Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26800 del 25/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 25/11/2020, (ud. 23/09/2020, dep. 25/11/2020), n.26800

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 5756/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore p.t., rappresentata e

difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici, in

Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

V.V., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Bufalini Maurizio e

Cecconi Maurizio ed elettivamente domiciliato presso lo studio del

secondo, in Roma, in via De Carolis, n. 34/B;

– resistente –

avverso la sentenza n. 33/16/12 della Commissione tributaria

regionale della Toscana, depositata il 9 luglio 2012 e non

notificata.

Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 23 settembre

2020 dal Consigliere Giudicepietro Andreina.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

l’Agenzia delle entrate ricorre con due motivi avverso V.V. per l’annullamento della sentenza n. 33/16/12 della Commissione tributaria regionale della Toscana (di seguito C.t.r.), depositata il 9 luglio 2012 e non notificata, che ha accolto l’appello del contribuente, riformando la sentenza di primo grado della Commissione tributaria provinciale di Siena, in controversia relativa alla impugnazione degli avvisi di accertamento per gli anni di imposta 2005 e 2006, con cui l’amministrazione aveva rilevato l’incompatibilità dei redditi dichiarati con la capacità di spesa dello stesso, desunta dalla disponibilità in esclusiva e/o pro quota di taluni beni e dalle spese sostenute negli anni considerati;

secondo la C.t.r. della Toscana, il contribuente aveva provato di non essere proprietario della imbarcazione da diporto di cm 960 e, quindi, l’incidenza di tale bene nel determinare il reddito ricorrendo gli strumenti presuntivi doveva limitarsi ai canoni di leasing di 18.110,00 Euro per l’anno 2005 e di 21.480,00 Euro per l’anno 2006, compatibili con i redditi dichiarati;

a seguito del ricorso il contribuente ha conferito procura ai difensori indicati in epigrafe;

il ricorso è stato fissato per la Camera di Consiglio del 30 gennaio 2020, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380-bis1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197;

il resistente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo, la ricorrente denunzia la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, commi 4 e 6, e del D.M. 10 settembre 1992, art. 2, (attuativo) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

secondo la ricorrente, ritenere, come ha fatto la C.t.r., che, ai fini dell’accertamento sintetico previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, rilevi soltanto la proprietà del bene si pone in netto contrasto con il quadro normativo;

in particolare, il D.M. 10 settembre 1992, art. 2 farebbe riferimento alla disponibilità del bene, categoria giuridica più ampia della proprietà;

con riferimento a tale disponibilità, non risulterebbe prodotta alcuna prova documentale al fine di dimostrare che i costi connessi alla gestione del bene siano stati sopportati anche da altri soggetti;

al riguardo la ricorrente afferma che è stato precisato dall’Ufficio che non può avervi contribuito la moglie, la quale ha dichiarato negli anni in questione redditi di circa 15.000,00 Euro, risultati del tutto incapienti e appena sufficienti a giustificare la capacità contributiva relativa alle proprie spese personali;

deduce, inoltre, che, ad ogni modo, la contribuzione effettuata da un soggetto in favore di un altro soggetto non andrebbe tassata in capo al secondo solo laddove l’imposta sia stata versata dal primo, cosa che non sarebbe avvenuta nel caso di specie;

infine, l’Agenzia delle Entrate afferma che l’Ufficio ha tenuto conto soltanto degli importi del leasing versati effettivamente negli anni in questione e che il valore attribuito al bene non concerne il prezzo di acquisto, ma traduce una stima del reddito attribuibile al contribuente in ragione della disponibilità di un dato bene;

non sarebbe, quindi, corretto l’assunto della C.t.r., secondo cui l’incidenza di tale bene nel determinare il reddito, ricorrendo agli strumenti presuntivi, doveva limitarsi ai canoni di leasing di 18.110,00 Euro per l’anno 2005 e di 21.480,00 Euro per l’anno 2006, compatibili con i redditi dichiarati;

con il secondo motivo, la ricorrente censura l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5);

secondo l’Agenzia delle entrate, dalla motivazione della sentenza non si evince da quali elementi la C.t.r. abbia tratto la convinzione che il contribuente abbia provato di non essere proprietario dell’imbarcazione da diporto;

nello specifico, non si comprenderebbe se l’assunto sia fondato sulla circostanza che il contribuente non aveva ancora riscattato il bene concesso in leasing oppure sulla circostanza che il bene fosse, di fatto, nella concreta disponibilità di altri;

la ricorrente, altresì, rileva che non si comprende alla stregua di quali valutazioni la C.T.R. abbia accolto il ricorso, atteso che quest’ultimo neppure richiama i contenuti specifici della sentenza di primo grado, nè dell’atto di appello predisposto dal contribuente e delle difese svolte dall’Ufficio in secondo grado di appello;

i motivi da esaminare congiuntamente perchè connessi, sono fondati e vanno accolti;

come chiarito da questa Corte, “in tema di accertamento tributario con metodo sintetico, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 (nel testo vigente ratione temporis tra la L. n. 413 del 1991 ed il D.L. n. 78 del 2010, conv. in L. n. 122 del 2010), l’Amministrazione finanziaria può presumere il reddito complessivo netto sulla base di una serie di indici di capacità contributiva sostanzialmente fondati sui consumi, tra cui la disponibilità dei beni e servizi descritti nella tabella allegata al D.M. 10 settembre 1992, ma anche sulla base di ulteriori circostanze di fatto indicative di una diversa capacità contributiva (come, ad esempio, le spese per incrementi patrimoniali, tra cui l’acquisto di un’azienda)” (Cass. n. 15289/15);

il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 (disciplinante, fra l’altro, il metodo di accertamento sintetico del reddito) prevede, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la L. n. 413 del 1991 e il D.L. n. 78 del 2010, convertito in L. n. 122 del 2010), al comma 4, la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui consumi);

nel procedere alla detta determinazione sintetica del reddito l’Ufficio deve valutare (secondo le modalità indicate nel D.M. 10 settembre 1992) la disponibilità di beni e servizi descritti nella tabella allegata al cit D.M., e può utilizzare anche elementi e circostanze di fatto indicativi di capacità contributiva diversi da quelli di cui alla tabella (cit D.M., art. 1, commi 1 e 2);

al citato art. 38, comma 5, contempla, invece, le “spese per incrementi patrimoniali”, cioè quelle – di solito elevate – sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente;

nel caso di specie, il giudice di appello ha valutato la compatibilità delle rate di mutuo con i redditi dichiarati, omettendo di considerare i consumi relativi al bene in oggetto;

inoltre, incorrendo in una motivazione in fatto insufficiente, la C.t.r., nell’affermare che il contribuente non aveva provato di non essere proprietario dell’imbarcazione da diporto, evidentemente perchè non aveva ancora riscattato il bene concesso in leasing, non ha chiarito in che maniera e misura tale circostanza influisse sulla concreta disponibilità del bene e sul sostenimento dei relativi costi di gestione;

il ricorso, quindi, va accolto;

la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla C.t.r. della Toscana, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.t.r. della Toscana, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2020

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