Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26806 del 29/11/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 26806 Anno 2013
Presidente: CARNEVALE CORRADO
Relatore: MACIOCE LUIGI

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 20876 del R.G. anno 2007
proposto da:
GARGIUOLO Francesco dom.to in Roma via Gavinana 8 presso
l’Avv. Francesco Pecora con l’avv. Aldo Angelo Dolmetta che lo
rappresentano e difendono per procura a margine del ricorso
ricorrentecontro
BROGGI Renato, dom.to in Roma viale Isonzo 34 presso l’avv.
Pietro Anello con gli avvocati Stefano Taurini e Maurizio Hazan
del Foro di Milano che lo rappresentando e difendono per procura
a margine del controricorso

controricorrente

avverso la sentenza 27 del 10.01.2007 della Corte di Appello
di Milano ; udita la relazione della causa svolta nella p.u. del
18.10.2013 dal Cons. Luigi MACIOCE; uditi gli avvocati F.Pecora
per il ricorrente e G.Amoruso (in sost.) per il contro ricorrente;
presente il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen.Dott. Giuseppe
Corasaniti che ha chiesto l’inammissibilità o il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Data pubblicazione: 29/11/2013

Tra il dr Francesco GARGIUOLO , chimico industriale consulente
nella attività di produzione di cefalospirine e penicilline sintetiche
ed il dr. Renato BROGGI, anch’egli consulente nella chimica industriale e azionista della s.p.a. DOBFAR, intercorsero intese per le
quali il Gargiuolo avrebbe dovuto collaborare nelle attività di consulenza del Broggi verso la prospettiva di ottenere la cessione del
12,5% delle azioni DOBFAR detenute da Broggi e questi avrebbe

ze prestate a terzi.
La collaborazione, che ebbe iniziali attuazioni, e che avrebbe dovuto essere regolata da un accordo le cui clausole era stato convenuto dovessero essere redatte da un professionista legale, ebbe
ad interrompersi e dopo alcuni anni ebbe ad insorgere controversia tra le parti.
Segnatamente, il Gargiuolo con atto del 16.2.2000 convenne innanzi al Tribunale di Milano il Broggi affermando di aver corrisposto ingenti somme quale quota dei compensi pattuita e di non aver avuto la convenuta intestazione delle azioni, e pertanto chiedendo la condanna del convenuto al pagamento della somma di C
422.000 quale saldo dei compensi da lui indebitamente ricevuti. Si
costituì il Broggi, negando essere intervenuta alcuna convenzione
di cessione di azioni e contestando di aver ricevuto le somme prospettate.
Il Tribunale con sentenza 21.02.2004 ha quindi rigettato le domande del Gargiuolo.
La Corte di Appello di Milano con sentenza 10.01.2007 ha rigettato l’appello proposto dal Gargiuolo e, dopo aver sintetizzato le ragioni poste dal Tribunale a base della decisione di rigetto nonché
le doglianze mosse dall’appellante Gargiuolo, ha premesso sul piano del processo che non era ammissibile ex art. 345 c. 3 c.p.c.
la produzione in appello dei documenti nuovi stante la loro formazione successiva alla maturazione delle preclusioni in primo grado
e la loro irrilevanza sul piano probatorio, che del pari era preclusa
per tardività la mera riproposizione di capitoli di prova non ammessi in primo grado.

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ricevuto dal Gargiuolo il 50% dei compensi percepiti per consulen-

Venendo al merito la Corte ha quindi statuito:

1. che l’azione proposta era da qualificarsi come azione di
ripetizione di indebito delle somme erogate a titolo della
prevista compartecipazione ai compensi percepiti dal
Gargiuolo e che, in detta ricostruzione, l’inadempimento
del Broggi alla sinallagmatica obbligazione di cessione
delle azioni DOBFAR, secondo la prospettazione, avrebbe

2. che in questa ricostruzione ben poteva ricomprendersi la
scelta di esperire azione di risoluzione per grave inadempimento del Broggi all’obbligo di stipulare la cessione delle azioni, che del resto il Broggi si era difeso su tutti i
profili e pertanto ben era possibile ricostruire la domanda
negli esposti termini, che, però, per ritenere che la mancata cessione costituisse ragione di risoluzione per inadempimento della collaborazione che era comunque intercorsa (e quindi per ritenere fondata la domanda di ripetizione), si sarebbe dovuto allegare e comprovare un
collegamento causale tra i due negozi, voluto dalle parti
in termini di deduzione del ruolo attuativo dell’un contratto (la cessione di azioni) rispetto alle obbligazioni scaturenti dall’altro (la collaborazione), che se era quindi da
considerarsi ragionevole la prospettazione astratta del
collegamento negoziale era affatto indimostrata la sua
realizzazione, che infatti la deposizione dell’avv. Molinari
avvalorava la predisposizione, su incarico comune, di due
bozze di contratto (compravendita di azioni ed associazione in partecipazione), bozze peraltro andate disperse,
ma nulla diceva in termini di loro collegamento funzionale
(e non solo cronologico) anzi emergendo la decisiva circostanza che il Broggi aveva detto al Molinari di non essere più intenzionato alla sottoscrizione dei testi,

3. che pertanto poteva integrarsi al più la non dedotta responsabilità precontrattuale del Broggi stesso, neanche
potendosi ipotizzare l’inadempimento ad un contratto

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reso sine titulo le corresponsioni stesse,

strumentale, preliminare o di opzione, mai stipulato,

4. che, pervero, quand’anche fosse comprovata la stipula di
accordi colleganti la partecipazione alla consulenza alla
cessione delle azioni, il chè non era, nondimeno la risoluzione per inadempimento della associazione in partecipazione non poteva estendere i suoi effetti alle prestazioni
eseguite e che avevano visto (nelle consulenze prestate a

ca, Antibioticos di Leon) il Broggi presumibilmente fornire
il suo apporto determinante ed in misura pari a quello del
Gargiuolo,

5. che per altro verso neanche fondata era la ipotesi che si
basava sul riconoscimento di debito del Broggi verso il
Gargiuolo per oltre € 400.000 e ciò per duplice ordine di
considerazioni: A)

in primo luogo le deposizioni dei testi

(sulla ammissione del debito in un colloquio del 1982 e
sulla sua solo parziale so/utio in un incontro del 1987)
non erano idonee a dare elementi certi ed univoci sulla
esistenza del credito restitutorio, B) in secondo luogo in
primo grado l’attore non aveva prospettato l’episodio del
1982 come fonte di ricognizione ex art. 1988 c.c. e quindi
come fonte di propria relevatio ab onere probandi ma
come prova del credito restitutorio , C) in terzo luogo, in
appello la proposizione di tale azione sarebbe stata comunque inammissibile per novità della domanda, D) in
quarto luogo, e il dato era decisivo, il beneficio di cui
all’art. 1988 c.c. era certamente rinunziabile le volte in
cui fosse stato dal beneficiario della relevatio offerto di
dare la prova del rapporto sottostante, esattamente come
avvenuto nella specie posto che il Gargiuolo aveva addotto a causa petendi della domanda l’obbligazione restitutoria da inadempimento contrattuale e si era offerto di
darne la prova (con esito insoddisfacente, alla stregua di
quanto notato, e con la conseguenza di affermare la irrilevanza delle altre argomentazioni sul preteso scambio di

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ISF di Roma, CIPAN di Lisbona, Industria di Stato Polac-

azioni e delle ulteriori istanze istruttorie).
Per la cassazione di tale sentenza, notificata il 24.5.2007, il
Gargiuolo ha proposto ricorso il 23.07.2007 articolando otto
motivi, ai quali ha opposto difese il Broggi con controricorso del
17.10.2007.
I difensori hanno discusso oralmente alla fissata udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE

congruità argomentativa dei passaggi attraverso i quali la sentenza impugnata ha dato ragione della sua valutazione di infondatezza dell’appello. La motivazione, infatti, si è dispiegata seguendo la linea di tre argomenti gradatamente adottati a confutazione della proposta azione di ripetizione di indebito, in esito
alla richiesta risoluzione o alla auspicata ricognizione di debito e
tali argomenti ha – come sopra sintetizzato – compiutamente
esposto. Le censure, articolate negli otto motivi, sono puntuali e
complete ma, a criterio del Collegio, sono inammissibili o non
sono condivisibili.
Il primo motivo, afferente la statuizione sopra sintetizzata
sub. 2, denunzia la omessa o insufficiente o contraddittoria motivazione sul punto della pretesa esistenza del collegamento negoziale (che si afferma in sentenza non provato) tra i due contratti. Il motivo evidenzia che sarebbe stata ignorata la realtà di
un solo rapporto unitario tra le parti tra il 1979 ed il 1981, come
sostenuto in causa ed ammesso dallo stesso Broggi.
La censura è totalmente inammissibile posto che, da un canto /
ignora il passaggio nel quale (sopra sub. 3 e sentenza punto 8
pag. 17) la Corte ipotizza – per poi escluderla in fatto – la esistenza di un solo contratto “preliminare” ma unitario e, dall’altro
canto, si applica a dispiegare mere espressioni di dissenso sulla
ricostruzione-interpretazione data dei fatti e degli atti in sentenza, omettendo di censurarne i singoli passaggi e finendo per articolare una sintesi conclusiva (punto 7.4 pag. 13 ricorso) che attesta la totale irrilevanza della tesi perseguita. Che infatti vi fosse un contratto unico e non due contratti “collegati” non rileva se

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I motivi del ricorso tendono a contestare la legittimità o la

non a condizione che sia stata accertata la esistenza del sinallagma (interno all’unico accordo originario). E la sintesi conclusiva ex art. 366 bis c.p.c. avrebbe dovuto evidenziare il punto
od i punti di fatto – omessi o mal interpretati – che attestavano
tale esistenza, nel mentre essa si limita a ripetere in sintesi quella che era ed è la tesi del Gargiuolo.
Il secondo motivo censura come vizio di motivazione il

negare efficacia alla auspicata risoluzione per inadempimento,
ha affermato la irretroattività della risoluzione della collaborazione con riguardo alle prestazioni già eseguite; e ciò, sostiene il
motivo, supponendo, senza indicarne la consistenza, che anche il
Broggi avesse effettuato prestazioni di collaborazione “associata”
con Gargiuolo e che pertanto avesse comunque dato corso ad
attività personali.
Anche tale motivo è radicalmente inammissibile. La doglianza,
espressa in termini di imprecisato vizio di motivazione – e funzionale alla proposizione di denunzia di falsa applicazione dell’art.
1458 c. 1 c.c. (richiamato dalla sentenza a pag. 17), come fatto
nel motivo terzo – si sostanzia nella contestazione del fatto che
la sentenza avrebbe arbitrariamente ritenuto che vi fossero state
prestazioni continuative e periodiche da parte del Broggi in un
quadro di fatto che non autorizzava tale conclusione (quello richiamato a pag. 18). Ebbene, è certo corretto aver scelto di dedurre il vizio di omessa argomentazione sulle pretese prestazioni
negli affari a pag. 18 indicati, dato che tale scelta è funzionale
alla possibilità di prospettare l’errore denunziato nel motivo terzo (infatti, solo affermando la inconsistenza della ipotesi della
“collaborazione” potrebbe avere rilievo l’errore di diritto di cui al
motivo che segue). Sol che tale vizio avrebbe dovuto essere riportato in sintesi conclusiva in calce al motivo, come imposto
dall’art. 366 bis c.p.c. alla specie applicabile (Cass.

12248 del

2013, 24255 del 2011 e 27860 del 2009). Ma tal onere non
è stato adempiuto.
Nel terzo motivo dunque si affronta il tema della qualifi-

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passaggio della sentenza (sopra sub 4) che, nella prospettiva di

cazione delle prestazioni del Broggi affermando che esse si sarebbero esaurite nella sola prevista futura cessione azionaria
salva la prestazione di sporadici ausili tecnici accessori e comunque si nega ingresso alla tesi fatta propria dalla Corte di
merito del contratto periodico o ad esecuzione continuativa, tipologia contrattuale al quale la specie non si sarebbe mai potuta ricondurre: e di qui il motivo denunzia la conseguente falsa appli-

Il motivo non ha fondamento. Certamente l’ipotesi qualificatoria
pur avanzata dalla Corte di merito di “associazione in partecipazione” non tollera la riconduzione a rapporto di durata od a contratto ad esecuzione continuata e quindi è sul punto errata in diritto la statuizione. Si ricorda al proposito la pronunzia di Cass.
22521 del 2011 per la quale il principio espresso dall’art. 1458,
c.1 c.c. riguarda i contratti ad esecuzione continuata o periodica,
cioè solo quelli in cui le obbligazioni di durata sorgono per entrambe le parti e l’intera esecuzione del contratto avviene attraverso coppie di prestazioni da realizzarsi contestualmente nel
tempo, sicchè ad essi non può ricondursi il contratto di associazione in partecipazione ex art. 2549 c.c., con il quale l’associante
attribuisce all’associato, come corrispettivo di un determinato
apporto unitario, una partecipazione agli utili della sua impresa o
di uno o più affari, posto che, a differenza del contratto di società, viene in rilievo un negozio bilaterale che crea un singolo
scambio fra l’apporto e detta partecipazione. Ma i se tal principio
è stato in sentenza, e coffle denunzia il motivo, affatto ignorato,
resta il fatto che la sentenza ha avanzato l’alternativa ipotesi
della possibile stipula di un contratto di collaborazione, fonte di
rapporto certamente continuativo. Ebbene la contestazione viene
nel motivo mossa non già alla pretesa applicazione a tal rapporto
dell’art. 1458 c. 1 c.c. ma alla “inverosimiglianza” di un rapporto
di consulenza a prestazioni solo “eventuali”. E’ al proposito significativo il quesito di diritto posto a pagg. 17 e 18 che accede ad
un motivo che manca del tutto di articolare denunzia di violazione dei canoni ermeneutici ex art. 1362 e segg. c.c. nella qualifi-

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cazione dell’art. 1458 c. 1

cazione del rapporto. In sostanza, se la tesi del ricorrente è
quella della erronea applicazione del regime della risoluzione ex

nunc ad un rapporto che non era definibile come frutto di contratto ad esecuzione continuativa, compito della censura sarebbe
stato quello di contestare la violazione dei parametri interpretativi e dei canoni di logica nella lettura dei fatti e non già quello di
affacciare meri dubbi di verosimiglianza della operazione erme-

proposta da esso ricorrente (un solo scambio tra cessione azionaria e compartecipazione ai compensi per consulenze).
Nel quarto motivo si affronta la questione trattata in sentenza ed afferente la prova dell’atto negoziale della ricognizione
di debito (e sopra riportata sub 5-A), prova che la sentenza ha
motivatamente escluso essere stata acquisita (sentenza pag.
19). Ebbene, il motivo si limita ad una illustrazione critica della
valutazione della sentenza ma non si fa carico di contestare, come illogiche o contraddittore, le argomentazioni spese per valutare le deposizioni rese sugli episodi del 1982 e del 1987. Esso pertanto – devesi considerare inammissibile.
Il quinto motivo contesta la decisione della Corte di Milano
nella parte in cui (sopra sub. 5

B e C) ha rilevato che,

quand’anche vi fosse stata in fatto la ricognizione, essa non sarebbe stata fatta segno a formulazione di conseguente domanda
iniziale né ad ammissibile modificazione del petitum in appello. Il
motivo è inammissibile sia perchè, una volta respinta la censura
sulla prima autonoma ratio della sentenza (quella per la quale
non vi è prova alcuna dell’atto di ricognizione di debito) non
sussiste alcun interesse a contestare la seconda ratio (quella per
la quale domanda di ricognizione non era stata proposta né in
primo grado né, ammissibilmente, in appello) sia perché la critica che si formula alla valutazione di inesistenza di una domanda
(vedi pag. 20) è espressa in termini di mero dissenso senza indicare in modo autosufficiente luogo e sintesi delle proprie pretese
negli atti di causa che avrebbero dovuto essere diversamente interpretate.

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neutica condotta in sentenza a fronte della realtà fenomenica

Il sesto e settimo motivo – attingenti la questione sopra
sintetizzata in 5 D – contestano la decisione della Corte di merito di ritenere, conformemente ad una giurisprudenza di legittimità (che viene criticata), implicitamente rinunziata la condizione
di relevatio ab onere probandi. La censura, che si esamina solo
per completezza posto che la reiezione delle critiche alla prima
ratio decidendi (quella afferente la mancanza assoluta di prove

fatto fondata. La sentenza ha fatto corretto applicaizone dei
principii posti da questa Corte (da ultimo in Cass. 7787 e 8891
del 2010) per i quali la rinunzia implicita è ipotesi certamente
ammessa le volte in cui si articoli prova a sostegno della sussistenza del rapporto sottostante: esattamente in tali termini ha
opinato la sentenza (a pag. 21) sì chè la censura non ha fomndamento alcuno.
L’ottavo motivo contesta, infine, che tale rinunzia implicita
al beneficio della inversione da ricognizione di debito sia stata
delibata ex officio: la censura – in sé inammissibile stante la più
volte ripetuta capacità assorbente della prima ratio decidendi – è
pervero affatto inconsistente, non scorgendosi per quale ragione
il giudice, cui si chiede di trarre le conseguenze della asserita ricognizione di debito, non possa valutare la domanda quale proposta e ritenerla contenente rinunzia implicita agli effetti della ricognizione e quindi escludere che quella domanda possa portare
agli effetti divisati.
Il ricorso, per le ragioni esposte, va dunque respinto, con
la conseguente condanna del ricorrente alla refusione delle spese
in favore del controricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente Gargiuolo a pagare al
controricorrente Broggi per spese di giudizio la somma di C
8.200 (di cui C 200 per esborsi ed C 8.000 per compensi) oltre
IVA e CPA.
Così

ciso nella c.d.c. del 18.10.2013.

Il C s.est. ,

il

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sidente

della detta ricognizione) appare ut supra assorbente, non è af-

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