Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26790 del 22/12/2016


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Cassazione civile, sez. II, 22/12/2016, (ud. 21/10/2016, dep.22/12/2016),  n. 26790

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23517-2012 proposto da:

R.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

LUIGI RIZZO 50, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO IORIO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO DIOCESANO SOSTENTAMENTO CLERO DIOCESI AVEZZANO,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 13, presso lo

studio dell’avvocato WALTER BUSCEMA, rappresentato e difeso dagli

avvocati GIUSEPPE OTTAVI, RENATO SIMONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 953/2011 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 03/10/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/10/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;

udito l’Avvocato IORIO Alfredo, difensore del ricorrente che si

riporta agli atti depositati e chiede l’accoglimento del ricorso;

uditi gli Avvocati SIMONE Renato, OTTAVI Giuseppe, difensori de

resistente che si riportano agli atti depositati e chiedono il

rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

L’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero della Diocesi di Avezzano, quale proprietario L. n. 222 del 1985, ex art. 28 per successione da precedenti Enti ecclesiastici, si opponeva avverso la domanda di usucapione ex art. 1158 e 1159-bis c.c., proposta da R.G. innanzi al Tribunale di Avezzano e relativa al fondo in atti indicato, sito in (OMISSIS) (f. (OMISSIS)).

Nel contrastare l’opposizione, con la quale si chiedeva la restituzione del bene e la condanna per lite temeraria, il R. rilevava che il medesimo fondo era già posseduto dal padre e dal nonno fin dal 1895 e che, dal 1950, nessuno aveva più richiesto i canoni enfiteutici.

Il giudizio scaturito della predetta opposizione all’esito del procedimento ex L. n. 346 del 1976 veniva definito con sentenza dell’adito Tribunale di prima istanza, il quale – con sentenza del 18 giugno 2005- accoglieva l’opposizione e condannava il R. al rilascio del terreno, rigettando la domanda di usucapione.

Avverso tale sentenza il R. interponeva appello, resistito dall’Istituto, che chiedeva il rigetto del gravame.

L’adita Corte di Appello dell’Aquila, con sentenza n. 953/2011, rigettava l’appello e condannava l’appellante al pagamento delle spese del giudizio.

Per la cassazione della succitata decisione della Corte territoriale ricorre il R. con atto affidato ad un articolato motivo e resistito da controricorso dell’Istituto intimato.

Nell’approssimarsi dell’udienza hanno depositato memorie, ai sensi dell’art. 378 c.p.c., entrambe le parti in causa.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1.- Con il motivo del ricorso si censura il vizio di “violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. in quanto la Corte di Appello, rispetto al giudicato del Consiglio di Stato (decisioni n.ri 7071/2010 e 7072/2010), avrebbe dato la prevalenza alla sentenza del Commissario degli usi civici (rep. 20, cron. 539) omettendo ogni motivazione sulla preferenza data alla sentenza”.

Il motivo non può essere accolto.

Lo stesso, innanzitutto, svolge una censura omettendo l’indicazione e la trascrizione (almeno nei punti salienti) delle decisioni giurisdizionali, in ordine all’applicazione delle quali sarebbe stato consumato il vizio dedotto col motivo.

La medesima censura, in punto, è, quindi, carente sotto il profilo del compiuto adempimento degli oneri connessi all’ossequio del noto principio di autosufficienza.

Si sarebbe, infatti, dovuto procedere – ad onere della parte ricorrente – alla riproduzione diretta del contenuto dei documenti fondanti, secondo l’allegata prospettazione, la censura mossa all’impugnata sentenza (Cass. civ., Sez. 5, Sent. 20 marzo 2015, n. 5655) ovvero, ancora, adempiere puntualmente almeno l’onere di indicare specificamente la sede (fascicolo di ufficio o di parte di uno dei pregressi gradi del giudizio) ove rinvenire i detti documenti (Cass. civ., Sez. 6, Ord. 24 ottobre 2014, n. 22607). Infatti, secondo noto principio già affermato dalle S.U. di questa Corte, “in tema di ricorso per cassazione, a seguito della riforma ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, il novellato art. 366 c.p.c., comma 6, oltre a richiedere la “specifica” indicazione degli atti e dei documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto (e dove sia stato prodotto nelle fasi di merito)” (cfr., per tutte. Cass. SS.UU. 2 dicembre 2008, n. 28547).

Oltre alla carenza di cui in epigrafe, il motivo è infondato in quanto la citata sentenza del Consiglio di Stato, alla quale sarebbe stata data, errando, la preferenza dalla impugnata sentenza (sempre secondo la prospettazione di parte ricorrente) risulta essere una pronunzia di tipo incidentale e non di merito.

In ogni caso il motivo del ricorso non incide, attraverso il mero richiamo delle succitate sentenze, sulla autonoma ratio e, quindi, sulla correttezza o meno della decisione gravata, le cui ragioni restano intatte da ogni censura.

Il motivo deve, dunque, essere respinto.

2.- Il ricorso, conseguentemente, va rigettato.

3.- Le spese seguono la soccombenza e si determinano come in dispositivo.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’Istituto controricorrente delle spese del giudizio, determinate in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2016

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