Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2680 del 04/02/2021

Cassazione civile sez. lav., 04/02/2021, (ud. 11/11/2020, dep. 04/02/2021), n.2680

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARIENZO Rosa – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11010-2017 proposto da:

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DARDANELLI 13, presso lo studio dell’avvocato LEONARDO ALESII, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

B.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1170/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/03/2017 r.g.n 4048/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/11/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LEO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

udito l’Avvocato LEONARDO ALESII.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte distrettuale di Roma, con la sentenza n. 1170/2017, pubblicata il 7.3.2017, confermava la pronunzia del Tribunale della stessa sede, resa il 10.9.2015, con la quale era stata dichiarata la prescrizione del diritto di Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. a ripetere, nei confronti del proprio ex dipendente B.G., la somma di Euro 2.155,52, oltre interessi, corrisposta al medesimo in esecuzione della sentenza del Pretore di Palermo del 4.3.1997, successivamente riformata dal Tribunale della stessa città con la sentenza n. 2317/1998, emessa il 7.11.1998, confermata in sede di legittimità con la sentenza n. 2663/2002. La Corte di Appello, per quel che ancora in questa sede rileva, osservava che “le domande di restituzione o di riduzione in pristino della parte che ha eseguito una prestazione in base ad una sentenza poi cassata può essere proposta, oltre che nell’eventuale giudizio di rinvio (ove la cassazione della sentenza sia stata pronunciata con rinvio ad altro giudice), anche in separata sede (come nel caso di cassazione senza rinvio della sentenza), atteso che le predette domande sono del tutto autonome da quelle dell’eventuale giudizio di rinvio, assolvendo all’esigenza di garantire all’interessato la possibilità di ottenere al più presto la restaurazione della situazione patrimoniale anteriore alla decisione cassata, a prescindere dal successivo sviluppo del giudizio (Cass. SS.UU. 12190 del 2.7.2004)”. Sottolineava, poi, che il diritto della società datrice ad ottenere la restituzione delle somme era soggetto a prescrizione decennale – data la ricordata autonomia della domanda restitutoria -, decorrente dalla data di pubblicazione della sentenza di riforma, ed altresì che il ricorso proposto in sede di gravame dalla Rete Ferroviaria Italiana S.p.A., avverso l’originaria sentenza pretorile di condanna, non aveva interrotto la prescrizione, non essendo stata formulata in quella sede dalla società l’autonoma domanda di restituzione, in caso di accoglimento dell’appello, delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza impugnata.

Per la cassazione della sentenza ricorre la Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. articolando due motivi, ulteriormente illustrati da memoria, ai sensi dell’art. 378 codice di rito.

B.G. è rimasto intimato.

La causa, inizialmente fissata all’adunanza camerale dell’11.9.2019, è stata rinviata a nuovo ruolo – e, successivamente, fissata alla pubblica udienza dell’11.11.2020 avendo il Collegio ritenuto che non sussistessero i presupposti per la trattazione della stessa in camera di consiglio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denunzia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2943 e 2945 c.c. e si deduce che la prescrizione del credito per la restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado era stata interrotta con il ricorso in appello, proposto dalla società avverso la stessa sentenza, e che l’effetto interruttivo permaneva sino al passaggio in giudicato della sentenza di riforma, avvenuto con la pubblicazione, in data 23.2.2002, della sentenza della Corte di legittimità (n. 2663/2002) che rigettava il ricorso del dipendente; pertanto, doveva considerarsi tempestiva la interruzione della prescrizione verificatasi a seguito dell’invio, da parte della società, della raccomandata di diffida e messa in mora del 13.1.2002, regolarmente ricevuta dal B. il 27.1.2002, in quanto “la pendenza del giudizio in Cassazione, di impugnativa della sentenza di appello, non consentiva di ritenere formatosi il “giudicato”, ovvero la sussistenza di situazione giuridica definitiva facente stato tra le parti”.

2. Con il secondo motivo si censura, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 2727 c.c., in tema di principio di non contestazione e valutazione delle prove, per avere la Corte di merito ritenuto “superflua ogni indagine in ordine all’effettivo pagamento di quanto stabilito nella sentenza del Pretore di Palermo” ed avere omesso di porre a fondamento della decisione le prove documentali depositate dalla società ed i fatti non specificamente contestati dal resistente, senza, peraltro, considerare che il lavoratore, non ha sollevato alcuna contestazione circa il dedotto pagamento delle somme richieste in restituzione dalla società, nè circa la loro quantificazione, e non ha allegato alcun documento fiscale o bancario atto a sconfessare la circostanza dell’effettivo versamento, in suo favore, dell’importo per cui è causa.

1.1. Il primo motivo non è fondato, in quanto la Corte territoriale è pervenuta alla decisione oggetto del presente giudizio uniformandosi agli ormai consolidati arresti giurisprudenziali della Suprema Corte nella materia, del tutto condivisi da questo Collegio, che non ravvisa ragioni per discostarsene – ed ai quali, ai sensi dell’art. 118 Disp. att. c.p.c., fa espresso richiamo (cfr., in particolare e tra le molte, Cass. nn. 6942/2019; 27131/2018) -, secondo cui “l’eliminazione, per effetto della L. 26 novembre 1990, n. 353, dell’inciso “con sentenza passata in giudicato” dal testo dell’art. 336 c.p.c., comma 2, ha comportato una immediata efficacia della sentenza di riforma (e di cassazione) sugli atti di esecuzione dipendenti dalla sentenza di primo grado riformata (ovvero di appello cassata)”, con la conseguenza che, “pubblicata la sentenza di riforma, viene meno” sia la efficacia esecutiva della pronunzia di condanna emessa in primo grado, sia la giustificazione degli atti di esecuzione compiuti, “siano essi spontanei o coattivi, con conseguente obbligo di restituzione delle somme riscosse e, in generale, del ripristino dello status quo ante” (v., ex multis, Cass. nn. 10124/2009; 5323/2009). Per la qual cosa, il termine di prescrizione del diritto alla restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza del primo giudice comincia a decorrere dalla data di pubblicazione della sentenza di riforma, ai sensi dell’art. 2935 c.c., e non dal momento, successivo del passaggio in giudicato della stessa sentenza. Peraltro, la stessa società ricorrente non ha contestato direttamente tali assunti, sostenendo, piuttosto, che la notifica dell’atto di gravame costituirebbe atto interruttivo della prescrizione, con effetti permanenti sino al passaggio in giudicato, anche della domanda di restituzione, ai sensi del combinato disposto dell’art. 2943 c.c., commi 1 e 2 e art. 2945 c.c., comma 2. Ma tale tesi sarebbe condivisibile nel caso in cui nell’atto di gravame – o nel corso del giudizio di secondo grado, nell’ipotesi di esecuzione avvenuta successivamente alla proposizione della impugnazione – fosse stata effettivamente proposta una domanda di restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della pronunzia di primo grado.

Ed invero, la giurisprudenza di legittimità “è consolidata nel senso della ammissibilità di una tale domanda, precisando che la stessa, essendo conseguente alla richiesta di modifica della decisione impugnata, non costituisce domanda nuova ed è perciò ammissibile in appello” (v., ex plurimis, Cass. nn. 18611/2013; 16152/2010; ed altresì nn. 10124/2009 e 5323/2009, citt.). Nel caso di specie, invece, come innanzi osservato, la relativa domanda è stata formulata, per la prima volta, mediante un autonomo giudizio, instaurato dopo più di dieci anni dalla pubblicazione della sentenza di riforma.

2.2. Il secondo motivo non è meritevole di accoglimento, perchè è formulato in violazione del principio, più volte ribadito da questa Corte, che definisce quale onere della parte ricorrente quello di indicare lo specifico atto precedente cui si riferisce (arg. ex art. 366, comma 1, n. 6 codice di rito), in modo tale da consentire alla Corte di legittimità di controllare ex actis la veridicità delle proprie asserzioni prima di esaminare il merito della questione (v., ex plurimis, Cass. n. 14541/2014). Il ricorso per cassazione deve, infatti, contenere tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed a consentire la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza che sia necessario fare rinvio a fonti esterne al ricorso e, quindi, ad elementi o atti concernenti il pregresso grado di giudizio di merito (cfr., tra le molte, Cass. n. 1435/2013; Cass. n. 23675/2013; Cass. n. 10551/2016). Nella fattispecie, invece, manca la specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti su cui il mezzo di impugnazione si fonda; in particolare, la parte ricorrente non ha prodotto, nè trascritto, nè indicato tra gli atti offerti in comunicazione unitamente al ricorso di legittimità, “la documentazione prodotta dalla società a fondamento della richiesta di restituzione delle somme percepite dal B. e non posta dal giudice di merito a fondamento del proprio convincimento, in palese violazione dell’art. 116 c.p.c.”, avendo il giudice “ritenuto superflua ogni indagine in ordine all’effettivo pagamento” (v. pag. 15 del ricorso).

Per la qual cosa, questa Corte non è stata messa in grado di poter apprezzare la veridicità della doglianza svolta con il mezzo di impugnazione.

3. Per tutto quanto esposto, il ricorso va rigettato.

4. Nulla va disposto in ordine alle spese del giudizio di legittimità, poichè il B. non ha svolto attività difensiva.

5. Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, secondo quanto specificato in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2021

 

 

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