Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26786 del 22/12/2016


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Cassazione civile, sez. II, 22/12/2016, (ud. 30/09/2016, dep.22/12/2016),  n. 26786

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 19262/2015 R.G. proposto da:

P.N. – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliato in Roma,

alla via Appia Nuova, n. 96, presso lo studio dell’avvocato Paolo

Rolfo, che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS), – c.f. (OMISSIS) – in persona

dell’amministratore pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma,

al viale Umberto Tupini, n. 103, presso lo studio dell’avvocato

Gabriele Gianese che lo rappresenta e difende in virtù di procura

speciale a margine del controricorso.

– controricorrente –

e

T.D. – c.f. (OMISSIS) – R.L. – c.f. (OMISSIS) –

elettivamente domiciliati in Roma, al viale Giulio Cesare, n. 14

A/4, presso lo studio Gabriele Pafundi che congiuntamente e

disgiuntamente all’avvocato Bruno Giampaoli li rappresenta e difende

in virtù di procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrenti –

Avverso l’ordinanza dei 6/18.5.2015 della corte d’appello di Brescia;

Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 30

settembre 2016 dal consigliere dott. Luigi Abete;

Udito l’avvocato Paolo Rolfo per il ricorrente;

Udito l’avvocato Gabriele Gianese per il condominio controricorrente;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore

generale dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso ex art. 1105 c.c., comma 4, al tribunale di Brescia P.N. esponeva che era proprietario dell’appartamento al primo piano di una villetta bifamiliare costituente un condominio parziale ricompreso nel più ampio condominio denominato (OMISSIS);

che l’appartamento di sua proprietà subiva gravi infiltrazioni di acqua e di umidità a causa della mancanza del necessario isolamento del muro comune perimetrale e del tetto della villetta;

che aveva provveduto personalmente – attesa l’inerzia dell’amministratore – alla convocazione dell’assemblea del condominio parziale, affinchè deliberasse al riguardo; che nondimeno alla riunione assembleare non erano intervenuti i proprietari – T.D. e R.L. – dell’appartamento al piano terra, sicchè era risultata preclusa la deliberazione con le imprescindibili maggioranze degli interventi necessari ai fini della conservazione del bene comune.

Chiedeva che il tribunale ordinasse l’esecuzione a spese di entrambi i condomini della villetta bifamiliare, in proporzione ai rispettivi millesimi, degli interventi indicati dal tecnico che all’uopo era già stato incaricato.

Resistevano T.D. e R.L..

Resisteva il condominio, “(OMISSIS)”, che contestava la propria legittimazione passiva.

Disposta ed espletata c.t.u., con decreto del 5.2.2015 il tribunale dichiarava il difetto di legittimazione passiva del supercondominio, rigettava il ricorso e condannava il ricorrente alle spese del procedimento e di c.t.u..Segnatamente assumeva che le opere da eseguire inerivano in via esclusiva alla parte di muro perimetrale relativa all’appartamento di proprietà di P.N., sicchè dovevano essere effettuate a sue esclusive spese.

Con ricorso depositato in data 24.2.2015 P.N. proponeva reclamo ex art. 739 c.p.c..

Resistevano T.D. e R.L..

Resisteva il supercondominio.

Con ordinanza del 18.5.2015 la corte d’appello di Brescia rigettava il reclamo e condannava il reclamante alle spese del grado.

Evidenziava la corte di merito che non sussistevano nella fattispecie i presupposti indispensabili ai tini dell’applicazione dell’art. 1105 c.c..

Evidenziava in particolare che non era il muro perimetrale che necessitava di interventi di riparazione, sibbene unicamente l’appartamento del reclamante; che d’altro canto la circostanza che le opere di riparazione coinvolgessero il muro perimetrale, rilevava ai soli fini dell’autorizzazione da parte degli altri condomini, non già ai fini del concorso alle spese da parte di questi ultimi.

Evidenziava, quanto alla condanna del ricorrente al rimborso delle spese di lite, che senza dubbio la costituzione del supercondominio era avvenuta in prime cure a seguito del provvedimento presidenziale; che tuttavia era stato il medesimo ricorrente che aveva prospettato che del ricorso fosse investito il supercondominio, in primo luogo giacchè aveva dedotto che aveva egli stesso atteso alla convocazione dell’assemblea, in secondo luogo giacchè non aveva escluso che l’intervento sul muro perimetrale potesse costituire innovazione idonea ad alterare il decoro architettonico del condominio.

Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso P.N.; ne ha chiesto sulla scorta di cinque motivi la cassazione con ogni susseguente pronuncia in ordine alle spese di lite.

Il condominio – (OMISSIS) ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

T.D. e R.L. parimenti hanno depositato controricorso; hanno chiesto dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese nonchè con condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3.

Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Del pari il condominio ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 1104 c.c., in relazione all’art. 1123 c.c., comma 3; altresì la falsa applicazione dell’art. 1117 c.c..

Deduce che, contrariamente all’assunto della corte distrettuale, la causa delle infiltrazioni di acqua e di umidità, siccome compiutamente accertato dal c.t.u. nominato in prime cure, – risiede nella struttura del muro perimetrale e del manto di copertura del tetto” (così ricorso, pag. 14), segnatamente nel “fatto che la coibenza dei muri perimetrali presenta evidenti deficienze” (così ricorso, pag. 15); che “il pregiudizio deriva dunque da carenze delle parti comuni ed inevitabilmente sono esse che devono essere oggetto di intervento di amministrazione a carico di tutti i condomini come sancisce obbligatoriamente l’art. 1104 c.c.- (così ricorso, pag. 15).Deduce inoltre che, quantunque l’intervento proposto dal c.t.u. riguardi la porzione di muro perimetrale corrispondente al suo appartamento, nondimeno è da escludere che il relativo onere economico sia unicamente a suo carico; che al contempo è da escludere che l’intervento sul muro perimetrale coinvolga gli altri condomini ai soli fini dell’autorizzazione all’esecuzione dei lavori.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’omesso esame di due fatti decisivi oggetto di discussione.

Deduce che la corte territoriale per nulla ha disaminato due fatti decisivi, ovvero la carenza, quale accertata dal c.t.u., di isolamento del muro perimetrale e del tetto e la inidoneità del muro, in assenza di isolamento, ad assolvere la sua funzione di protezione delle unità immobiliari dagli agenti atmosferici.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1134 e 1136 c.c., in relazione all’art. 1117 c.c..

Deduce che la corte lombarda ha invocato a sproposito l’autorizzazione di cui all’art. 1134 c.c., ovvero la circostanza per cui egli ricorrente avrebbe ottenuto sia da parte del supercondominio sia da parte dei proprietari del piano terra l’autorizzazione ad intervenire sul muro perimetrale.

Deduce propriamente che “non ha alcun interesse ad una autorizzazione che gli consenta l’opera sul muro perimetrale se deve farla a proprie spese” (così ricorso, pag. 20), nè gli consta che tale autorizzazione vi sia comunque stata.

Deduce altresì che non ha mai affermato di aver convocato l’assemblea del supercondominio, ma unicamente l’assemblea del condominio parziale della villetta bifamiliare ove è collocato il suo appartamento e quello di T.D. e R.L..

Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1120 c.c., in relazione all’art. 1117 c.c., ed all’art. 1123 c.c., comma 3; la violazione dell’art. 112 c.p.c..

Deduce che può essere leso dall’opera di coibentazione unicamente il condominio parziale, cui il muro perimetrale serve, e non il supercondominio.

Deduce che in ogni caso “nessuno dei resistenti in primo grado ha eccepito la lesione del decoro architettonico” (così ricorso, pag. 22).

Con il quinto motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 90 c.p.c., in merito alla condanna alle spese nei confronti del supercondominio.

Deduce che è erronea la sua condanna a rimborsare al supercondominio le spese di lite; che invero la sua domanda – non era rivolta al supercondomino” (così ricorso, pag. 23).

Si osserva preliminarmente che il ricorso è senza dubbio ammissibile.

Rileva al riguardo l’insegnamento di questa Corte a tenor del quale, in tema di amministrazione della cosa comune, il decreto emesso ai sensi dell’art. 1105 c.c., comma 4, ha natura di provvedimento di volontaria giurisdizione, che, essendo suscettibile di revoca e modifica ex art. 742 c.p.c., è privo del carattere di definitività e, quindi, non è impugnabile con ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., a meno che il provvedimento, travalicando i limiti previsti per la sua emanazione, abbia risolto in sede di volontaria giurisdizione una controversia su diritti soggettivi (cfr. Cass. 22.3.2012. n. 4616).

Su tale scorta si reputa che, contrariamente all’assunto del condominio controricorrente (cfr. controricorso, pagg. 7 – 9), si versa certamente in materia di diritti soggettivi correlati all’obbligo ex art. 1104 c.c., di ciascun condomino di contribuire alle spese necessarie per la conservazione e per il godimento della cosa comune.

Si giustifica la disamina congiunta del primo e del secondo motivo.

I motivi anzidetti infatti sono strettamente connessi.

Entrambi in ogni modo sono destituiti di fondamento.

Si premette che pur il primo motivo si specifica e si qualifica in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Occorre tener conto, da un lato, che col primo mezzo P.N. censura sostanzialmente il giudizio “di fatto” cui la corte distrettuale ha atteso (“la Corte di appello ha rigettato il reclamo perchè ha ritenuto che il problema delle muffe e dell’umidità (…) interessi esclusivamente l’interno della sua proprietà e non il muro perimetrale comune”: così ricorso, pag. 13. Si condivide, cioè, la prospettazione del controricorrente secondo cui “il ricorrente censura, in realtà, gli accertamenti di fatto svolti dal Giudice di merito -: così controricorso, pag. 10).

Occorre tener conto, dall’altro, che è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054; cfr. Cass. 11.8.2004, n. 15499).

Si premette ulteriormente che, in ossequio al canone di cosiddetta “autosufficienza” del ricorso per cassazione (cfr. Cass. sez. lav. 4.3.2014, n. 4980), quale positivamente sancito all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), ben avrebbe dovuto il ricorrente, onde consentire a questa Corte il compiuto riscontro dei suoi assunti, riprodurre integralmente nel corpo del ricorso il testo della relazione di consulenza tecnica d’ufficio (di cui alle pagg. 14 – 15 del ricorso sono viceversa riprodotti singoli stralci).

Si rappresenta comunque che la statuizione di seconde cure è – siccome dei 6/18.5.2015 – soggetta alle novità introdotte con il D.Lgs. n. 83 del 2012, convertito nella legge n. 134/2012, ed applicabili alle sentenze pubblicate (in generale ai provvedimenti pubblicati) dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione.

Conseguentemente il vizio motivazionale che il mezzo di impugnazione de qua agitur veicola, rileva nei limiti della novella formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (- per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti -).

In tal guisa, evidentemente, riveste valenza l’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte di legittimità (il riferimento è a Cass. sez. un. 7.4.2014, n. 8053).

Ovvero l’insegnamento secondo cui, da un canto, la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (disposta dal D.Lgs. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134) deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, sicchè, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; e secondo cui, propriamente, tale anomalia si esaurisce nella – mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella – motivazione apparente”, nel – contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Ovvero l’insegnamento secondo cui, dall’altro, il riformulato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); con la conseguenza che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il – come – e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua – decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Nei termini esposti si rappresenta quanto segue.

Per un verso, che è da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua dell’indicazione nomofilattica a sezioni unite testè menzionata, possa scorgersi in relazione alle motivazioni – dapprima riferite – cui la corte di Brescia ha ancorato il suo dictum.

In particolare, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito, pur individuando nel contenuto della sentenza gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento, non procede ad una loro approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte territoriale ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il percorso argomentativo seguito (“si trattava di risolvere un problema interno all’unità abitativa del ricorrente (…), il quale, solo perchè si è prospettata la soluzione dell’isolamento termico esterno, investe del problema il muro perimetrale, senza che quest’ultimo, di per sè, necessiti di spese di conservazione – così ordinanza impugnata, pag. 5).

Per altro verso, che la corte lombarda ha sicuramente disaminato il fatto storico caratterizzante la res litigiosa (“non è il muro perimetrale che necessita di interventi di manutenzione bensì il singolo appartamento-: così ordinanza impugnata, pag. 5).

Del resto, nella fattispecie il ricorrente censura l’erronea valutazione delle risultanze della c.t.u. (“il c.t.u. ha attribuito la causa dei fenomeni non a problematiche interne all’appartamento (…), ma al fatto che (…)’: così ricorso, pag. 15).E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4), disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4), – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).

Immeritevole di seguito è pur il terzo motivo.

Vero è che la corte d’appello ha affermato che l’intervento – sul muro perimetrale (…) coinvolge gli altri condomini per quanto attiene all’autorizzazione, ma non anche con riguardo alle spese” (così ordinanza impugnata, pag. 5) e che il ricorrente aveva ottenuto l’autorizzazione sia da parte dei T. – R. sia da parte del supercondominio.

Nondimeno, siccome condivisibilmente rimarca il condominio controricorrente (cfr. pagg. 13 – 14), si tratta di affermazioni chiaramente ad abundantiam, a rigore estranee alla ratio decidendi.

Negli enunciati termini rileva l’insegnamento di questo Giudice del diritto a tenor del quale, in sede di legittimità sono inammissibili, per difetto di interesse, le censure rivolte avverso argomentazioni contenute nella motivazione della sentenza impugnata e svolte “ad abundantiam” o costituenti “obiter dieta”, poichè esse, in quanto prive di effetti giuridici, non determinano alcuna influenza sul dispositivo della decisione (cfr. Cass. sez. lav. 22.10.2014, n. 22380).

Parimenti non merita seguito il quarto motivo.Si evidenzia che la corte di merito, propriamente – si badi – in sede di regolamentazione delle spese di lite, al fine di correlare comunque la vocatio in ius del condominio alle prospettazioni del reclamante, ha avuto cura di puntualizzare che era stato lo stesso P.N. a prefigurare che non potesse escludersi che – l’invocato intervento sul muro perimetrale della sola metà superiore della villetta costituisse innovazione idonea ad alterare il decoro architettonico del Condominio (OMISSIS)” (così ordinanza impugnata, pag. 6).In tal guisa è più che patente che il motivo de quo non si correla puntualmente alla ratio decidendi.

Specificamente, in considerazione, appunto, del contesto (regolamentazione delle spese di lite) in cui si inserisce il surriferito passaggio motivazionale, appare certamente avulsa dalla ratio decidendi o, quanto meno, “sovrabbondante” la censura per cui – soprattutto l’opera di coibentazione non può alterare il decoro architettonico poichè essa è indispensabile per dotare il muro perimetrale dell’isolamento che esso deve obbligatoriamente avere onde poter servire all’uso al quale è destinato” (così ricorso, pag. 22).

Privo di fondamento è infine il quinto motivo.

Vero è che il “supercondominio è stato chiamato in giudizio solo su ordine del Collegio del Tribunale (così ricorso, pag. 23).

E tuttavia questa Corte spiega che colui che attivamente o passivamente si espone all’esito del processo, oltre a conseguire i vantaggi, deve anche sopportare le eventuali conseguenze sfavorevoli che, in ordine alle spese, sono stabilite a suo carico in base al principio della soccombenza e ciò anche se si tratti di spese non rigorosamente conseguenziali e strettamente dipendenti dall’attività della parte rimasta soccombente, ma derivante dagli eventuali errori in cui può incorrere il giudice nei vari gradi o nelle diverse fasi del processo, come nel caso di quelle che vengono sopportate da coloro che sono chiamati a partecipare al giudizio quali terzi evocati per ordine del giudice, ancorchè rivelatosi successivamente ingiustificato: solo in tal modo, infatti, rimane efficacemente salvaguardato il fondamentale diritto di difesa delle parti che vengono, anche se ingiustamente, chiamate in giudizio (cfr. Cass. sez. lav. 19.4.2006, n. 9049; Cass. 11.4.2013, n. 8886).

Il rigetto del ricorso giustifica la condanna del condominio ricorrente al rimborso in favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.

Non sussistono i presupposti della mala fede ovvero della colpa grave perchè si possa far luogo alla condanna di cui all’art. 96 c.p.c., comma 3, (cfr. Cass. (ord.) 11.2.2014, n. 3003, secondo cui la condanna al pagamento della somma equitativamente determinata, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, aggiunto dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, ha natura sanzionatoria e officiosa sicchè essa presuppone la mala fede o colpa grave della parte soccombente, ma non corrisponde a un diritto di azione della parte vittoriosa).

Si dà atto che il ricorso è stato notificato in data 23.7.2015.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, a decorrere dall’1.1.2013), si dà atto altresì della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente, P.N., a rimborsare al controricorrente, condominio (OMISSIS)La Corte di Azzano(OMISSIS), le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 1.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali, i.v.a. e cassa come per legge; condanna il ricorrente, P.N., a rimborsare ai controricorrenti, T.D. e R.L., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nel complesso in Euro 1.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2016

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