Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26802 del 22/12/2016


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Cassazione civile, sez. lav., 22/12/2016, (ud. 14/09/2016, dep.22/12/2016),  n. 26802

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente –

Dott. VENUTI Pietro – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 332-2011 proposto da:

D.L.P., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA AGRI 1, presso lo studio dell’avvocato PASQUALE NAPPI, che lo

rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

A.M.A. – AZIENDA MUNICIPALE AMBIENTE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA CIRO MENOTTI 1, presso lo studio

dell’avvocato GIOVANNI COCCONI, che la rappresenta e difende giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4970/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 05/01/2010 r.g.n. 5949/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/09/2016 dal Consigliere Dott. FEDERICO DE GREGORIO;

udito l’Avvocato SAPONARA MARCO per delega verbale Avvocato COCCONI

GIOVANNI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per: improcedibilità.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 28 giugno 2006 D.L.P., dipendente dell’AMA di ROMA S.p.a. dal gennaio 1985 al 20 gennaio 2003, appellava la sentenza del giudice del lavoro di Roma in data 18 gennaio/10 maggio 2006, che aveva respinto la sua domanda nella parte in cui era stato escluso che l’indennità sede lavorativa, il compenso per manutenzione vestiario, l’indennità maggiore produttività e il compenso per lavoro straordinario feriale, festivo e notturno prestato in modo fisso e continuativo rientrassero nella base di calcolo delle mensilità aggiuntive, ferie dell’indennità di mancato preavviso e del trattamento di fine rapporto.

La Corte capitolina con sentenza n. 4970 dell’undici giugno 2009, depositata il 5 gennaio 2010, rigettava l’appello compensando le relative spese. Osservava che secondo la giurisprudenza di legittimità citata la cosiddetta onnicomprensività della retribuzione non costituiva un principio generale ed inderogabile del vigente ordinamento, neppure operando di norma come criterio sussidiario. Quanto alla 13a, alla 14a, alle ferie e all’indennità di mancato preavviso, soccorreva la nozione di retribuzione globale di cui all’art. 12 del contratto collettivo nazionale di lavoro di settore, art. 12 cui rinviavano le clausole contrattuali disciplinando i predetti istituti indiretti e la stessa indennità sostitutiva del preavviso, laddove tale retribuzione globale era definita come “somma della retribuzione individuale e delle indennità a carattere fisso e continuativo, con l’esclusione delle somministrazioni in natura e delle indennità sostitutive di esse, nonchè con l’esclusione di quanto corrisposto a titolo di rimborso spese anche se forfettizzato, dell’indennità di maneggio danaro e dell’indennità mezzo di trasporto”. In particolare, la definizione contrattuale di retribuzione globale, lungi dal poter essere letta in senso onnicomprensivo, non poteva che alludere, sia pure accogliendo l’interpretazione più lata, al coacervo dei compensi fissi, come poteva ulteriormente e agevolmente desumersi a contrario dalla nozione davvero ristretta di retribuzione individuale recepita nella medesima disposizione, poichè indicativa soltanto dei minimi tabellari, maggiorati degli aumenti di anzianità, dell’indennità di contingenza e degli indennità speciale aziendale.

In carenza di una specifica dichiarata inclusione di emolumenti, ancorchè continuativi, bensì variabili come gli straordinari o l’indennità di maggiore produttività percepiti dall’appellante nel corso del rapporto (mentre le altre due voci riguardavano essenzialmente il rimborso spese), alla norma del c.c.n.l. non poteva attribuirsi il significato estensivo preteso dal ricorrente, e ciò proprio perchè la regola di fonte legale non era quella della onnicomprensività della retribuzione ad ogni effetto, sicchè la fonte contrattuale doveva essere assolutamente inequivoca in tal senso, mentre nella specie non lo era affatto. Peraltro, l’obiettiva variabilità dei compensi de quibus avrebbe reso quanto mai problematica l’individuazione dell’ammontare degli straordinari, di importo variabile, da inserire nella mensilità utile ai fini degli istituti indiretti.

La Corte distrettuale aggiungeva, quanto all’indennità sostitutiva del preavviso, che la causa petendi di cui al ricorso introduttivo si sostanziata nella previsione negoziale di cui all’art. 45 C.C.N.L., anch’essa richiamante la nozione di retribuzione globale, laddove poi solo in corso di causa l’appellante aveva ampliato i presupposti della domanda sino alla denuncia di un vizio di nullità della clausola, ove interpretata in senso restrittivo, per contrasto con la norma inderogabile di legge. In ogni caso, anche a voler ritenere ammissibile la censura e inderogabile la regola dettata dall’articolo 2121 c.c., le carenze di allegazione circa la frequenza con cui il lavoratore aveva percepito gli straordinari e l’indennità di maggiore produttività – cioè quanto non corrisposto a titolo di rimborso spese, essendo gli esborsi espunti a norma di legge – carenze non emendabili in base alle buste paga prodotte, peraltro in misura parziale e incompleta relativamente all’ultimo triennio del rapporto, precludevano in radice la dimostrazione dell’effettiva continuità del compenso. Infatti, era pur sempre determinante, ai fini dell’apprezzamento della continuità del compenso del lavoro straordinario, la costanza o l’abitualità della prestazione, di cui il lavoratore avrebbe dovuto specificamente indicare, prima ancora che provare, la ripetizione ogni mese ed in misura rilevante, anche a prescindere dall’entità, nella specie variabile nel tempo.

Quanto poi al trattamento di fine rapporto, secondo la Corte d’Appello, pur sussistendo una nozione legale omnicomprensiva, nella specie le parti l’avevano validamente derogata. Infatti, l’art. 46 del c.c.n.l. di Federambiente appariva formulato in termini sufficientemente chiari ed univoci, stabilendo che la retribuzione annua da prendersi a base per la liquidazione del trattamento di fine rapporto comprende le 23 voci ivi indicate, tra le quali non rientrava specificamente alcuna di quelle di cui l’appellante invocava l’inclusione; senza considerare che le somme corrisposte a titolo di rimborso spese ne sarebbero state escluse in base alla nozione onnivalente di fonte legale.

L’appellante aveva sostenuto l’ascrivibilità degli straordinari e delle altre indennità nell’ultimo numero della elencazione di cui al succitato art. 46 (inserimento nella base di calcolo utile per la determinazione del t.f.r. anche di tutte le indennità o compensi previsti per legge, qualora corrisposti in maniera fissa e continuativa).

Secondo la Corte distrettuale, l’anzidetta elencazione era tassativa, di modo che ne restavano esclusi tutti gli altri elementi economico-retributivi previsti dall’anzidetta disposizione contrattuale, che non risultavano compresi nello stesso elenco. Inoltre, a tutto voler concedere, l’indennità sede lavorativa, il compenso per manutenzione vestiario e l’indennità maggiore produttività erano tutti emolumenti di origine contrattuale, dunque non previsti per legge, mentre gli straordinari non risultavano in concreto corrisposti in maniera fissa e continuativa, nei sensi rigorosamente da intendersi nello spirito restrittivo della clausola derogatoria.

Avverso l’anzidetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione D.L.P. con atto di cui alla richiesta di notifica in data 21 dicembre 2010, affidato a quattro motivi:

1) violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., con riferimento agli artt. 12, 17, 18 e 31 del c.c.n.l. 31 ottobre 1995; omessa, insufficiente contraddittoria motivazione su di un punto fondamentale della controversia.

L’impugnata sentenza, infatti, aveva riconosciuto che l’indennità per maggiore produttività aveva natura retributiva, ma aveva illogicamente ritenuto che il relativo importo, come quello percepito a titolo di straordinario fisso e continuativo, dovesse escludersi dalla base di calcolo della 13a, della 14a, delle ferie e dell’indennità sostitutiva di preavviso.

Richiamati gli articoli del c.c.n.l. 12 in tema di retribuzione mensile con le sue definizioni, 17 per la 13a mensilità, 18 per la 14a mensilità e 31 (il lavoratore ha diritto per ciascun anno di servizio ad un periodo di riposo con decorrenza della retribuzione globale), secondo il ricorrente era inequivocabile la volontà delle parti, nel senso di considerare la retribuzione globale come omnicomprensiva.

2) violazione e falsa applicazione dell’art. 2121 c.c. in relazione all’art. 45 del c.c.n.l. 31 ottobre 1995 – assenza, insufficienza e contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della controversia.

Il ricorrente ha richiamato, circa l’indennità sostitutiva del preavviso, quanto precisato a pagina quattro del ricorso introduttivo del giudizio, laddove si era sostenuto tra l’altro che l’articolo 45 ribadiva la normativa di legge, nel senso che l’indennità sostitutiva di preavviso era equivalente all’importo della retribuzione globale che sarebbe spettata lavoratore durante il preavviso.

Nella fattispecie, inoltre, sia dell’indennità di maggiore produttività che il compenso per lavoro straordinario avevano certamente carattere continuativo, in base alle emergenze delle buste paga, ciò che non aveva formato oggetto di contestazione, donde un fatto pacifico e documentato non contestato, mentre inammissibilmente erano state sollevate perplessità sulla continuità dello straordinario, pervenendo contraddittoriamente ad escluderlo dalla indennità sostitutiva del preavviso;

3) violazione e falsa applicazione dell’art. 2120 c.c., in relazione all’art. 46 del C.C.N.L. 31 ottobre 1995, nonchè degli artt. 1362 e 1363 c.c. – illogica incoerente e contraddittoria motivazione su un punto fondamentale della controversia, laddove la Corte di merito aveva ritenuto validamente derogata la normativa in tema di t.f.r. dal suddetto art. 46, però in base ad un’interpretazione non coerente con la lettera la sostanza e la finalità della norma contrattuale, così violando il principio secondo cui nella interpretazione delle norme della contrattazione collettiva vanno rispettati i canoni di ermeneutica di cui all’art. 1362 c.c. e segg., non potendosi trascurare, senza alcuna motivazione, il carattere assolutamente prioritario della interpretazione letterale.

Secondo il ricorrente, l’art. 46, lett. B) dell’anzidetto contratto collettivo, come i precedenti del 1983 e del 1991 e quello successivo del 23 marzo 2003, prevedeva le singole voci retributive componenti la retribuzione annua da computarsi per la liquidazione del TFR, tra cui al numero 23 anche tutte le indennità o i compensi previsti per legge, qualora corrisposti in maniera fissa e continuativa. L’anzidetta elencazione, ivi compresa quindi la voce di cui al n. 23, era testualmente tassativa, restando esclusi dalla base di calcolo tutti gli altri elementi economico-retributivi previsti dal contratto collettivo e non compresi nella elencazione.

La formulazione della riportata disposizione contrattuale, segnatamente in ordine alla voce numero 23, integrava una norma in bianco, da riempirsi individuando i compensi degli emolumenti previsti dalla legge e corrisposti in maniera fissa e continuativa.

La collocazione di tale norma di chiusura, posta alla fine di un lungo elenco, esprimeva la preoccupazione di evitare il rischio di lasciare fuori qualche compenso o indennità, previsto dalla legge, corrisposto in modo fisso e continuativo, ma non compreso nel anzidetta analitica elencazione.

Soltanto con l’art. 68, sub b) del c.c.n.l. 3 giugno 2008 l’associazione datoriale, nell’interesse delle aziende, riuscì a far sopprimere con decorrenza 1 gennaio 2007 la più volte citata clausola 23 del contratto collettivo 1995 (art. 46, lett. b) (anche se nel testo riportato dalla ricorso in esame, relativamente all’art. 68, inerente al trattamento di fine rapporto, si legge sotto la lett. B: “Al personale in servizio alla data del 30 aprile 2008 viene mantenuto il trattamento di fine rapporto previsto dall’art. 68 del contratto collettivo nazionale di lavoro 22 maggio 2003.

Viene inserita nell’elenco di cui al punto due del citato art. 68 la voce retributiva compenso per lavoro notturno avente carattere fisso il continuativo. Sono soppresse dall’elenco di cui al punto due del citato art. 68 le seguenti voci retributive:… la voce numero 23 “oltre ai predetti elementi retributivi vanno inseriti nella base di calcolo utile per la determinazione del tratt. di fine rapp. tutti i compensi o le indennità previsti per legge qualora gli stessi siano corrisposti in maniera fissa e continuativa”).

Tra l’altro, ricorrente citava giurisprudenza di legittimità, secondo cui nella base di computo del tratt. di fine rapp. vanno considerati gli emolumenti corrisposti in maniera continuativa per lavoro straordinario, da escludersi soltanto in quanto sporadici ed occasionali;

4) violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., con riferimento all’accordo sindacale relativo all’indennità lavaggio indumenti e all’accordo sindacale 23-03-1989 riguardante l’indennità raggiungimento sede di lavoro – omessa ed insufficiente motivazione su un punto fondamentale della controversia.

Erroneamente la Corte di Appello aveva escluso la natura retributiva delle indennità manutenzione vestiario e raggiungimento sede lavorativa, assumendo che tali due voci riguardano rimborso spese, però senza alcuna motivazione al riguardo, tanto più che la stessa Corte di Appello con ordinanza del 13-12-2007 aveva disposto la produzione, eseguita il 13 maggio 2008, degli accordi sindacali, che avevano istituito le indennità in questione, accordi indubbiamente decisivi ai fini della causa.

L’indennità lavaggio indumenti era stata sempre erogata al ricorrente dall’azienda, indipendentemente dall’uso degli abiti da lavoro fornitigli e dalla loro manutenzione. Tale indennità era stata considerata dalle parti come voce accessoria della retribuzione, donde la sua chiara valenza di uso aziendale, da cui discendeva l’obbligatorietà del relativo compenso, perdendo così la sua eventuale diversa finalità.

L’indennità raggiungimento della sede di lavoro, di cui all’accordo 23-03-98, era stata, poi, erogata a tutti i lavoratori che raggiungevano la presenza di 12 volte nei turni mattina/notte nell’arco del mese. Il ricorrente, come risultante dalle buste paga, ogni mese aveva sempre ricevuto l’indennità in questione per 12 volte al mese, avendo osservato il suddetto turno.

L’Azienda Municipale Ambiente – A.M.A. – S.p.a., con sede in (OMISSIS), ha resistito all’impugnazione avversaria con controricorso (28-31 gennaio 2011).

Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso del D.L. va disatteso, poichè irritualmente proposto, al pari, peraltro, di quanto deciso in analoga controversia da questa Corte con la recente sentenza n. 12685 in data 23/03 – 20/06/2016.

Ed invero, anche qui i suddetti motivi d’impugnazione presentano indubbi profili di improcedibilità.

Non può prescindersi, infatti, dal richiamo all’orientamento espresso da questa Corte, in base al quale, ai fini del rituale adempimento dell’onere, imposto al ricorrente dalla disposizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, è necessario indicare specificamente nel ricorso anche gli atti processuali su cui si fonda e di trascriverli nella loro completezza con riferimento alle parti oggetto di doglianza, provvedendo anche alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (cfr. Cass. 6 marzo 2012 n. 4220, 9 aprile 2013 n. 8569, cui adde Cass. 24 ottobre 2014 n. 22607).

Tale specifica indicazione, quando riguardi un documento, un contratto o un accordo collettivo prodotto in giudizio, postula quindi, che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità. E’ stato altresì precisato che “l’onere gravante sul ricorrente, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, di depositare, a pena di improcedibilità, copia dei contratti o degli accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda, può essere adempiuto, in base al principio di strumentalità delle forme processuali – nel rispetto del principio di cui all’art. 111 Cost., letto in coerenza con l’art. 6 della C.E.D.U., in funzione dello scopo di conseguire una decisione di merito in tempi ragionevoli – anche mediante la riproduzione, nel corpo dell’atto d’impugnazione, della sola norma contrattuale collettiva sulla quale si basano principalmente le doglianze, purchè il testo integrale del contratto collettivo sia stato prodotto nei precedenti gradi di giudizio, onde verificare l’esattezza dell’interpretazione fornita dal giudice di merito (v. Cass. 7 luglio 2014 n. 15437).

Può quindi affermarsi che il ricorrente per cassazione, ove intenda dolersi, come nella “specie, della erronea valutazione di un contratto collettivo da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 – di produrlo (integralmente) agli atti e di indicarne il contenuto. Il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovi l’accordo in questione; il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il contenuto dello stesso.

Nello specifico, la contrattazione collettiva Federambiente, ampiamente citata nei motivi di ricorso, unitamente pure agli accordi sindacali di cui alla quarta doglianza, non risulta in quale parte del fascicolo sia rinvenibile, nè se sia stato prodotto integralmente. Manca nel corpo del ricorso ogni utile riferimento al riguardo, laddove peraltro in calce alle conclusioni, a pag. 34 parte ricorrente si è limitata del tutto genericamente ad indicare come documentazione prodotta la copia della sentenza impugnata nonchè il fascicolo relativo alle fasi di merito (v. anche Cass. lav. n. 4350 del 4/3/2015, secondo cui nel giudizio di cassazione, l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi – imposto, a pena di improcedibilità del ricorso, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella formulazione di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – può dirsi soddisfatto soltanto con la produzione del testo integrale del contratto collettivo, adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione e necessario per l’applicazione del canone ermeneutico previsto dall’art. 1363 c.c.; nè, a tal fine, può considerarsi sufficiente il mero richiamo, in calce al ricorso, all’intero fascicolo di parte del giudizio di merito, ove manchi una puntuale indicazione del documento nell’elenco degli atti).

Ne deriva che gli anzidetti motivi, tutti come visto palesemente e strettamente connessi alla portata della citata contrattazione collettiva e degli altri accordi sindacali ivi menzionati, non si sottraggono alla sanzione della improcedibilità, espressamente prevista dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (Insieme col ricorso debbono essere depositati, sempre a pena di improcedibilità:…4) gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda).

Le spese di questo giudizio, infine, vanno poste a carico del soccombente.

PQM

La Corte dichiara IMPROCEDIBILE il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle relative spese, che liquida in Euro 3000,00 (tremila/00) per compensi professionali ed in Euro 100,00 (cento/00) per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge in favore di parte controricorrente.

Così deciso in Roma, il 14 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2016

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