Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26805 del 25/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 25/11/2020, (ud. 23/09/2020, dep. 25/11/2020), n.26805

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11289/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello

Stato e presso i cui uffici domicilia in Roma, alla Via dei

Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Co. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, giusta procura a

margine del ricorso, dall’Avv. Francesco Moschetti e dall’Avv.

Francesco d’Ayale Valva, elettivamente domiciliata presso lo studio

del secondo, in Roma, Viale Parioli n. 43;

– controricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Veneto, n. 71/7/2013, depositata il 23 ottobre 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 settembre

2020 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1.L’Agenzia delle entrate, a seguito di due processi verbali, uno del 17-11-2005 ed un altro del 28 maggio 2009, emetteva due avvisi di accertamento per gli anni 2004 e 2005, ai fini Ires ed Irap nei confronti della Contarina s.p.a., in relazione alla individuazione dei coefficienti di ammortamento dell’impianto di trattamento di rifiuti solidi urbani realizzato, con finanziamenti pubblici, a Lovadina di Spresiano. In particolare, la società aveva contabilizzato un ammortamento nella misura del 10% sia per i macchinari dell’impianto sia per le opere edili del medesimo impianto, considerando il tutto come un unicum inscindibile, per il rapporto di stretta connessione e di funzionalità tra le varie parti dell’unitario impianto. Al contrario l’Agenzia ha ritenuto che mentre per i macchinari era corretta l’applicazione dell’indice di ammortamento nella misura del 10%, per le opere edili, che non erano soggette ad un grado di usura paragonabile a quella che interessava i macchinari, doveva applicarsi il coefficiente del 3%. Inoltre, l’Ufficio accertava che il terreno su cui era sorta la struttura non era ammortizzabile, in quanto la sua utilità non poteva esaurirsi nel corso del tempo, non essendo soggetto a deperimento fisico. Nel corso del procedimento di accertamento con adesione venivano prodotti un parere pro veritate del Prof. L.R. ed una consulenza tecnica di parte, sulle caratteristiche tecnico-funzionali dell’impianto di smaltimento dei rifiuti, delle strutture edilizie e delle aree scoperte pertinenziali, redatta dall’Ing. D.S., per dimostrare che la procedura di ammortamento doveva riguardare unitariamente sia i macchinari che l’immobile, individuato come “fabbricato-impianto”, quindi con la medesima percentuale del 10%.

2. La Commissione tributaria provinciale di Treviso, con sentenza n. 111/8/2010, accoglieva il ricorso, rilevando che l’impianto di smaltimento dei rifiuti non poteva essere distinto tra opere murarie (i capannoni) e le macchine collocate all’interno degli stessi. Tali capannoni non erano abilitati a qualsiasi uso industriale, ma erano strutture concepite e realizzate in funzione dei macchinari. Non era, poi, possibile una conversione di utilizzo se non modificando integralmente le strutture murarie.

3. Avverso tale sentenza proponeva appello principale l’Ufficio, sia per motivazione inesistente della decisione di prime cure, sia per avere riconosciuto come legittima la percentuale del 10% dell’aliquota di ammortamento all’intero impianto di smaltimento, senza distinguere tra la percentuale del 10% applicabile ai macchinari e quella del 3% riferibile ai capannoni.

4. Proponeva appello incidentale la società affermando l’inammissibilità dell’appello principale, sia per omesso deposito della ricevuta di spedizione della raccomandata a mezzo del servizio postale ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, comma 1, e art. 53, comma 2, sia perchè proposto dopo la scadenza del termine di impugnazione di sei mesi ex art. 327 c.p.c. Inoltre, con l’appello incidentale venivano riproposti i motivi rimasti assorbiti nella sentenza di primo grado (l’attività istruttoria era stata autorizzata solo nel 2006, quindi successivamente alle annualità in esame – 2004 e 2005 -; potere di controllo esercitato per ben sei annualità; particolare incidenza dell’accertamento sulla parità di concorrenza; difetto di motivazione degli avvisi; il terreno da ammortizzare costituiva una un’area servente l’impianto e, quindi, di pertinenza dell’intero complesso immobiliare).

5. La Commissione tributaria regionale del Veneto, con sentenza n. 71/72013, depositata il 23 ottobre 2013, rigettava tutte le questioni preliminari sollevate dalla società in relazione alla pretesa inammissibilità dell’appello, sia per omesso deposito della ricevuta di spedizione, sia per tardività, stante il principio del raggiungimento dello scopo. Nel merito, rigettava l’appello principale dell’Ufficio, affermando la indivisibilità tra opere murarie e di impianto di smaltimento rifiuti e confermando quindi l’applicazione della aliquota di ammortamento nella misura del 10%, sia per i capannoni che per i macchinari. Inoltre, l’area di mq. 4.781 doveva essere ritenuta quale area pertinenziale servente l’impianto.

6. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate. 7.Resiste con controricorso la società.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce la “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 102, commi 1 e 2 e del D.M. 21 dicembre 1988; nonchè dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto il giudice di appello ha erroneamente applicato lo stesso coefficiente di ammortamento (nella misura del 10 %), sia per il capannone che per i macchinari, mentre il D.M. n. 31 dicembre 1998, al Gruppo XXII, Servizi alla persona e domestici, Specie II, nella parte dedicata alle imprese di smaltimento dei rifiuti, fissa per gli edifici l’aliquota di ammortamento del 3%, mentre solo per gli “impianti specifici di utilizzazione” era del 10%. Il concetto di unitarietà dell’impianto, allora, non ha alcuna valenza tributaria. L’indicazione del legislatore è, allora, specifica, in quanto diretta a regolare proprio la materia degli impianti di smaltimento rifiuti e distinguendo tra edifici ed impianti. Deve porsi riguardo, quindi, non al concetto di unitarietà degli impianti di smaltimento, che è innegabile, ma al grado di “usura” del bene, considerando la residua vita del bene. L’individuazione della specifica aliquota di ammortamento dipende esclusivamente dal grado di deperimento fisico del bene, la cui prova grava sulla contribuente, che però non ha provveduto a fornire alcuna dimostrazione al riguardo. Il giudice di appello non ha rilevato che la società non ha fornito la prova che le opere edili erano soggette ad un grado di usura eccezionale rispetto al normale, per il solo fatto della loro connessione funzionale con i macchinari adibiti al trattamento dei rifiuti.

1.1. Il motivo è infondato.

1.2.Invero, la motivazione della sentenza di appello, pur nella sua sintesi, dà atto dello stretto collegamento funzionale tra le opere murarie e l’impianto di smaltimento dei rifiuti, condividendo quanto affermato dai giudici di prime cure in ordine alla “indivisibilità” dell’intero impianto e “confermando la percentuale dell’aliquota di ammortamento esposta dalla Co s.p.a..”.

Tuttavia, scorrendo l’intera motivazione si osserva che il giudice di appello era chiamato a decidere se la società avesse correttamente contabilizzato l’ammortamento dell’intero impianto di smaltimento rifiuti individuando una percentuale di ammortamento unica, pari al 10%, sia per gli impianti di smaltimento rifiuti che per le costruzioni edilizie. L’Agenzia delle entrate, infatti, aveva fondato la ripresa a tassazione ritenendo che le costruzioni edili non potessero beneficiare della aliquota del 10%, ma del 3%, in ragione del maggiore tempo di durata della vita dei beni.

In particolare, in motivazione si fa espresso riferimento, non solo al parere pro veritate redatto dal Prof. L.R., ma soprattutto alla relazione tecnica di parte stilata dall’Ing. D.S., sulle caratteristiche tecniche dell’impianto e sulla peculiare degradabilità delle stesse costruzioni edili per il loro particolare utilizzo nell’ambito del procedimento di smaltimento dei rifiuti. Inoltre, si evidenziava nell’elaborato scritto che, al termine del periodo di utilizzo, le opere edili non avrebbero potuto avere diversa utilizzazione, sicchè sarebbe stato più economico il suo abbattimento (cfr. sentenza di appello “dalla perizia asseverata risultava chiara l’assenza di fungibilità dell’immobile non idoneo ad utilizzo indifferenziati a destinazione alternativa propria dei fabbricati, la struttura non poteva avere alcun utilizzo diverso e sarebbe stato più economico un suo abbattimento ed una successiva ricostruzione”).

Si è anche chiarito, nella decisione di appello, che “il carattere unitario del compendio immobiliare si appalesa dal fatto che è stato programmato, progettato e costruito in tale modo, che le caratteristiche tecniche, poste in luce dalla perizia, hanno evidenziato che si tratta di un bene tecnologicamente complesso che presenta un elevato grado di automazione tale da rendere impossibile una conversione della struttura ad altra utilizzazione”.

La decisione del giudice di secondo grado è conforme al disposto del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 102, come pure al rispetto del principio di ripartizione dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., non avendo l’Agenzia censurato il vizio di motivazione, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella versione successiva al D.L. n. 83 del 2012, che è applicabile alle sentenze, comè quella in esame, depositate a decorrere dall’11 settembre 2012.

Infatti, come si evidenzierà più avanti, la contribuente ha fornito la prova del più intenso grado di deteriorabilità delle costruzioni connesse agli impianti di smaltimento dei rifiuti.

1.3. Deve premettersi che l’ammortamento è il processo tecnico contabile attraverso il quale si ripartisce nei vari esercizi l’onere del deperimento e del consumo relativo alla utilizzazione di beni strumentali, a “fecondità ripetuta” (che non esauriscono la loro utilità in un solo esercizio e quindi partecipano al processo produttivo aziendale in più esercizi), i cui costi vengono ripartiti in quote pluriennali. Per questa Corte, con riferimento al reddito di impresa e con riguardo ai presupposti per l’ammortamento, ha ritenuto che esso può effettuarsi con beni suscettibili di deperimento e consumo dopo un certo numero di anni, sì da essere sostituiti quando non risultino più funzionali allo scopo per il quale sono stati acquistati (Cass., sez. 5, 24 maggio 2013, n. 12924). Infatti, dal reddito di impresa sono deducibili le quote di ammortamento dei beni utilizzati per un limitato periodi di tempo, perchè soggetti a logorio fisico o economico, tant’è che la disciplina fiscale, dei diversi coefficienti di ammortamento tiene espressamente conto dell’effettivo tasso di usura al quale sono soggetti i beni strumentali in relazione all’impiego cui essi vengono singolarmente destinati (Cass., n. 22021/06; Cass., n. 1404/2013).

1.4. Tali coefficienti, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 2, sono stabiliti per classi omogenee di beni, in base al normale periodo di deperimento e consumo nei vari settori produttivi. Pertanto, le quote annue di ammortamento calcolate in base ad essi risultano più alte, se il bene (come un apparecchio meccanico) ha un tasso di deperimento più rapido rispetto ad altri (come i beni immobili).

1.5. Nel corso degli anni la giurisprudenza di questa Corte si è sviluppata nel senso di considerare con maggiore attenzione la possibilità di ammortamento dei beni, estendendone l’orizzonte.

1.6. La prima pronuncia sul tema attiene all’ammortamento degli impianti di aria condizionata. Si è ritenuto che la più intensa utilizzazione delle strutture aziendali, certamente conseguente ai doppi turni di lavorazione, non è, di per sè, idonea a giustificare le maggiori quote dell’ammortamento “accelerato”, in difetto di prova, gravante sul contribuente, a mezzo di idonea documentazione, che l’intensità di utilizzazione dei beni è superiore “a quella normale del settore”, secondo la prescrizione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 3, (Cass., sez. 5, 13 ottobre 2006, n. 22034).

Pertanto, è ben possibile per il contribuente fornire la prova. della più intesa utilizzazione delle strutture aziendali, in modo da applicare un coefficiente di ammortamento più elevato. In genere, infatti, le quote annue di ammortamento calcolate in base ai coefficienti risultano più alte, se il bene (come un apparecchio meccanico) ha un tasso di deperimento più rapido rispetto ad altri (come i beni immobili). Se l’Ufficio ritiene applicabile un coefficiente più basso per l’immobile, cui inerisce l’impianto di condizionamento, grava sul contribuente l’onere di provare la maggiore intensità di utilizzo del bene e, quindi, la maggiore deteriorabilità nel tempo.

1.7. Successivamente questa Corte si è pronunciata sulle costruzioni inerenti gli impianti di distribuzione di carburante, e si è ritenuto che, ai sensi del D.M. n. 2112 del 1998, emesso in base al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 2, (ora D.P.R. n. 917 del 1986, art. 102), le costruzioni esistenti negli impianti stradali di distribuzione dei carburanti non sono riconducibili alla categoria “Oleodotti-Serbatoi-Impianti stradali di distribuzione”, per la quale la tabella dedicata al “Gruppo IX – Industrie . Manifatturiere Chimiche – Specie 2 – raffinerie di petrolio, produzione e distribuzione di benzina e petroli per usi vai, di oli lubrificanti e residuati, produzione e distribuzione di gas di petrolio liquefatto” prevede un coefficiente di ammortamento del 12,5%, ma a quella “Fabbricati destinati all’industria”, per cui la medesima tabella prevede un coefficiente del 5,5% (Cass., sez. 5, 11 aprile 2008, n. 9497; poi anche Cass., sez. 5, 24 maggio 2013, n. 12924). La medesima decisione (Cass., 9497/2008) ha affermato la impossibilità di ammortamento per i terreni, ma poi è stata superata dalla pronuncia a sezioni unite di questa Corte (Cass., sez. un., 26 aprile 2017, n. 10225).

1.8. V’è stata poi la decisione a sezioni unite di questa Corte, sopra citata, che ha chiarito i termini della questione, soprattutto in relazione all’ammortamento dei terreni su cui insiste un impianto di distribuzione di carburante. Si è chiarito che, ai sensi dell’art. 2426 c.c., comma 1, “il costo delle immobilizzazioni, materiali e immateriali, la cui utilizzazione è limitata nel tempo deve essere sistematicamente ammortizzato in ogni esercizio in relazione con la loro residua possibilità di utilizzazione”. Pertanto, ai fini dell’ammortamento di un bene rileva la limitazione nel tempo della proficua “utilizzazione” produttiva del bene, non la durata della sua fisica esistenza. Ciò che rileva è l’utilità economica secondo un piano produttivo, cioè la durata della “vita utile” del bene strumentale, che va intesa come periodo di tempo nel quale ci si attende che il bene sia utilizzato produttivamente. Pertanto, l’ammortamento consiste nella ripartizione per competenza (con metodo sistematico e razionale) del costo di acquisizione di beni con riferimento alla loro “vita utile”, negli anni in cui la loro utilità funzionale ed economica si connette al processo produttivo dell’impresa partecipando al risultato dei singoli esercizi, in rapporto al deperimento fisico o tecnologico o economico di essi “in relazione con la loro residua possibilità di utilizzazione”. Il deperimento che va considerato è quello indotto dall’impiego produttivo del bene strumentale di durata pluriennale, quindi dall’utilizzo stimato del potenziale apporto fornito all’attività di impresa. Si è, quindi, chiarito che il valore da ammortizzare va individuato nella differenza tra il valore dell’immobilizzazione ed il suo presumibile valore residuo al termine del periodo di “vita utile” e corrisponde al valore il cui ammortamento negli esercizi futuri troverà, secondo una ragionevole prognosi, adeguata copertura con i ricavi correlati all’utilizzo del bene.

Alla vita utile del bene fanno riferimento non solo il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 102 bis, comma 2 (introdotto dalla L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 325), relativo all’ammortamento dei beni materiali strumentali per l’esercizio di alcune attività regolate, ma anche la L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 239, relativo ai beni costituenti giacimenti, sia pure in zone di mare.

Per il principio di “derivazione” del bilancio tributario dal bilancio civilistico di cui al D.P.R. n. 917 del 9186, art. 83, poi, in difetto di specifiche diverse disposizioni, valgono anche per l’ordinamento fiscale le disposizioni civilistiche in tema di redazione del bilancio, compresi i principi contabili nazionali ed internazionali. 1.9.11 paragrafo 58 dello Ias prevede che “i terreni e gli edifici sono beni separabili e sono contabilizzati separatamente, anche quando vengono acquistati congiuntamente”. Si precisa poi che “con qualche eccezione, come cave e siti utilizzati per discariche, i terreni hanno una vita utile limitata e quindi non vengono ammortizzati”. Gli edifici, invece, “hanno una vita utile limitata e perciò sono attività ammortizzabili”.

Al paragrafo 59, poi, si chiarisce che “se il costo del terreno include i costi di smantellamento, rimozione e ripristino, la parte relativa al ripristino del terreno è ammortizzata durante il periodo in cui si ottengono i benefici derivanti dal sostenere i costi. In alcuni casi, il terreno stesso può avere una vita utile limitata, nel quale caso questo è ammortizzato in modo da riflettere i benefici che ne derivano”.

1.10. In linea generale, poi, nel Gruppo XXII (Servizi igienici alla persona e domestici), Specie II, del D.M. 21 dicembre 1998, dedicata alle “imprese di smaltimento dei rifiuti”, la aliquota destinata agli “edifici” è del 3%, confidando in una maggiore “vita utile” degli stessi, mentre quella dei macchinari è del 10% (impianti specifici di utilizzazione), in ragione della più facile deperibiltà degli stessi e della loro minore “vita utile”.

1.11. Pertanto, alla stregua dei principi sopra enunciati, emerge la correttezza della decisione di appello, in quanto affermando che la aliquota di ammortamento era la medesima (10%) per i macchinari (impianti) e per gli edifici, ha giustificato tale asserzione con la “indivisibilità” tra opere murarie e di impianto di smaltimento rifiuti, sotto il profilo del medesimo grado di deperibilità della “vita utile” di entrambe le categorie di beni nel corso degli anni, anche tenendo conto della impossibilità di una “conversione della struttura ad altra utilizzazione”, e soprattutto richiamando i risultati della consulenza di parte redatta dall’Ing. D.. Si evidenzia in motivazione, infatti, che “la parte muraria degli impianti” era a sostegno degli impianti di smaltimento dei rifiuti “e non poteva avere altro utilizzo autonomo perchè concepita e costruita in funzione del sostegno alle parti meccaniche dell’impianto”, con la precisazione che, proprio per tale infungibilità dell’immobile “sarebbe stato più economico un suo abbattimento ed una successiva ricostruzione”. Anche il giudice di prime cure, la cui motivazione è stata trascritta nel corpo della sentenza di appello, aveva ritenuto che “non pare possibile una conversione di utilizzo se non modificando integralmente le strutture murarie”. Si tratta, insomma, di un bene “tecnologicamente complesso che presenta un elevato grado di automazione tale da rendere impossibile una conversione della struttura ad altra utilizzazione”.

Inoltre, nel controricorso della società si riportano le argomentazioni del perito di parte il quale ha ritenuto che “la parte edilizia di cui si compone l’impianto fosse stata progettata e realizzata, formando un unicum con la parte prettamente e strettamente impiantistica, intesa come macchinari e/o sottoservizi tecnologici” (cfr pagina 13 del controricorso).

Nel contratto di appalto, infatti, i cui stralci sono riportati nel controricorso, vengono descritte le caratteristiche tecniche delle opere, con l’edificazione di una struttura del tutto priva di finestre e con locali a tenuta stagna per impedire la fuoriuscita dei rifiuti smaltiti (cfr. pag. 18 “è previsto un sistema fossa carroponte completamente chiuso in capannone con ventilazione forzata continua che garantisca tre ricambi d’aria in un’ora…la cabina di comando sarà opportunamente pressurizzata”; “”La sostanza organica è inviata al capannone chiuso di biossidazione dove un sistema completamente automatizzato provvede al rivoltamento del materiale in ambiente confinato con ventilazione forzata di captazione dell’aria….Le apparecchiature d’impianto e le zone di stoccaggio sono situate in capannoni coperti e chiusi nelle zone di pretrattamento e biossidazione accelerata, ed in capannone coperto e parzialmente chiuso per la zona di raffinazione…Le apparecchiature dell’impianto sono fra loro collegate con sistemi di ripresa, trasporto e scarico dei materiali trattati, al fine di minimizzare l’impiego e l’esposizione del personale. Tali sistemi sono protetti per evitare la fuoriuscita di odori, vapori e polveri, nonchè la caduta e, dispersione di percolati…. in particolare l’aria di ventilazione dei cumuli sarà trattata con sistema di filtrazione attraverso un letto di materiale vegetale appositamente progettato”).

Il capannone, dunque, non è un mero edificio-capannone, ma un edificio-impianto, privo di finestre, di impianti elettrici e idrici, di ventilazione ed insuscettibile di autonoma utilizzazione, senza possibilità di utilizzazione alternativa.

1.12. Non può essere condivisa, allora, la nota della Amministrazione (1 febbraio 1980, n. 9/162, per la quale, con riferimento ad un impianto di depurazione delle acque di scarico, ha ritenuto che tale impianto “non possa nel suo insieme costituire una categoria omogenea alla quale applicare un unico coefficiente e ciò in quanto la parte immobiliare deve essere paragonata ai fabbricati, mentre le attrezzature costituiscono parti meccaniche.

Conseguentemente, alla fattispecie in esame, vanno applicati i coefficienti propri delle due categorie”.

Con riferimento agli impianti fotovoltaici ed eolici, l’Associazione italiana dei dottori commercialisti (AIDC) ha adottato una norma di comportamento, per cui agli impianti eolici deve essere applicato il coefficiente di ammortamento fiscale del nove per cento previsto per gli impianti di produzione di energia termoelettrica, ad eccezioni delle parti dell’impianto che si distinguono quali fabbricati in senso proprio, alle quali deve essere applicato il coefficiente del 4 A3 disposto per i fabbricati industriali.

Del resto, con la circolare del 13 giugno 2016 l’Agenzia delle entrate ha aderito a tale interpretazione, chiarendo che è possibile beneficiare del super-ammortamento “solo sulle componenti impiantistiche delle centrali fotovoltaiche ed eoliche, in quanto tali componenti non rientrano nelle ipotesi di esclusione… (investimenti in fabbricati e costruzioni o in beni strumentali che hanno coefficienti di ammortamento inferiori al 6,5 per cento)”.

1.13. La Commissione regionale, dunque ha compiuto un accertamento di fatto, sia pure sintetico, che in quanto ragionevole ed improntato a criteri logici, non può essere sindacato in questa sede. Del resto, l’Agenzia non ha neppure dedotto il vizio di motivazione, ma soltanto la violazione di legge, sub specie del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 102 e dell’art. 2697 c.c..

Non vi è, allora, un mero collegamento funzionale tra i macchinari ed il capannone, ma ci si trova dinanzi ad una vera e propria inscindibilità di un cespite che diviene un bene unico, con la configurazione di una unitaria categoria omogenea.

Anche con riferimento alla pretesa violazione delle regole di riparto dell’onere della prova, la sentenza ha applicato il principio per cui spetta al contribuente dare la prova di una maggiore deteriorabilità del bene strumentale, con riduzione della sua “vita utile”.

2. Con il secondo motivo di impugnazione l’Agenzia deduce la “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 102, commi 1 e 2, e del D.M. 31 dicembre 1988; nonchè dell’art. 817 c.c., in relazione all’art. 350 c.p.c., n. 3”, in quanto il giudice di appello ha ritenuto che il terreno pertinenziale di mq 4781, utilizzato dalla società come piazzale di transito e parcheggio dei mezzi diretti all’impianto, fosse ammortizzabile. Al contrario, secondo la ricorrente, in base al principio contabile 16 (IAS), i terreni non sarebbero mai ammortizzabili perchè “non sono in linea di principio deperibili a causa dell’uso”. Del resto, il D.M. 31 dicembre 1998 non prevede alcuna aliquota di ammortamento per i terreni, sia in generale, sia in particolare per il settore delle imprese di smaltimento dei rifiuti. Inoltre, la Commissione regionale ha affermato che, ai sensi dell’art. 817 c.c., il terreno era di pertinenza dell’impianto, in tal modo attraendo al terreno il regime di ammortamento, anche fiscale, caratteristico dell’impianto. Il principio di “pertinenza”, però, attiene alla materia del diritti reali, e non a quelle del bilancio societario ed alla materia fiscale che da quest’ultimo promana.

2.1. Tale motivo è infondato.

2.2. Invero, vanno richiamati i principi, sopra enunciati, fatti propri da questa Corte a sezioni unite (Cass., sez. un., 26 aprile 2017, n. 10225).

In particolare, si è affermato che, in tema di determinazione del reddito d’impresa, è ammortizzabile il costo di acquisizione del terreno costituente area di sedime di un impianto di distribuzione di carburante ove si constati che, al termine dell’uso produttivo, il bene non sia più utilizzabile in modo proficuo in ragione del suo deperimento (economico, se non fisico), atteso che la piena operatività della regola dell’ammortizzabilità del costo del bene strumentale posta dalle norme civilistiche (art. 2426 c.c.) e fiscali (D.P.R. n. 917 del 1986), per il caso di “vita utile” limitata nel tempo, non è ostacolata dalla mancata, espressa menzione dei terreni nel D.M. 31 dicembre 1988, richiamato dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, trattandosi di fonte normativa che individua i soli coefficienti e non l'”an” dell’ammortamento.

Questa Corte, a sezioni unite, dunque, ha ritenuto che, una volta accertata l’astratta possibilità che il terreno strumentale all’esercizio dell’impresa, abbia una “vita utile” più limitata rispetto alla sua materiale esistenza, occorre ribadire che ciò può in concreto avvenire quando, al termine dell’uso produttivo, il terreno non sia più utilizzabile in modo proficuo in ragione del suo deperimento (economico se non fisico). Si è chiarito che per le aree adibite a cave, torbiere e discariche, una volta, esaurita la loro “vita utile” produttiva, non sono più adeguatamente utilizzabili ed il loro costo di acquisizione, quindi, dopo lo svilimento del loro valore residuo, è ammortizzabile. Le medesime considerazioni valgono, come si è già visto, con riferimento al principio contabile Ias 16. Il medesimo principio è stato esteso, poi, da questa Corte ai terreni sui cui insistono impianti di distribuzione di carburante.

Pertanto, la sentenza del giudice di appello, pur nella sua stringata motivazione, ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto sopra enunciati, affermando che “riguardo l’area di mq. 4.781 va ritenuta area pertinenziale in quanto servente l’impianto stesso”. Trattasi, dunque, di un terreno che è utilizzato dai mezzi della società che effettua lo smaltimento rifiuti, per il trasporto degli stessi, sicchè è evidente la minore “vita utile” del terreno, su cui transitano i mezzi, con possibilità concreta di versamento dei residui dei rifiuti.

3. Il ricorso incidentale condizionato presentato dalla società è assorbito, in ragione del rigetto del ricorso principale proposto dalla Agenzia delle entrate.

3.1. Invero, per questa Corte, alla stregua del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, il cui fine primario è la realizzazione del diritto delle parti ad ottenere risposta nel merito, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni pregiudiziali di rito, ivi comprese quelle attinenti alla giurisdizione, o preliminari di merito, ha natura di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, e deve essere esaminato con priorità solo se le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, rilevabili d’ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita da parte del giudice di merito. Qualora, invece, sia intervenuta detta decisione, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte di cassazione solo in presenza dell’attualità dell’interesse, sussistente unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale (Cass., sez. 3, 14 marzo 2018, n. 618; Cass., sez. 1, 1 marzo 2016, n. 407; Cass., sez. 1, 6 marzo 2015, n. 4619; Cass., sez. un., 14 marzo 2018, n. 6138).

Nella specie, la società è stata “totalmente vittoriosa” nel giudizio di appello e la Commissione regionale ha rigettato espressamente tutte le questioni preliminari sollevate dalla contribuente per il principio del “raggiungimento dello scopo” (“La Commissione ritiene di rigettare tute le eccezioni preliminari proposte dalla Contarina s.p.a.”).

4. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della Agenzia delle entrate, per il principio della soccombenza, e si liquidano come da dispositivo. 5.Non opera a carico dell’Agenzia ricorrente il raddoppio del contributo unificato (Cass., 890/2017; Cass., 5955/2014).

PQM

Rigetta il ricorso principale; dichiara assorbito il ricorso incidentale.

Condanna l’Agenzia delle entrate a rimborsare in favore della società le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 6.500,00, oltre 200,00 per esborsi, Iva, CPA e rimborso spese generali nella misura forfettaria del 12,5%.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2020

 

 

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