Commissioni tributarie ampi poteri istruttori, con la sola esclusione, fra le prove ammissibili, del giuramento e dell’assunzione di testimoni, i giudici tributari di merito possono acquisire aliunde, prescindendo dagli accertamenti dell’Ufficio, gli elementi di decisione, di cui compiono una valutazione autonoma rispetto all’assunto dell’Ufficio (cfr. Cass. n. 5776/2000);

2.5. se è vero dunque che ove il contribuente contesti la legittimità dell’accertamento spetta all’Amministrazione Finanziaria dimostrare la congruità del valore da essa attribuito all’immobile nell’avviso di accertamento (cfr. Cass. n. 3235/1995) e che la contestazione dell’accertamento da parte del contribuente contiene un’implicita affermazione che il bene non ha valore indicato dall’Ufficio, il quale ha pertanto l’onere di provarlo in giudizio (Cass. n. 8995/1995), è vero altresì che la constatazione che tale prova non è stata offerta dal Fisco rientra pur sempre nei poteri dei giudici tributari, i quali possono dunque addivenire ad un’estimazione in concreto del bene in contestazione (Cass. nn. 3235/1995 cit., 4565/1993), proprio a seguito del fallimento di tale prova;

2.6. a seguito dell’impugnazione giudiziaria esperita dal contribuente, l’Amministrazione finanziaria sarà tenuta a passare, dall’allegazione della propria pretesa alla prova del credito tributario vantato, fornendo la dimostrazione degli elementi costitutivi del proprio diritto, correndo il rischio della soccombenza ove la prova non sia raggiunta;

2.7. nel caso di specie, la CTR ha correttamente ritenuto che l’Ufficio finanziario non avesse fornito idonea prova circa il maggior valore attribuito dall’Ufficio al terreno in questione, avendo posto alla base dell’accertamento solo l’atto di successione presentato dai congiunti di C.P. che, come dimostrato in giudizio dai ricorrenti, risultava sbagliato “indicando, invece del valore di metà del suolo caduto in successione, il valore dell’intero”, non essendo stata valutata nè la perizia di stima giurata prodotta dai ricorrenti, nè “la successiva denuncia di successione rettificativa presentata dai contribuenti il 13 agosto 2013”;

2.8. va parimenti disattesa, peraltro, anche l’ulteriore doglianza dell’Ufficio circa la preclusione, per i contribuenti, di rettificare l’errore contenuto nella dichiarazione di successione, a seguito della notifica dell’atto impositivo;

2.9. in tema d’imposta di successione, gli errori commessi dal contribuente nella dichiarazione sono in ogni caso emendabili, sia in virtù del principio generale secondo cui la dichiarazione non ha valore confessorio e non è fonte dell’obbligazione tributaria, sia in virtù dei principi costituzionali di capacità contributiva e buona amministrazione, nonchè di collaborazione e buona fede che devono improntare i rapporti tra l’Amministrazione finanziaria ed il contribuente, ed alla correzione non osta nè l’intervenuta scadenza del termine per la presentazione della denunzia di successione, che non ha natura decadenziale, nè il D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 31, comma 3, che concerne le modifiche da apportare agli elementi oggettivi e soggettivi della dichiarazione, nè l’eventuale notifica di un avviso di liquidazione, riflettendosi tale circostanza solo sul regime dell’onere della prova in giudizio (cfr. Cass. nn. 13595/2018, 11526/2018, 229/2015);

3. sulla scorta di quanto sin qui illustrato, pertanto, il ricorso va integralmente respinto, e l’Agenzia ricorrente va condannata in favore dei controricorrenti al pagamento delle spese processuali nella misura liquidata, sulla base del valore della controversia e dell’attività difensiva spiegata, come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, se dovuti.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, il 6 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2020

 

 

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