Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26796 del 25/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 25/11/2020, (ud. 17/09/2020, dep. 25/11/2020), n.26796

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. VECCHIO Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23375/2014 proposto da:

RONDINE s.r.l. (C.F.: (OMISSIS) – P.IVA: (OMISSIS)), con sede in

(OMISSIS), in persona dell’amministratore legale rappresentante pro

tempore S.A., ST.GI. (C.F.: (OMISSIS)) e

V.V.S. (C.F.: (OMISSIS)), entrambi residenti in

(OMISSIS), tutti rappresentati e difesi dall’Avv. Patti Alessandro

ed elettivamente domiciliati presso lo studio dello stesso in Merate

(LC), alla Via De Gasperi n. 113, e presso la Cancelleria Civile

della Suprema Corte di Cassazione, come da procura speciale in calce

al ricorso;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Direttore

p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato

(C.F.: (OMISSIS)), presso i cui uffici in Roma, alla Via dei

Portoghesi n. 12, è domiciliata ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1571/38/2014 emessa dalla CTR Lombardia in

data 26/03/2014 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. Penta

Andrea.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

La società RONDINE S.r.l. proponeva tempestivo ricorso avverso l’avviso di rettifica e liquidazione di imposta ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali con cui l’Agenzia delie Entrate, Direzione Provinciale di Milano 1, relativamente all’atto di compravendita datato 24.2.2009 con cui la predetta contribuente aveva acquistato un terreno sito nel Comune di Cornate d’Adda, aveva elevato il valere dichiarato in atto da Euro 1.365.000 ad Euro 2.385.112,50.

La Commissione Provinciale adita in primo grado accoglieva parzialmente il ricorso, reputando probante la perizia di parte redatta prima della compravendita e riducendo, quindi, il valore accertato ad Euro 1.467.270. Contro questa decisione proponeva appello l’Ufficio.

Restava contumace la contribuente.

Con sentenza del 26.3.2014 la CTR Lombardia accoglieva l’appello e, per l’effetto, rigettava l’originario ricorso della contribuente, sulla base delle seguenti considerazioni:

1) essendo i mediatori del F.I.M.A. soggetti indipendenti, ben poteva prendersi atto delle loro rilevazioni, che presentavano una credibilità maggiore di quella attribuibile ad una perizia di parte;

2) doveva, pertanto, ritenersi che il giudice di prime cure, oltre a non avere adeguatamente motivato la pronuncia, non avesse fatto corretta applicazione dei criteri di quantificazione del valore richiesti dalle norme dettate in materia, che, invece, l’Ufficio aveva pertinentemente utilizzato.

Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso la Rondine s.r.l., St.Gi. e V.V.S., sulla base di quattro motivi.

L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono la nullità della sentenza e del procedimento, con riferimento agli artt. 156 e 161 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non aver la CTR considerato che la notifica dell’atto di appello di controparte era avvenuta a mezzo di raccomandata a/r presso il domicilio da essi eletto con un unico atto notificato per tutti e tre gli appellati, con conseguente nullità della notifica e della sentenza ciò nonostante emanata.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la nullità della sentenza per violazione del D.L. n. 546 del 1992, art. 31 e art. 24 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non aver la CTR rilevato che, avendo essi conferito al rag. B.E. il mandato ad assisterli e rappresentarli nel procedimento in ogni stato e grado, dovevano essere considerati come costituiti anche in grado di appello, con la conseguenza che avrebbero dovuto ricevere la comunicazione dell’avviso di trattazione, in mancanza della quale la sentenza emessa doveva reputarsi nulla.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa della parte appellata, ex art. 24 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non aver la CTR considerato che, in mancanza della comunicazione anche alle parti non ancora costituite dell’avviso di trattazione della controversia, le dette parti non sarebbero poste nelle condizioni di esercitare i propri diritti di difesa, tra i quali andrebbe ricompresa la facoltà di costituirsi in giudizio anche direttamente all’udienza o, almeno, fino a 5 giorni prima della camera di consiglio.

3.1. I tre motivi, da trattarsi congiuntamente, siccome strettamente connessi, sono inammissibili e, comunque, infondati.

Quanto alla prima doglianza, l’inammissibilità va dichiarata in base all’art. 360-bis c.p.c., n. 1), (cfr. Sez. U, Sentenza n. 7155 del 21/03/2017), avendo la CTR deciso la questione di diritto in modo conforme alla giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte e non avendo i ricorrenti offerto elementi per mutare l’orientamento.

Invero, le Sezioni Unite di questa Corte hanno statuito che la notificazione dell’atto d’impugnazione eseguita presso il procuratore costituito per più parti, mediante consegna di una sola copia (o di un numero inferiore), è valida ed efficace sia nel processo ordinario che in quello tributario, in virtù della generale applicazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, alla luce del quale deve ritenersi che non solo in ordine alle notificazioni endoprocessuali, regolate dall’art. 170 c.p.c., ma anche per quelle disciplinate dall’art. 330 c.p.c., comma 1, il procuratore costituito non è un mero consegnatario dell’atto di impugnazione, ma ne è il destinatario, analogamente a quanto si verifica in ordine alla notificazione della sentenza a fini della decorrenza del termine d’impugnazione ex art. 285 c.p.c., in quanto investito dell’inderogabile obbligo di fornire, anche in virtù dello sviluppo degli strumenti tecnici di riproduzione degli atti, ai propri rappresentati tutte le informazioni relative allo svolgimento e all’esito del processo (Sez. U, Sentenza n. 29290 del 15/12/2008).

L’orientamento è stato più volte successivamente ribadito dalle sezioni semplici (cfr., fra le tante, Sez. 5, Sentenza n. 18034 del 06/08/2009 e Sez. 3, Sentenza n. 6051 del 12/03/2010).

In quest’ottica, l’art. 330 c.p.c., nel prevedere che l’impugnazione deve essere notificata presso il procuratore costituito, non contiene una mera indicazione del luogo di notifica, ma identifica nel detto procuratore il destinatario di essa in forza di una proroga ex lege dei poteri conferitigli con la procura alle liti per il giudizio a quo.

Premesso che l’obbligo, a carico del difensore, di fornire informazioni al proprio assistito sullo svolgimento e sull’esito del processo (e, di riflesso, sull’opportunità o meno di impugnare la sentenza) può essere assolto, come è ovvio che sia, anche nel caso in cui gli sia stata consegnata un’unica copia dell’impugnazione, ritenere che, in caso di consegna di quest’unica copia sia necessaria una rinnovazione della notifica rappresenterebbe un mero formalismo, in contrasto con le esigenze di efficienza e di semplificazione, le quali impongono di privilegiare interpretazioni coerenti con la finalità di rendere giustizia in un tempo ragionevole. Ciò alla luce della necessità di dare alle norme una lettura costituzionalmente orientata.

D’altra parte, in tal senso è inequivoco il tenore letterale dell’art. 170 c.p.c., comma 2 (richiamato dall’art. 330 c.p.c., comma 1), secondo cui è sufficiente la consegna di una sola copia dell’atto, anche se il procuratore è costituito per più parti.

Fermo restando che nel caso di specie la procura era stata espressamente estesa ai gradi successivi al primo, la circostanza per cui le parti assistite dall’unico procuratore potrebbero avere posizioni processuali non coincidenti è irrilevante e, comunque, nel caso in esame, del tutto ipotetica ed astratta, al pari di quella concernente la possibilità che solo alcune delle parti confermino, per i gradi successivi al primo, il mandato al procuratore.

3.2. La seconda doglianza si rivela manifestamente infondata, se solo si considera che la notifica dell’atto di appello attraverso la consegna di una sola copia al difensore di più parti era, come visto nell’analizzare la precedente censura, valida, che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 31 prescrive la comunicazione alle sole parti costituite della data di trattazione almeno 30 giorni liberi prima e che le odierne ricorrenti non si sono incontestabilmente costituite in occasione del giudizio di secondo grado. Nel processo tributario, il diritto della parte alla comunicazione dell’avviso di trattazione del giudizio di appello, D.Lgs. n. 546 del 1992,ex art. 31, è condizionato ad un atto di diligenza processuale, rappresentato dalla costituzione in giudizio, la cui omissione, corrispondendo ad una scelta legittima della stessa parte, le impedisce di dolersi della lesione del suo diritto di difesa (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11103 del 05/05/2017).

3.3. Il rilievo che precede va esteso anche alla terza censura, in relazione alla quale va aggiunto che già in passato è stata condivisibilmente reputata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 31, nella parte in cui non prevede che la comunicazione della data fissata per la trattazione del ricorso debba essere data anche alla parte non costituita (nella specie, nel giudizio di appello): premesso infatti che non esiste un principio costituzionalmente rilevante di necessaria uniformità di regole tra i diversi tipi di processo, sicchè i diversi ordinamenti processuali ben possono differenziarsi sulla base di una scelta razionale del legislatore, derivante dal tipo di configurazione del processo e delle situazioni sostanziali dedotte in giudizio, anche in relazione all’epoca della disciplina ed alle tradizioni storiche di ciascun procedimento, nel processo tributario il diritto della parte all’informazione è, come si è visto, condizionato ad un atto di diligenza processuale, rappresentato dalla costituzione in giudizio, la cui omissione, corrispondendo ad una scelta legittima della stessa parte, le impedisce di dolersi della lesione del suo diritto di difesa (Sez. 5, Sentenza n. 24520 del 21/11/2005)

4. Con il quarto motivo i ricorrenti si dolgono della “violazione o falsa applicazione di norme di diritto”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), e della omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non aver la CTR considerato che il valore del bene era stato erroneamente, a loro dire, rettificato in modo uniforme con riferimento all’intero immobile e che il prezziario delle compravendite preso in considerazione si riferiva ad un Comune che presentava caratteristiche differenti da quello nel quale era ubicato il terreno in oggetto, come evidenziato nella perizia di parte prodotta.

Il motivo è per più versi inammissibile.

In primo luogo, in palese violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), i ricorrenti hanno omesso di indicare le norme di diritto su cui il motivo si fonderebbe, non desumibili neppure dallo sviluppo logico dello stesso.

In secondo luogo, con il motivo in esame, i ricorrenti – lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalle norme di legge richiamate – allegano un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica della ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sè incontroverso, insistendo propriamente nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo. Infatti, è appena il caso di rilevare come la combinata valutazione delle circostanze di fatto indicate dalla corte territoriale a fondamento del ragionamento probatorio in concreto eseguito (secondo il meccanismo presuntivo di cui all’art. 2729 c.c.) non può in alcun modo considerarsi fondata su indici privi, ictu oculi, di quella minima capacità rappresentativa suscettibile di giustificare l’apprezzamento ricostruttivo che il giudice del merito ha ritenuto di porre a fondamento del ragionamento probatorio argomentato in sentenza. Nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe dei motivi d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dagli odierni ricorrenti deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o delle circostanze ritenute rilevanti. Si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato. Ciò posto, i motivi d’impugnazione così formulati devono ritenersi inammissibili, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi (Sez. 3, Sentenza n. 10385 del 18/05/2005, Rv. 581564; Sez. 5, Sentenza n. 9185 del 21/04/2011, Rv. 616892), non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti.

4.2. Quanto al profilo motivazionale, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, anche se i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (cfr., di recente, fra le tante, Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018).

Fermo restando che non si è al cospetto di una motivazione mancante o apparente (avendo la CTR dedicato al profilo in oggetto l’intera motivazione di circa una pagina), i ricorrenti non hanno neppure trascritto, in violazione del principio di specificità, le censure che avrebbero reiterato in sede di appello.

In definitiva, i ricorrenti sollecitano, a ben vedere, una complessiva rivisitazione delle risultanze istruttorie, preclusa in sede di legittimità.

5. In conclusione, il ricorso non merita accoglimento.

Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Ricorrono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), per il raddoppio del versamento del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna le ricorrenti al rimborso delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 5500,00 oltre spese prenotate a debito.

Dichiara la parte ricorrente tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della V Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 17 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2020

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