Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26788 del 22/12/2016


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Cassazione civile, sez. II, 22/12/2016, (ud. 20/10/2016, dep.22/12/2016),  n. 26788

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18785-2012 proposto da:

H.R., C.F. (OMISSIS), TITOLARE DELL’OMONIMA IMPRESA

INDIVIDUALE, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA ADRIANA 20,

presso lo studio dell’avvocato MARTIN HARTNER, rappresentato e

difeso dall’avvocato ALBERTINA GAVAZZI;

– ricorrente –

contro

DITTA INDIVIDUALE ANDAL DI A.C., C.F. (OMISSIS), IN

PERSONA DEL TITOLARE LEGALE RAPP.TE, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA A.BERTOLONI 3, presso lo studio dell’avvocato MANUELA

PATRONO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1051/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 20/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/10/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO;

udito l’Avvocato Gavazzi Albertina difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avv. Patrono Manuela difensore del controricorrente che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine, il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. – Il Tribunale di Busto Arsizio rigettò l’opposizione, proposta da H.R., avverso il decreto ingiuntivo a lui notificato su istanza di A.C. (titolare della ditta individuale Andal), relativo al pagamento del corrispettivo per la fornitura di merci.

2. – Sul gravame proposto dallo H., la Corte di Appello di Milano confermò la pronuncia di primo grado.

3. – Per la cassazione della sentenza di appello ricorre H.R. sulla base di cinque motivi.

Resiste con controricorso A.C., nella qualità.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Col primo motivo di ricorso, si deduce la “omessa motivazione in ordine alla mancata ammissibilità della nuova prova documentale” (così, letteralmente, il motivo); lamenta che la Corte territoriale abbia ammesso, nel giudizio di appello, alcuni documenti prodotti da esso ricorrente e non ne abbia ammesso altri.

Il motivo è inammissibile, perchè generico, in quanto il ricorrente non deduce il contenuto dei documenti di cui lamenta la mancata ammissione in appello, al fine di consentire a questa Corte di svolgere il proprio sindacato.

Va peraltro ricordato che, in tema di ammissibilità di nuove prove nel giudizio d’appello, a norma dell’art. 345 c.p.c., comma 3, il collegio è tenuto a motivare esclusivamente l’indispensabilità che ne giustifica l’ammissione, in deroga alla regola generale che invece ne prevede il divieto, ma non anche la mancata ammissione delle prove ritenute non indispensabili, che si conforma alla predetta regola generale (Sez. 1, Sentenza n. 16971 del 21/07/2009, Rv. 609757).

2. – Col secondo motivo, si deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, per non avere la Corte di Milano ritenuto indispensabili, ai fini del decidere, e non avere ammesso, una parte dei documenti prodotti in grado di appello e non ammessi.

Anche questa censura è inammissibile per le medesime ragioni evidenziate in relazione al primo motivo. Il ricorrente, peraltro, omette del tutto di argomentare in ordine alla decisività e indispensabilità dei documenti di cui lamenta la mancata ammissione.

3. – Col terzo motivo (erroneamente numerato come quarto), si deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e segg., per avere la Corte di Appello applicato erroneamente i canoni di interpretazione dei contratti, facendo ricorso a regole interpretative sussidiarie pur essendo certa la comune volontà delle parti (in particolare avrebbe fatto ricorso ai criteri di lealtà e correttezza, pur risultando che gli ordini e le fatture erano stati intestati alla società ” H. Moden GmbH”).

La censura è infondata.

La Corte territoriale ha interpretato il contenuto dei contratti sulla base di una pluralità di elementi, tenuti in conto e valutati nel loro complesso, che giustificano le conclusioni cui è pervenuta. La Corte di Appello ha ricostruito la volontà contrattuale innanzitutto sulla base dei criteri generali di cui all’art. 1361, 1362 e 1366.

La motivazione è coerente, completa ed esente da errori logici e giuridici.

4. – Col quarto motivo (erroneamente numerato come quinto), si deduce la insufficiente motivazione della sentenza impugnata, per avere la Corte territoriale omesso di spiegare le ragioni per le quali alcune fatture erano intestate allo H. personalmente ed altre alla società ” H. Moden GmbH”.

Il motivo è inammissibile, perchè sottintende una censura alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di merito e propone lettura alternativa degli elementi probatori acquisiti, che non può trovare ingresso in sede di legittimità.

5. – Col quinto motivo (erroneamente numerato come sesto), si deduce la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata relativamente alla ritenuta prevalenza del codice comunitario di identificazione fiscale sulla denominazione del soggetto.

Anche questa censura è inammissibile.

Erroneamente il ricorrente denuncia il vizio della motivazione, pur non essendo la questione sottoposta afferente alla ricostruzione del fatto e della volontà dei contraenti. In realtà, la doglianza sembra afferire ad una questione di diritto, tuttavia non dedotta, in quanto il ricorrente non denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, una violazione o una falsa applicazione di norme di diritto.

6. – Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 3.700,00 (tremilasettecento), di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 20 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2016

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