Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26798 del 29/11/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 26798 Anno 2013
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: CARLUCCIO GIUSEPPA

SENTENZA

sul ricorso 27481-2007 proposto da:
BARILLA’ MANUELA, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA PIERLUIGI DA PALESTRINA 63, presso lo studio
dell’avvocato CONTALDI MARIO, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato MAGRI CARL’ALBERTO
giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013

contro

2020

VIGNA ERNESTINO;
– intimato –

avverso la sentenza n. 374/2006 del TRIBUNALE DI

1

Data pubblicazione: 29/11/2013

LUCCA SEDE DISTACCATA DI VIAREGGIO, depositata il
21/10/2006 R.G.N. 10094/04;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 05/11/2013 dal Consigliere Dott. GIUSEPPA
CARLUCCIO;

Generale Dott. CARMELO SGROI che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso e cassazione senza rinvio.

2

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Ernestino Vigna propose opposizione al precetto, con il quale la moglie
Manuela Barillà gli aveva intimato – sulla base della sentenza di
cessazione degli effetti civili del matrimonio del luglio 1986 – il
pagamento del contributo di mantenimento dei figli (Gianmaria e
Veronica), pari a £250.000 mensili, per il periodo dal marzo 1999 al
dicembre del 2003 (per complessivi euro 9.332,92).

esecuzione per il periodo dal marzo 1999 alla data in cui ciascuno dei figli
aveva contratto matrimonio; precisamente, sino al 24 giugno 2000,
quanto al contributo per la figlia; sino al 28 luglio 2001, quanto al
contributo per il figlio (sentenza del 21 ottobre 2006).
2. Avverso la suddetta sentenza Barillà ricorre per cassazione con unico
motivo.
Il Vigna, ritualmente intimato non svolge difese.
MOTIVI DELLA DECISIONE.
1. Il giudice di merito, premesso che il credito riconosciuto nel titolo
esecutivo costituito dalla sentenza non era condizionato, né al
raggiungimento della maggiore età, né all’indipendenza economica dei
figli, nonché che queste circostanze sopravvenute avrebbero potuto
legittimare la revisione ai sensi dell’art. 9 della legge sul divorzio, non
richiesta dal debitore, ha ritenuto che – venendo in rilievo diritti
disponibili a far tempo della maggiore età (dal 1990 per il figlio, dal 1991
per la figlia) – dovesse esaminarsi se vi fosse stata remissione di debito
da parte della Barillà, possibile anche attraverso comportamenti
concludenti. Quindi, esaminata la missiva inviata dalla Barillà, a mezzo
del legale, in data 11 febbraio 2003, l’ha interpretata come remissione
del debito, quanto meno a far tempo dalla data in cui i figli si erano
sposati.
2. Con l’unico motivo di ricorso, la Barillà deduce violazione dell’art. 112
cod. proc. civ. Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto:<<... se il giudice di merito possa d'ufficio dichiarare l'estinzione del credito azionato per remissione del debito, senza che la parte obbligata abbia ritualmente proposto un'eccezione in tal senso». 3 Il Tribunale di Lucca dichiarò il diritto di Barillà di procedere ad 2.1. Il motivo è inammissibile; è violato l'art. 366 bis cod. proc. civ., applicabile ratione temporis. 2.2. Secondo la giurisprudenza consolidata di legittimità, il quesito di diritto deve essere formulato in modo tale da esplicitare una sintesi logico giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di applicazione anche in casi ulteriori, rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Esso deve sottoposti al giudice di merito (siccome da questi ritenuti per veri, mancando, altrimenti, la critica di pertinenza alla ratio decidendi della sentenza impugnata) b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata da quel giudice; c) la diversa regola di diritto applicabile che ad avviso del ricorrente - si sarebbe dovuta applicare al caso di specie. Il quesito, quindi, non deve risolversi in una enunciazione di carattere generico e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente; né si può desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione della norma. Nella specie, il quesito è, all'evidenza, astratto e indeterminato, mancando ogni concreto riferimento alla specie. 3. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Non avendo l'intimato svolto attività difensiva, non sussistono le condizioni per la pronuncia in ordine alle spese processuali. P.Q.M. LA CORTE DI CASSAZIONE dichiara inammissibile il ricorso. Così deciso in Roma, il 5 novembre 2013 Il consigliere estensore comprendere: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto

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