Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26803 del 25/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 25/11/2020, (ud. 23/09/2020, dep. 25/11/2020), n.26803

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4740/2013 R.G. proposto da:

S.S., rappresentata e difesa, giusta procura a margine del

ricorso, dall’Avv. Paolo Brignolo Gorla, unitamente e disgiuntamente

all’Avv. Matteo Moroni, elettivamente domiciliata presso lo studio

del secondo, in Milano, Via Cartesio n. 2;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello

Stato e presso i cui uffici domicilia in Roma, alla Via dei

Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Umbria, n. 177/4/2011, depositata il 29 novembre 2011.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 settembre

2020 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. L’Agenzia delle entrate emetteva in data 27-10-2007 due avvisi di accertamento nei confronti della società a ristretta base societaria Ke. s.r.l., di cui era socia di maggioranza al 60% S.S., per utili extra bilancio, per gli anni 2000 e 2001, divenuti definitivi per mancanza di impugnazione, con i quali erano stati accertati maggiori ricavi. Pertanto, venivano emessi due avvisi di accertamento per gli stessi anni anche nei confronti dei soci.

2. La S. proponeva due ricorsi che venivano respinti dalla Commissione tributaria provinciale di Perugia con sentenza n. 152/01/2008. Nei due ricorsi la contribuente si limitava a lamentare l’assenza di legami di parentale con gli altri due soci e la sua estraneità alla gestione della società, per avere interrotto ogni rapporto con gli altri soci in conseguenza di alcuni giudizi instaurati per vicende estranee alla società e per aver ceduto la propria quota di partecipazione con procura irrevocabile a vendere datata 7-3-1998 rilasciata a C.M. (socio ed amministratore unico della Ke. s.r.l.).

3. La contribuente proponeva appello e, con memoria depositata il 3-11-2011 in sede di appello, chiedeva l’annullamento degli avvisi di accertamento anche per la mancata allegazione agli avvisi a lei notificati di quello notificato alla società.

4. La Commissione tributaria regionale dell’Umbria rigettava l’appello, rilevando che la domanda relativa alla pretesa violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, era inammissibile perchè nuova, in quanto formulata per la prima volta con la memoria depositata nel corso del giudizio di appello. Inoltre, la contribuente era socia al 60%, sicchè era poco credibile che fosse all’oscuro della gestione societaria e della sussistenza degli utili extracontabili della società. Nè la socia aveva fornito la prova contraria volta alla dimostrazione che i maggiori utili erano stati accantonati o reinvestiti e, comunque, non percepiti. La asserita estraneità alla gestione societaria, come pure la cessione della quota tramite procura irrevocabile a vendere, non erano state dimostrate con alcuna documentazione.

5. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la socia.

6. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con un unico motivo di impugnazione, seppure frammentato in più doglianze, la socia deduce la “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia e violazione o falsa applicazione di norme di diritto”, in quanto la Commissione tributaria regionale ha ritenuto inammissibile, perchè nuova, in quanto avanzata solo con la memoria in sede di appello, la domanda della contribuente in ordine alla mancata allegazione agli avvisi di accertamento a lei notificati degli avvisi di accertamento emessi nei confronti della società. In realtà – sostiene la ricorrente -, la domanda è stata proposta già con il ricorso introduttivo del giudizio. Inoltre, tale “eccezione” sarebbe “opponibile” in qualsiasi grado e stato del giudizio, perchè rilevabile d’ufficio.

Inoltre, quanto al vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per la ricorrente il giudice di appello non ha tenuto conto del fatto che la contribuente non era legata da rapporti di parentela con gli altri soci della Ke., aveva interrotto da tempo ogni rapporto con gli altri soci, ed aveva ceduto la propria quota con procura irrevocabile a vendere del (OMISSIS). La Commissione regionale non avrebbe neppure valutato se era passata in giudicato la sentenza che aveva rigettato l’impugnazione dell’accertamento svolto nei confronti della società.

1.1. Tale motivo è infondato.

1.2. Anzitutto, si rileva che per l’anno 2000 la società ha aderito alla definizione delle liti pendenti ai sensi del D.L. n. 98 del 2011, sicchè resta da esaminare soltanto l’anno 2001.

1.3. Con riferimento a quest’ultimo anno, poi, a prescindere dalla definitività dell’avviso di accertamento nei confronti della società per mancata impugnazione e dalla avvenuta presentazione o meno nel ricorso introduttivo della domanda tesa a contrastare gli avvisi di accertamento notificati alla contribuente per assenza di allegazione degli avvisi di accertamento emessi nei confronti della società, tuttavia, in caso di società a ristretta base partecipativa, come la società in oggetto, non è necessaria tale notifica ai soci, in quanto, stante la penetrante coesione tra gli stessi, si presume che siano a conoscenza degli atti attinenti alla gestione societaria.

Nella specie, per l’orientamento consolidato di questa Corte, in caso di società a ristretta base partecipativa, l’obbligo di motivazione degli atti tributari, come disciplinato dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, e dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, è soddisfatto dall’avviso di accertamento dei redditi del socio che rinvii “per relationem” a quello riguardante i redditi della società, ancorchè solo a quest’ultima notificato, in quanto il socio, ai sensi dell’art. 2261 c.c., ha il potere di consultare la documentazione relativa alla società e, quindi, di prendere visione dell’accertamento presupposto e dei suoi documenti giustificativi (Cass. Civ., n. 25296 del 2014; Cass. Civ., 12 marzo 2014, n. 5645; Cass. Civ., 26402/2018). Tale principio è applicabile anche alle ipotesi di soci di società di capitali a ristretta base sociale (Cass. Civ., sez. 5, 13 luglio 2018, n. 18694).

Infatti, l’avviso di accertamento nei confronti del socio per redditi da utili non dichiarati di società di capitali a ristretta base partecipativa è legittimamente emesso e adeguatamente motivato anche quando il socio non abbia partecipato all’accertamento nei confronti della società e l’atto contenga un mero rinvio “per relationem” ai redditi della società, non essendo i due accertamenti autonomi e indipendenti, in virtù dei poteri concessi ai soci, ai sensi dell’art. 2261 c.c., di consultare la documentazione contabile e di partecipare perciò agli accertamenti che riguardano la società (Cass., sez. 6-5, 18 febbraio 2020, n. 3980).

1.4. Peraltro, negli avvisi di accertamento notificati alla socia per gli anni 2000 e 2001 è riportato per ampi stralci il contenuto degli avvisi di accertamento notificati alla società (cfr. avviso di accertamento emesso nei confronti della socia (OMISSIS), ove si evidenzia che “la società non ha redatto i prospetto delle rimanenze e pertanto…tutti gli acquisti effettuati nell’anno si considerano venduti nello stesso. Dal confronto tra fatture di acquisto e fatture di vendita è emerso che alcune delle merci acquistate non sono state vendute con emissione di regolare documento fiscale…”; cfr. anche avviso di accertamento (OMISSIS) per l’anno 2001).

2. Per quanto attiene alla insufficiente motivazione dedotta in relazione alla asserita estraneità nella gestione societaria della contribuente, si rileva che la Commissione regionale ha fatto corretta applicazione dei principi giurisprudenziali in materia, con una congrua e logica motivazione.

2.1. Invero, si rileva che, in caso di società a ristretta base partecipativa, per questa Corte è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti (Cass., 5076 del 2011; Cass., n. 9519 del 2009; Cass., 7564 del 2003; Cass., 18 ottobre 2017, n. 24534), non essendo comunque a tal fine sufficiente la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili (Cass., 22 novembre 2017, n. 27778).

2.2. Il fondamento logico della costruzione giurisprudenziale si rinviene nella “complicità” che normalmente avvince un gruppo societario composto da poche persone, in genere da due fino ad un massimo di sei (ma non v’è alcun dato numerico preciso, trattandosi di una presunzione semplice), sicchè vi è la presunzione che gli utili extracontabili siano stati distribuiti ai soci, nel corso dello stesso esercizio annuale, salva la prova contraria a carico del contribuente (Cass., sez. 5, 26 maggio 2008, n. 13485). Non è, poi, in alcun modo necessaria l’esistenza di un rapporto di parentela stante l’esiguità del numero dei soci (Cass., 12 novembre 2012, n. 19680).

Nella presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili il fatto noto, che sorregge la distribuzione degli utili extracontabili, non è costituito dalla sussistenza di questi ultimi, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale (Cass. Civ., 19 marzo 2015, n. 5581).

2.3. Tuttavia, tali principi sono stati completati precisandosi che la presunzione di distribuzione degli utili extrabilancio può essere vinta dal contribuente fornendo la dimostrazione della propria estraneità alla gestione e conduzione societaria (Cass., n. 1932/2016; Cass., 17461/2017; Cass., 26873/2016; Cass. 9 luglio 2018, n. 18042; Cass. 27 settembre 2018, n. 23247).

Va, peraltro, osservato che non è sufficiente a vincere la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili l’instaurazione di un processo penale esclusivamente a carico dell’amministratore e non dei soci, poichè si deve tenere distinta l’attività illecita dell’amministratore dalla distribuzione di utili sociali da essa ricavati, non implicando tale attività messa in atto dai soci, la partecipazione all’attività criminosa dell’amministratore (Cass. Civ., 11 dicembre 1990, n. 11785). Si è anche affermato che la esistenza di una denuncia/querela da parte della parte lesa potrebbe costituire, se non una prova, un valido elemento indiziario ulteriore in senso contrario alla applicazione in concreto al caso specifico della presunzione della distribuzione a tutti i soci degli utili occulti (Cass., 7 novembre 2005, n. 21573; per la necessità della proposizione di un’azione di responsabilità da parte del socio per dimostrare la propria estraneità cfr. Cass., n. 3896/2008).

2.4. La sentenza del giudice di appello, con motivazione logica e persuasiva, ha evidenziato che la contribuente era socia di maggioranza al 60%, quindi a conoscenza della esistenza degli utili extracontabili, mentre la dedotta estraneità non era stata corroborata da alcun documento. Neppure era stata fornita la prova della cessione della quota prima degli anni in accertamento, avendo allegato la contribuente solo l’esistenza di una procura irrevocabile a vendere la quota. Anzi, non risultava in alcun modo la stipulazione dell’atto di vendita delle quote, mentre la S. risultava socia al 60% nelle dichiarazioni dei redditi per gli anni 2000 e 2001.

3. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della ricorrente, per il principio di soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; dichiara cessata la materia del contendere per l’anno 2000. Condanna la ricorrente a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 1.400,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2020

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