Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26796 del 23/10/2018

Cassazione civile sez. II, 23/10/2018, (ud. 03/07/2018, dep. 23/10/2018), n.26796

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CORRENTI Vincenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonino – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 14098/2014 R.G. proposto da:

M.A. e R.M.C., rappresentati e difesi

dall’avv. Natale Arena e Carlo Mazzù, con domicilio eletto in Roma,

Via Lucrezio Caro n. 62, presso lo studio dell’avv. Sabina Ciccotti;

– ricorrenti –

contro

Sea Power s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa dall’avv. Antonino Mazzei, con domicilio

eletto in Mezzina, alla Via Maffei n. 5;

– controricorrente –

nonchè

B.G.;

– intimato –

avverso la sentenza del Tribunale di Messina n. 2205/2012, depositata

il 26.11.2012;

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 3.7.2018 dal

Consigliere Giuseppe Fortunato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Sea Power s.r.l., proprietaria di un immobile sito nel corpo (OMISSIS) del (OMISSIS), ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Messina gli attuali ricorrenti e B.G., assumendo che M.A. e R.M.C. avevano edificato sulla loro terrazza una sopraelevazione mentre il B. aveva costruito un muro di tre metri, opere collocate a distanza illegale rispetto alle vedute esistenti sulla proprietà della società attrice.

Ha chiesto di condannare i convenuti alla demolizione dei manufatti, con vittoria delle spese processuali.

Questi ultimi, resistendo alla domanda, hanno dedotto l’inapplicabilità in materia di condominio delle norme sulle distanze, assumendo inoltre che la società costruttrice degli immobili aveva concesso a tutti gli acquirenti delle singole porzioni il diritto di sopraelevare e che, in forza di tale autorizzazione, la Sea Power aveva costruito tre distinte unità immobiliari, aggravando la precedente servitù mediante la creazione di una nuova veduta ed imponendo una illegittima servitù di stillicidio.

Hanno chiesto il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, di condannare la società attrice all’eliminazione delle vedute illegittime e della servitù di stillicidio, oltre al risarcimento dei danni.

B.G. ha resistito alla domanda, assumendo di aver acquistato il diritto di mantenere il manufatto nel luogo in cui si trovava.

Il Tribunale ha ordinato ad M.A. e a R.M.C. di arretrare la sopraelevazione fino alla distanza di tre metri dalla veduta diretta della società attrice e a B.G. di arretrare il muro fino alla distanza di mt. 0,75 dalla veduta obliqua, respingendo le riconvenzionali.

La Corte distrettuale di Messina ha dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., l’appello principale proposto dagli attuali ricorrenti e ha ritenuto tardivo l’appello incidentale proposto dal B..

Per la cassazione della pronuncia del Tribunale di Messina n. 2205/2012 M.A. e R.M.C. hanno proposto ricorso in 5 motivi, illustrati con memoria.

La Sea Power ha resistito con controricorso e con memoria illustrativa mentre B.G. non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo censura la violazione degli artt. 1362,1363,1062 c.c., art. 2643 c.c., n. 5 e art. 2644 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza erroneamente interpretato la clausola del contratto di acquisto degli immobili ove consentiva la realizzazione delle sopraelevazioni sulle terrazze di rispettiva proprietà, non tenendo conto del contenuto dell’intero contratto e dello stato dei luoghi, da cui si evinceva che le parti avevano rinunciato al diritto di veduta ed era stata esclusa la costituzione di servitù reciproche per destinazione del padre di famiglia.

Il motivo è inammissibile.

Il ricorso si limita a prospettare una diversa interpretazione del contenuto degli atti di acquisto, senza illustrare le ragioni per le quali sarebbero stati violati i criteri di interpretazione sistematica di cui all’art. 1362 c.c., comma 2 e senza indicare quali clausole non siano state prese in esame dal giudice di merito, il quale ha invece motivatamente ritenuto che i contratti escludessero il diritto alle indennità di sopraelevazione e quanto eventualmente spettante per le sole molestie ed i disturbi cagionati dall’esecuzione delle opere ma con salvezza dei rispettivi diritti di veduta.

L’interpretazione dei contratti e degli atti negoziali in genere, in quanto accertamento della comune volontà delle parti, costituisce attività esclusiva del giudice di merito, dovendo il sindacato riservato al giudice di legittimità limitarsi alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale.

Il ricorrente che ne deduca la violazione, deve precisare in quale modo il ragionamento del giudice se ne sia discostato, non essendo sufficiente un astratto richiamo ai criteri asseritamente violati e neppure una critica della ricostruzione della volontà dei contraenti che, benchè genericamente riferibile alla violazione denunciata, si riduca, come nella specie, alla mera prospettazione di un risultato interpretativo diverso da quello accolto nella sentenza impugnata (Cass. n. 25728/2013; Cass. 1754/2006).

Non potendo essere cassata la statuizione con cui il Tribunale ha ritenuto che le parti non avessero rinunciato, con i rispettivi atti di acquisto, all’esercizio del diritto di veduta, le ulteriori contestazioni sono assorbite, vertendo su questioni che presuppongono l’insussistenza del diritto alla veduta che è smentita dalla sentenza impugnata.

2. Il secondo motivo censura la violazione degli artt. 905,907 e 1062 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, asserendo che, venuta meno la proprietà dell’intero immobile in capo all’originario titolare, la costituzione di servitù reciproche di veduta tra le diverse porzioni alienate era stata impedita dalla rinuncia contenuta nei singoli atti di trasferimento e che, nel caso concreto, proprio tale rinuncia consentiva la realizzazione della sopraelevazione a distanza inferiore a quella prescritta dal codice civile.

La censura è assorbita, poichè, per effetto del rigetto del primo motivo e stante la definitività dell’interpretazione delle clausole contrattuali operata dal giudice di merito, non può ritenersi perfezionata alcuna rinuncia al diritto di veduta e pertanto i ricorrenti erano tenuti a arretrare la loro costruzione e a rispettare la distanza imposta dall’art. 907 c.c..

3. Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 871,872,873 e 907 c.c., D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 e dell’art. 3 della norme tecniche attuazione del piano regolatore del Comune di Messina, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza omesso di considerare che le parti avevano derogato alla disciplina condominiale, prevedendo la possibilità di sopraelevare senza osservare le distanze dalle vedute, escludendo la nascita di servitù reciproche per destinazione del padre di famiglia, e per aver trascurato che la società resistente, nel realizzare la sopraelevazione e nell’aprire nuove vedute, aveva a sua volta violato la distanza di cinque metri dal confine.

Il quarto motivo censura la violazione dell’art. 1067 c.c., comma 1, artt. 115,183 e 359 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver il tribunale escluso che la resistente avesse ampliato il preesistente diritto di veduta, non considerando che quest’ultima vi aveva rinunciato e che la sopraelevazione costituiva una nuova costruzione e doveva esser tenuta alla distanza di cinque metri dal confine, prescritta dalla normativa locale, lamentando inoltre che dovevano essere i mezzi di prova richiesti dai ricorrenti volti a provare il carattere abusivo della costruzione.

I due motivi, che possono esaminati congiuntamente, sono assorbiti per quanto concerne la sussistenza dei una presunta rinuncia del diritto a tenere le costruzioni a distanza legale dalle vedute, mentre sono inammissibili riguardo alla prospettata violazione della norme sulle distanze, poichè la sentenza ha dato atto che i ricorrenti avevano lamentato esclusivamente un aggravamento del diritto di veduta per effetto delle nuove aperture realizzate dalla resistente sulla porzione sopraelevata, mentre non risulta introdotta alcuna richiesta volta a far accertare che la costruzione della resistente era stata edificata in violazione delle distanze imposte dagli strumenti urbanistici locali (nè il ricorso chiarisce dove e quando detta deduzione sia stata proposta), il che ne preclude l’esame in sede di legittimità.

4. Il quinto motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c. e del D.P.R. n. 115 del 2012, art. 13, comma 1 quater, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la Corte distrettuale posto le spese di giudizio a carico dei ricorrenti benchè non sussistessero i presupposti della soccombenza.

Il motivo è infondato poichè la sentenza ha posto a carico della parte soccombente l’onere delle spese processuali, non incorrendo nella violazione dell’art. 92 c.p.c. e tale statuizione va confermata anche in base all’esito del presente giudizio di legittimità.

Il ricorso è quindi respinto, con aggravio di spese secondo soccombenza.

Sussistono le condizioni per dichiarare che i ricorrenti sono tenuti a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, comma 1-quater, all’art. 13.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4000,00 per compenso, oltre ad iva, cnap e rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%.

Si dà atto che i ricorrenti sono tenuti a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, comma 1-quater, art. 13.

Così deciso in Roma, il 3 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2018

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