Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26797 del 23/10/2018

Cassazione civile sez. II, 23/10/2018, (ud. 11/07/2018, dep. 23/10/2018), n.26797

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14728-2014 proposto da:

S.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI PULCI 4,

presso lo studio dell’avvocato ANDREA LUCIBELLO, che la rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

N.M., M.P., SB.GI.,

B.M.A., D.F.M.S., BA.SE., P.D.,

MA.CA., nonchè MA.MA., NU.LU., NU.VA.,

nu.la., questi ultimi quattro quali eredi di Nu.Ge.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA SANT’AGATONE PAPA 50, presso

lo studio dell’avvocato CATERINA MELE, che li rappresenta e difende;

– c/ricorrenti e ricorrenti incidentali –

e contro

SOCIETA’ COSTRUZIONI EDILIZIA SERENA srl,in persona del Curatore

speciale pro tempore, MA.VE.AN.MA., A.A.,

C.G., MA.VI., PE.AN.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1894/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 20/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/07/2018 dal Consigliere GIUSEPPE GRASSO;

lette le conclusioni del P.M. in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CELESTE ALBERTO, che ha concluso per l’accoglimento

dei ricorsi principale ed incidentale condizionato.

Fatto

RITENUTO

che la Corte d’appello di Roma, accolto l’appello proposto da N.M., M.P., Sb.Gi., Nu.Ge., B.M.A., D.F.M.S., Ma.Ca., Ba.Se., Ma.Ve.An., P.D. e A.A., tutti condomini dello stabile sito in (OMISSIS), nei confronti di S.L. e della s.r.l. Società Costruzioni Edilizie Serena, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarò acquistata per usucapione l’area puntualmente indicata in dispositivo;

che, per quel che è qui di utilità occorre chiarire della vicenda quanto appresso: gli appellanti avevano agito in giudizio prospettando la nullità del preliminare e dell’atto definitivo, con il quale la S., a sua volta condomina dello stesso edificio, aveva acquistato, il 6/11/2000, dalla società costruttrice, dal 1965 posta in liquidazione e cancellata dal registro delle imprese nel 1975, l’area di distacco antistante il fabbricato, nonchè, l’acquisto per usucapione dell’area predetta;

ritenuto che S.L. propone ricorso per cassazione avverso la statuizione di cui sopra, prospettando due motivi di censura;

che gli intimati resistono con controricorso, in seno al quale svolgono ricorso incidentale condizionato, sulla base di tre motivi, ulteriormente illustrato da memoria;

ritenuto che con il primo motivo il ricorso lamenta “violazione e falsa applicazione di norme di diritto”, in quanto gli attori, “dichiaratisi comproprietari, in alcun modo avrebbero potuto usucapire il bene di cui erano in compossesso con gli altri condomini, se non possedendolo essi stessi “animo domini”, “per il tempo necessario” in modo inconciliabile con la possibilità di fatto di un godimento comune”.

Diritto

CONSIDERATO

che il motivo è inammissibile per due ragioni, ognuna delle quali idonea a sorreggere l’epilogo:

a) pur vero che, pur in presenza di omissione d’individuazione della norma denunziata come violata, il ricorso può reputarsi ammissibile ove gli argomenti addotti dal ricorrente consentano una tale individuazione (cfr., Sez. 5, n. 21819, 20/9/2017), tuttavia nel caso in esame una tale sussunzione non risulta possibile, senza integrare, e nella sostanza, il motivo di ricorso, il quale afferma un principio affatto diverso rispetto a quello ricavabile dall’assetto normativo al quale si potrebbe fare riferimento (art. 1164 c.c.), stante che qui l’azione viene esperita da un gruppo di condòmini non nei confronti di altro condomino in quanto tale, ma di un acquirente dell’area (la S.);

b) un tale potere d’integrazione non può essere esercitato da questa Corte, la quale è tenuta al rispetto della soglia d’ammissibilità imposta dalla griglia normativa di cui al combinato disposto degli artt. 360 e 366 c.p.c.;

c) il motivo, in ogni caso, non supererebbe il vaglio di specificità, non avendo contrapposto apprezzabile critica alla pronuncia d’appello, la quale ha fatto corretta applicazione del principio di diritto più volte enunciato da questa Corte, secondo il quale le azioni a difesa o a vantaggio della cosa comune possono essere esperite dai singoli condomini senza che sia necessaria l’integrazione del contradditorio nei confronti degli altri partecipanti alla comunione (Sez. 2, n. 4345, 7/4/2000, Rv. 535400);

ritenuto che con il secondo motivo la ricorrente denunzia omesso esame di “un fatto decisivo”, esponendo che:

– la gran parte degli attori non aveva acquistato la propria unità abitativa dalla società costruttrice, ma, in epoca successiva, da altri;

– andava dimostrata sussistenza e continuità del possesso per ciascuno di loro;

– la sentenza si era posta in contrasto con le risultanze istruttorie (testi R. e L.);

considerato che anche l’esposta doglianza non supera la soglia dell’ammissibilità, in quanto:

a) l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; in definitiva la norma in parola consente il ricorso solo in presenza di omissione della motivazione su un punto controverso e decisivo (dovendosi assimilare alla vera e propria omissione le ipotesi di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione) – S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 62, ord., n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914), omissione che qui non si rileva affatto, avendo la Corte locale puntualmente chiarito le emergenze probatorie sulle quali fonda il proprio convincimento (presenza di stalli fissi per il posteggio, chiusura con cancello dell’area, ecc.); in altri termini, come si è anticipato, il ricorso invoca un inammissibile globale riesame di merito, peraltro, sulla base di mere vaghe congetture;

b) sommamente aspecifico deve giudicarsi l’asserto secondo il quale non sarebbe stata provata continuità del possesso dell’area per ognuno degli attori, non si rinvengono, infatti, le specifiche ragioni di una tale affermazione, del tutto sommaria e generica, a fronte del ragionamento decisorio;

considerato che, di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”;

considerato che l’epilogo esonera dal prendere in esame il ricorso incidentale condizionato, il quale resta assorbito;

considerato che spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi, in favore dei controricorrenti siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività espletate;

che ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte della ricorrente, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2018

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