Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26802 del 25/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 25/11/2020, (ud. 23/09/2020, dep. 25/11/2020), n.26802

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12119/2013 R.G. proposto da:

L.S., rappresentata e difesa dall’avv. Corrado Morrone,

presso cui elettivamente domicilia, in Roma, al viale XXI Aprile n.

11;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore p.t., rappresentata e

difesa ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza

dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma,

alla via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– resistente –

avverso la sentenza n. 610/14/12 della Commissione tributaria

regionale del Lazio, depositata il 7/11/2012 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 23 settembre

2020 dal Consigliere Andreina Giudicepietro.

 

Fatto

RILEVATO

che:

L.S. ricorre con otto motivi avverso l’Agenzia delle entrate per la cassazione della sentenza n. 610/14/12 della Commissione tributaria regionale del Lazio (di seguito C.t.r.), depositata il 7 novembre 2012 e non notificata che ha rigettato l’appello della contribuente, confermando la sentenza di primo grado della Commissione tributaria provinciale di Roma, in controversia relativa all’impugnazione di un avviso di accertamento, con cui veniva accertata una plusvalenza in relazione ad un trasferimento immobiliare ed irrogata una sanzione alla contribuente per aver dichiarato un reddito imponibile per l’anno 2003 inferiore rispetto a quello accertato;

in particolare, con l’avviso di accertamento l’Agenzia delle entrate aveva disconosciuto dei costi in relazione ad un terreno edificabile, acquistato dalla contribuente il (OMISSIS) in comproprietà con il coniuge, C.G., ed alienato nel 2003, con la realizzazione di una plusvalenza significativamente maggiore di quella dichiarata;

la ricorrente impugnava l’accertamento, fondato, a suo dire, erroneamente, sul disconoscimento dei costi pari a 116.500.000 di vecchie lire di cui alla fattura n. (OMISSIS) del (OMISSIS) prodotta dal marito, deducendo di aver dimostrato, mediante la fattura quietanzata n. (OMISSIS) del (OMISSIS), di aver sostenuto costi per 149.093.000 di lire per lavori di scavo ed opere edili;

la C.t.p. di Roma rigettava il ricorso, ritenendo che la contribuente non avesse dimostrato l’effettivo pagamento della fattura n. (OMISSIS) del (OMISSIS) con idonea documentazione bancaria e rilevando che la ditta emittente la fattura in questione non aveva presentato per gli anni 1999 e 2000 la dichiarazione dei redditi;

la contribuente proponeva appello, affidato a tre motivi, riportati sinteticamente in ricorso e relativi: al mancato rilievo da parte del giudice di primo grado dell’erroneo presupposto di fatto dell’avviso di accertamento (emesso con riferimento al mancato riconoscimento dei costi di cui alla fattura n. (OMISSIS) del (OMISSIS) e non di quella n. (OMISSIS) del (OMISSIS) intestata alla contribuente); alla violazione delle norme in tema di ripartizione dell’onere probatorio e di valutazione della prova scritta (la fattura quietanzata n. (OMISSIS), che farebbe prova, fino a querela di falso e senza bisogno di ulteriori riscontri probatori, dell’avvenuto versamento dell’importo in essa indicato); alla violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, per la mancata attivazione dei poteri istruttori ufficiosi del giudice;

con la sentenza impugnata, la C.t.r. rigettava l’appello, ritenendo che “con riferimento al presunto travisamento dei fatti da parte dell’Ufficio, che nell’avviso di accertamento aveva fatto riferimento alla fattura n. (OMISSIS) del (OMISSIS), tale ultima fattura era stata fornita all’Ufficio dal sig. C.” e che “in ogni caso la Commissione di primo grado ha esaminato proprio la fattura n. (OMISSIS) del (OMISSIS) invocata dalla contribuente”;

la C.t.r. riteneva, quindi, che correttamente il giudice di primo grado avesse escluso l’efficacia probatoria della fattura invocata dalla contribuente, non solo in quanto priva di riscontri bancari, atteso che la ditta emittente negli anni 1999 e 2000 non aveva presentato la dichiarazione dei redditi, ma anche perchè, in una dichiarazione del (OMISSIS) del titolare dello studio che aveva emesso le fatture, si faceva riferimento alla fattura n. (OMISSIS) del (OMISSIS) per un importo di 116.500.000 lire e non di 149.093.000, come invece risultava per tabulas;

a seguito del ricorso l’Agenzia delle Entrate si è costituita al solo fine della eventuale partecipazione all’udienza;

il ricorso è stato fissato per la Camera di Consiglio del 23 settembre 2020, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197;

la resistente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis, c.p.c., n. 1.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, la ricorrente denunzia la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, consistente nella prova del pagamento a mezzo della fattura quietanzata n. (OMISSIS) del (OMISSIS);

con il secondo motivo, la ricorrente denunzia la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per l’errata valutazione di una prova decisiva da parte del giudice di appello, consistente nell’aver ritenuto che costituisse elemento di confusione la dichiarazione del (OMISSIS), del titolare dello studio che aveva emesso le fatture, la quale non faceva riferimento alla fattura n. (OMISSIS) del (OMISSIS), ma a quella n. (OMISSIS) del (OMISSIS), di diverso importo;

i motivi, da esaminare congiuntamente perchè connessi, sono inammissibili; nella fattispecie trova applicazione ratione temporis (ai sensi del D.L. n.83 del 2012, art. 54, comma 3), il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto la sentenza impugnata è stata pubblicata in data successiva all’11 settembre 2012 sicchè il vizio della motivazione è deducibile soltanto in termini di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”;

come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. S.U. 22.9.2014 n. 19881; Cass. S.U. 7.4.2014 n. 8053) la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione;

è pertanto denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali;

tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione;

il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5), introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia);

ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”;

al compito assegnato alla Corte di Cassazione dalla Costituzione resta estranea una verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti, la quale implichi un raffronto tra le ragioni del decidere adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito;

l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti;

nel caso di specie, con il primo motivo la ricorrente si duole del mancato esame di un documento (la fattura quietanzata n. (OMISSIS)) e non di un fatto (nel caso di specie l’avvenuto pagamento, che il giudice di appello ha ritenuto non sufficientemente provato proprio dalla fattura in questione);

con il secondo motivo, invece, la ricorrente lamenta espressamente la valutazione della prova, che è rimessa al giudice del merito ed è insindacabile in sede di legittimità, dovendosi peraltro escludere, con la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la rilevanza della mera contraddittorietà o insufficienza motivazionale;

comunque, nella dichiarazione del (OMISSIS), riportata testualmente in ricorso dalla contribuente, risultano gli elementi di “confusione” riscontrati dal giudice di merito, in quanto non si evince chiaramente se il riferimento sia alla fattura n. (OMISSIS) del (OMISSIS) o a quella n. (OMISSIS) del (OMISSIS), (nel caso specifico, nella dichiarazione scritta viene indicata la fattura n. (OMISSIS) del (OMISSIS));

con il terzo motivo, la ricorrente denunzia la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 4, e dell’art. 112 c.p.c., per l’omessa corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato;

la ricorrente deduce l’omessa pronuncia sul primo motivo di appello, con il quale aveva contestato in primis l’errore sul presupposto di fatto in cui era incorsa l’amministrazione, che, con l’avviso di accertamento, aveva disconosciuto i costi di cui alla fattura n. (OMISSIS) per 116.500.000 di lire, senza rilevare che la ricorrente aveva dedotto i costi in base a diversa fattura n. (OMISSIS);

il motivo è infondato;

come rilevato dalla C.t.r., la fattura n. (OMISSIS), a cui fa riferimento l’avviso di accertamento, era stata prodotta dal marito della ricorrente, comproprietario del terreno alienato al 50%, a giustificazione dei costi dedotti;

la contribuente, nel ricorrere avverso l’avviso di accertamento, aveva prodotto la fattura n. (OMISSIS), a suo dire giustificativa dei costi dedotti, e, come evidenziato dalla C.t.r, il giudice di prime cure aveva comunque esaminato la fattura indicata dalla ricorrente, ritenendo che essa non fosse sufficiente a dimostrare l’avvenuto pagamento (così come la fattura n. (OMISSIS)), atteso che la ditta emittente la fattura in questione non aveva presentato per gli anni 1999 e 2000 la dichiarazione dei redditi;

con il quarto motivo, la ricorrente denunzia la violazione degli art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 132 c.p.c., e art. 156 c.p.c., comma 2, nonchè dell’art. 111 Cost., comma 6, per l’omessa motivazione riguardo alla pretesa mancanza di prova in ordine all’avvenuto versamento dell’importo indicato nella fattura quietanzata n. (OMISSIS);

con il quinto motivo, la ricorrente denunzia la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e dell’art. 112 c.p.c., per l’omessa corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato;

la ricorrente deduce l’omessa pronuncia sul secondo motivo di appello, con il quale aveva contestato la violazione degli specifici articoli in tema di prova (art. 2697 c.c., sulla ripartizione dell’onere probatorio, art. 116 c.p.c., artt. 1199 e 2702 c.c., sulla vincolatività della prova scritta);

con il sesto motivo, la ricorrente denunzia la violazione dell’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, art. 132 c.p.c., e art. 156 c.p.c., comma 2, in relazione alla violazione dell’art. 2697 c.c., dell’art. 116 c.p.c., e degli artt. 1199 e 2702 c.c.;

i motivi, da esaminare congiuntamente perchè connessi, sono infondati;

la C.t.r, come rilevato nell’esame dei precedenti motivi di ricorso, ha valutato la prova documentale prodotta dalla contribuente e l’ha ritenuta insufficiente a dimostrare l’effettivo sostenimento dei costi, perchè la fattura non trovava riscontro nella documentazione bancaria e nella dichiarazione dei redditi della ditta emittente;

pertanto, non vi è omissione di pronuncia sul secondo motivo di appello, nè totale carenza di motivazione, che è effettiva ed idonea a palesare l’iter logico seguito dal giudice di seconde cure, sia pure in maniera sintetica;

con riferimento alla violazione delle norme di cui all’art. 2697 c.c., all’art. 116 c.p.c., e agli artt. 1199 e 2702 c.c., deve rilevarsi che “nel processo tributario, ove il contribuente assolva l’onere, a suo carico, di provare il fatto costitutivo del diritto alla deduzione dei costi o alla detrazione dell’IVA mediante la produzione delle fatture, l’Amministrazione finanziaria ne può dimostrarne l’inattendibilità anche mediante presunzioni, sicchè il giudice di merito deve prendere in considerazione il complessivo quadro probatorio al fine di verificare l’esistenza o meno delle operazioni fatturate, ivi compresi i fatti secondari indicati”(Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2935 del 13/02/2015);

come rilevato nella motivazione della citata sentenza, “la giurisprudenza di questa Corte è costante nel senso che la prova del diritto alla deduzione di costi è a carico del contribuente e ciò sia con riferimento al criterio che chi afferma un fatto costitutivo di un diritto lo deve provare e sia con riferimento al criterio di vicinanza della prova (Cass. sez. trib. n. 13943 del 2011; Cass. sez. trib. n. 4554 del 2010). E’ peraltro possibile che il contribuente sia in grado di assolvere l’onere dimostrativo di che trattasi mediante la produzione di fatture, ma per contro è altrettanto possibile che l’Amministrazione possa fornire prova dell’inattendibilità delle stesse anche mediante praesumptio hominis. Ed, in questa direzione, il giudice di merito deve prendere in considerazione il complessivo quadro probatorio al fine di verificare l’esistenza o meno di operazioni fatturate e dedotte (Cass. sez. trib. n. 9958 del 2008; Cass. sez. trib. n. 21953 del 2007)”;

pertanto, non è incorso nelle dedotte violazioni di legge il giudice di appello, che ha ritenuto che la fattura non fosse idonea a dimostrare l’avvenuto sostenimento del costo, per la mancata corrispondenza nella dichiarazione dei redditi della ditta emittente e per l’assenza di documentazione bancaria di supporto;

con il settimo motivo, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e dell’art. 112 c.p.c., per l’omessa pronuncia della commissione tributaria sul terzo motivo di appello, relativo alla doglianza del mancato ricorso da parte del giudice ai propri poteri istruttori di ufficio;

con l’ottavo motivo, la ricorrente denunzia la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e art. 112 c.p.c., nonchè dell’art. 111 Cost., comma 6, per l’omessa motivazione riguardo alla contestazione sollevata dalla ricorrente con il secondo motivo di appello, relativa all’irrilevanza della mancata dichiarazione dei redditi della ditta che ha emesso la fattura;

i motivi sono infondati, in quanto il giudice ha ritenuto che la circostanza dell’omessa dichiarazione dei redditi fosse rilevante ai fini della valutazione della valenza probatoria della fattura prodotta, che non risultava supportata da alcuna documentazione bancaria, con ciò rigettando i profili di doglianza contenuti nei motivi di appello, sia con riguardo alla valutazione della prova, sia con riguardo all’onere probatorio gravante sul contribuente;

inoltre, l’esercizio dei poteri istruttori ufficiosi del giudice ha carattere facoltativo e deve essere esercitato nel rispetto del carattere dispositivo del processo tributario;

il ricorso va, dunque, complessivamente rigettato;

la ricorrente deve essere condannata al pagamento in favore di parte resistente delle spese per l’attività difensiva effettivamente prestata.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2020

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