Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 268 del 12/01/2021

Cassazione civile sez. III, 12/01/2021, (ud. 09/11/2020, dep. 12/01/2021), n.268

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35840/2018 proposto da:

B.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE SANTO 25,

presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI MERLA, che lo rappresenta e

difende unitamente agli avvocati CARMINE DI ZENZO, ROMANO

VACCARELLA, STEFANO GIORDANO;

– ricorrenti –

e contro

FINO 1 SECURITISATION SRL, e per essa il mandatario generale doBANNK

SPA, già UNICREDIT CORPORATE BANKING SPA, rappresentata e difesa

dall’avvocato FEDERICO SCANFERLATO, ed elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DI SAN VALENTINO N. 21, presso lo studio dell’avv.

Fabrizio CARBONETTI;

– controricorrente –

– avverso la sentenza n. 2510/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 07/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/11/2020 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

la UGC Banca s.p.a., quale mandataria di Unicredit Banca d’Impresa s.p.a., otteneva un decreto ingiuntivo nei confronti di B.M., B.G. e B.L., in forza di saldi debitori di conto corrente, mutui ipotecari, e altre ragioni creditorie, garantiti da fideiussioni, di cui una “omnibus”, quindi esercitate;

il Tribunale rigettava l’opposizione proposta dagli ingiunti con pronuncia confermata dalla Corte di appello secondo cui il motivo d’impugnazione articolato, relativo alla mancata ammissione di prove orali e di consulenza contabile, era per un verso aspecifico e per altro verso inidoneo a incidere sulla ragione decisoria, atteso che il perimetro del decidere, individuato dal Tribunale, era circoscritto all’escussione di fideiussioni relative a finanziamenti neppure contestati, sicchè le condotte del creditore, poste a base di una domanda riconvenzionale di danni, erano irrilevanti quanto alla sussistenza del debito, non constando illeciti dai documenti bancari acquisiti in atti, mentre la questione afferente a un libretto di deposito, introdotta per la prima volta inammissibilmente solo in appello, pur tenendo in disparte il divieto di “nova”, neppure poteva incidere sul complessivo contesto probatorio;

avverso questa decisione ricorre per cassazione B.M., anche quale erede con beneficio d’inventario di B.G. e B.L., articolando quattro motivi, corredati da memoria;

resiste con controricorso Fino 1 Securitisation s.r.l., e per essa la mandataria doBank s.p.a., già Unicredit Management Bank s.p.a..

Rilevato che:

con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 633 c.p.c., comma 2, art. 634 c.p.c., comma 2, art. 163 c.p.c., comma 3, n. 4, art. 183 c.p.c., comma 7, D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 50, art. 2697, c.c., poichè la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che:

a) non erano state chiarite le modalità con cui il credito si sarebbe formato 1nè le modalità di escussione delle fideiussioni, con rimandi a una parimenti generica motivazione della decisione di primo grado;

b) il Tribunale si era riferito a estratti conto mai inviati, sul punto

risultando ulteriore insufficienza motivazionale, essendo la banca, quale attore sostanziale, a dover provare anche la sussistenza dell’obbligazione principale inadempiuta, tanto più che non erano stati prodotti i contratti originari da cui poter inoltre evincere il rispetto dei limiti usurai imposti agli interessi accessori;

con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c., comma 7, art. 2697 c.c., poichè non erano state ammesse le prove per testi articolate e inerenti alla condotta illecita del creditore che, senza la necessaria buona fede e correttezza, aveva escusso la garanzia pignoratizia violando le regole del mandato, e aveva rifiutato la messa a disposizione di tutti i fondi, nella disponibilità della medesima Unicredit, sufficienti a pagare il debito, laddove, a fronte di una sentenza di prime cure motivata in via apparente senza esaminare i singoli documenti che avrebbero attestato il credito, avrebbe corrisposto una sentenza di appello che non faceva menzione delle richieste istruttorie, inclusa quella della consulenza contabile, che avrebbe potuto ricostruire i rapporti tra le parti;

con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione della L. n. 287 del 1990, artt. 2, 14, 20,33,34, art. 41 Cost., art. 101, Trattato UE, artt. 2697,2729 c.c., artt. 115,116 c.p.c., poichè la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare, per un verso che i crediti azionati erano già stati oggetto d’insinuazione fallimentare e dunque illegittimamente duplicati, e per altro verso che le due fideiussioni azionate erano state redatte secondo norme unificate ABI e ciò costituiva violazione della disciplina legislativa antimonopolistica, con conseguente nullità rilevabile d’ufficio;

con il quarto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2797,2804,2807,1710,1712,1713 c.c., poichè B.L. e G. avevano dato in pegno titoli non elencati nel ricorso monitorio contenente la domanda, con conseguente indeterminatezza dell’oggetto della garanzia, poi escussa ricavandone somme in ogni caso sufficienti a estinguere l’esposizione debitoria, senza che peraltro fosse stata dimostrata la vendita a mezzo di persona autorizzata, nè disposta l’esibizione della documentazione sulle modalità di vendita in uno alla consulenza contabile;

Rilevato che:

preliminarmente deve evidenziarsi che nella memoria, e correlata nota di produzione di documenti, la difesa ricorrente deduce che:

a) la giusta controparte processuale era la UGC Banca s.p.a., quale mandataria della Unicredit Banca d’Impresa s.p.a., relativamente alla cui notifica produceva, ex art. 372 c.p.c., l’avviso di ricevimento;

b) il controricorso della Fino 1 Securitisation s.r.l., e per essa la mandataria doBank s.p.a., già Unicredit Management Bank s.p.a., era inammissibile perchè, assumendo successioni a titolo particolare nella titolarità del credito, riferiva di fusioni societarie e, in particolare, allegava due cessioni in blocco ex L. n. 130 del 1999, senza che le relative Gazzette Ufficiali risultassero prodotte per constatare che fossero inclusi i crediti azionati nel giudizio;

osserva il Collegio che il successore a titolo particolare nel diritto controverso è legittimato a stare in giudizio, anche in quello per cassazione, a fronte di sentenza resa nei confronti del proprio dante causa, allegando il titolo che gli consenta di sostituire quest’ultimo, essendo a tal fine sufficiente la specifica indicazione dell’atto nell’intestazione dell’impugnazione, qualora il titolo stesso sia di natura pubblica e, quindi, di contenuto accertabile, e sia rimasto incontestato o non idoneamente contestato dalla controparte (cfr., da ultimo, sia pure in fattispecie speculare quanto alla posizione delle parti, Cass., 15/05/2020, n. 8975);

la difesa ricorrente:

i) non ha contestato i contenuti dei singoli atti pubblici notarili afferenti alle vicende societarie che si limita a riassumere;

ii) ha contestato poi solo genericamente le due cessioni c.d. “in blocco”, limitandosi ad affermare la mancata produzione in giudizio delle Gazzette Ufficiali, specificate dalla controparte come contenenti le cessioni secondo le prescrizioni della L. n. 130 del 1999, mentre si tratta di atti – proprio perciò – pubblici e verificabili senza che li si debba produrre in giudizio;

ne deriva che l’eccezione d’inammissibilità dev’essere disattesa;

nella medesima memoria, altresì, si richiama la decisione di questa Corte n. 22888 del 2019, con cui risulta cassata, in specie per difetto di motivazione, una sentenza della Corte di appello di Venezia pronunciata relativamente a parti e su fatti connessi a quelli dell’odierno giudizio, sostenendo la sussistenza di una connessione e, “conseguentemente” confidando nell’accoglimento del gravame qui in scrutinio (pag. 6);

osserva il Collegio che dalla decisione di questa Corte non è possibile comprendere la portata della pretesa connessione, fermo che non ne potrebbe discendere un elemento per l’accoglimento del ricorso qui esaminato;

nel merito cassatorio vale ciò che segue;

il primo motivo è in parte inammissibile, in parte infondato;

la Corte di appello ha seppur stringatamente motivato indicando che il giudizio era sull’escussione della fideiussione, e che il rapporto di finanziamento sotteso non era stato come tale neppure contestato (pag. 4, 5 capoverso);

non vi è specifica censura sulla mancata contestazione del rapporto se non adducendo questioni nuove, rispetto a quanto dimostrato oggetto di discussione in seconde cure, e, pertanto, in questa sede inammissibili: mancato invio degli estratti conto (ai quali parte ricorrente osserva che si era riferito il Tribunale e cui si è riferita evidentemente la Corte di appello menzionando, sia pure complessivamente, la documentazione bancaria); mancata produzione dei contratti sottesi; violazione del limite usuraio degli interessi; modalità di escussione delle garanzie;

al contempo, anche parte ricorrente riporta, come pure la sentenza impugnata, che il motivo di appello afferiva alla mancata ammissione di mezzi istruttori, sicchè non viene riferito se e in quali termini fossero state coltivate altre questioni con il gravame di merito (cfr. sin da pag. 9 del ricorso), come imposto dall’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6;

va inoltre ricordato che:

l’insufficienza motivazionale non può più essere motivo di ricorso per cassazione, essendo estranea alla formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, “ratione temporis” applicabile (cfr., ad esempio, Cass., 25/09/2018, n. 22598);

non è stata formulata specifica censura di più radicale violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, fermo che la motivazione della decisione di seconde cure è come visto decifrabile;

in questa cornice, non residua alcuna violazione dell’art. 2697 c.c., configurabile solamente quando il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendolo a una parte diversa da quella che ne era gravata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni (Cass., Sez. U., 05/08/2016, n. 16598, pag. 35 e succ. conf. tra cui, ad esempio, Cass., 15/05/2020, n. 8994, pag. 5, e Cass., 13/10/2020, n. 22110, pag. 11);

è appena il caso di osservare che la menzione delle condizioni per l’adozione del decreto ingiuntivo sono del tutto irrilevanti, atteso che con l’opposizione allo stesso si è instaurato, logicamente, un ordinario giudizio di cognizione;

anche il secondo motivo è in parte inammissibile, in parte infondato;

fermo quanto appena detto in ordine all’art. 2697, c.c., e alla riconoscibilità della motivazione, e fermo che sussiste, nel caso, il limite non eludibile posto dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5 (nel senso che non è stato dimostrato, nel ricorso, che il doppio rigetto nel merito sia stato fondato su ragioni differenti: Cass., 22/12/2016, n. 26774, Cass., 06/08/2019, n. 20994), va aggiunto che:

parimenti nuova risulta la questione delle modalità di escussione della garanzia pignoratizia;

le prove per testi riportate (a pag. 19 del ricorso) non si comprende a supporto di quali specifiche domande fossero state articolate, di danni o piuttosto d’inesistenza dell’inadempimento a seguito di rifiuto della prestazione da parte del creditore, atteso che si parla di richiesta di “messa a disposizione di adeguate somme già depositate”;

– l’addebito di mancata menzione delle richieste istruttorie (pag. 23, 1 rigo, del ricorso), non è fondato, atteso che la Corte territoriale le menziona e le ritiene da una parte irrilevanti (pag. 4, 6 capoverso, della sentenza impugnata) quanto alla sussistenza del credito e della garanzia, dall’altra non indotte dalla documentazione bancaria acquisita (stesso capoverso da ultimo evocato) o comunque inibite dalla residua aspecificità rilevata (pag. 5, 1 capoverso, tenuto conto che l’unico motivo d’impugnazione rilevato era appunto quello afferente alle istanze istruttorie: cfr. pagg. 3-4);

il terzo e quarto motivo, da esaminare congiuntamente per connessione, sono inammissibili;

le censure, come pure eccepito in controricorso, propongono questioni di cui non è minimamente dimostrata l’allegazione nelle fasi di merito, e quindi nuove e come tali precluse prim’ancora che possa venire in rilievo il tema della rilevabilità officiosa delle ipotizzate nullità;

spese secondo soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese della controricorrente liquidate in Euro 12.200,00 oltre a 200,00 per esborsi, oltre a spese forfettarie e accessori legali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 9 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2021

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