Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2678 del 05/02/2020

Cassazione civile sez. I, 05/02/2020, (ud. 12/09/2019, dep. 05/02/2020), n.2678

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria G.C. – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31005/2018 proposto da:

D.N., elettivamente domiciliato in Roma, v.le Giulio Cesare

n. 14, presso lo studio dell’avvocato Ciprotti Alessia, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Marchesetti Roberta

giusta procura speciale allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno; Commissione Territoriale per il

Riconoscimento della Protezione Internazionale di Milano – sezione

distaccata di Monza e Brianza;

– intimati –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 31/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/09/2019 dal consigliere Paola VELLA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Milano ha rigettato il ricorso proposto da D.N., nato a (OMISSIS), per ottenere lo status di rifugiato, ovvero la protezione sussidiaria o quella umanitaria, stante il timore “di far rientro nel proprio Paese in quanto non riceverebbe cure adeguate e nessuno si occuperebbe di lui”, essendo orfano di entrambi i genitori e già sottoposto a maltrattamenti da parte dello zio, che lo costringeva al “duro lavoro nei campi nonostante il ragazzo accusasse forti dolori al ventre”.

2. Avverso detta decisione il richiedente ha proposto due articolati motivi di ricorso per cassazione, preceduti da tre questioni di legittimità costituzionale. Gli intimati non hanno svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Vanno preliminarmente disattese le questioni incidentali di legittimità costituzionale del D.L. 17 febbraio 2017, n. 13 convertito con modificazioni dalla L. 13 aprile 2017, n. 46 (recante: “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonchè per il contrasto dell’immigrazione illegale”), sollevate dal ricorrente per violazione della Costituzione, segnatamente dell’art. 77 Cost. (in relazione ai requisiti di necessità e urgenza), degli artt. 3 e 24 (quanto alla previsione del rito camerale) e dell’art. 111 (per la non reclamabilità del decreto di primo grado, con eliminazione del doppio grado di giudizio).

3.1. Si tratta invero di questioni ripetutamente dichiarate manifestamente infondate da questa Corte (ex multis, Cass. 17717/2018, 27700/2018, 28003/2018, 28119/2018, 32867/2018, 1876/2019) sulla base di motivazioni cui il Collegio presta adesione.

3.2. In particolare, i presupposti della straordinaria necessità ed urgenza non sono del tutto incompatibili con la scelta del legislatore di differire l’applicazione delle disposizioni introdotte con decreto legge (Corte Cost. 5/2018 e 16/2017); inoltre, con specifico riguardo al decreto legge in esame, il difetto di detti requisiti non può porsi rispetto alla disposizione transitoria che differisce di centottanta giorni dall’emanazione del decreto l’entrata in vigore del nuovo rito, trattandosi di previsione connaturata all’esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale per l’entrata a regime di una complessa riforma processuale (Cass. 17717/2018).

3.3. La nuova disciplina non viola invero il diritto di difesa, nè il principio del contraddittorio, poichè il rito camerale ex art. 737 c.p.c. – adottato anche nella trattazione di controversie in materia di diritti e status – è idoneo a garantire il contraddittorio anche ove non sia disposta l’udienza, sia perchè tale eventualità è limitata alle ipotesi in cui, in ragione dell’attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perchè in tale caso le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte (Cass. 17717/2018).

3.4. Il principio del doppio grado di giudizio non ha copertura costituzionale, mentre il fatto che il procedimento de quo sia definito con decreto non reclamabile è giustificato dalle esigenze di celerità, tanto più che la fase giurisdizionale è comunque preceduta da una fase amministrativa dinanzi alle commissioni territoriali, deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale per la valutazione della domanda di protezione (Cass. 27700/2018; 28119/2018).

4. Passando all’esame dei motivi, con il primo si deducono violazioni di legge articolate in più punti, segnatamente: la violazione dell’art. 1, Convenzione di Ginevra del 1951, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8,10 e 27, per avere il tribunale omesso di pronunciarsi sulle denunciate irregolarità del procedimento amministrativo e di considerare il transito del ricorrente in Mali e Libia, dove sarebbe stato vittima di violenze psichiche e fisiche; la violazione del D.Lgs. n. 13 del 2017, art. 35-bis, commi 9-11, per la mancata fissazione dell’udienza di audizione del ricorrente; la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) e art. 14, per mancata valorizzazione della diagnosi formulata dal team sanitario aderente al progetto “start” sulle violenze psicologiche subite dal ricorrente; la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 9, D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,4,5 e 19, non potendo il giudice formare il proprio convincimento solo “sulla base della credibilità del richiedente e sulla compatibilità del fumus persecutionis a suo danno nel paese d’origine, essendo tenuto a verificare le condizioni di persecuzione di abitudini, opinioni, pratiche sulla base di informazioni esterne e oggettive relative alla situazione reale del Paese di provenienza”.

4.1. Tutte le censure presentano profili di infondatezza.

4.2. Innanzitutto, oggetto della controversia dinanzi al tribunale non è il provvedimento negativo della commissione territoriale, bensì il diritto soggettivo alla protezione internazionale invocata, sulla quale il giudice deve statuire senza che rilevi, in sè, l’eventuale nullità del provvedimento, ma solo le sue possibili conseguenze sul pieno dispiegarsi del diritto di difesa (Cass. 27337/2018, 7385/2017), sicchè tale giudizio non può concludersi con una mera declaratoria d’invalidità del diniego amministrativo, ma deve pervenire alla decisione sulla spettanza o meno del diritto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, comma 10, (Cass. 26480/2011).

4.3. In secondo luogo, questa Corte più volte osservato che il fatto che in un paese di transito (ivi compresa la Libia) si sia consumata una violazione dei diritti umani, non comporta di per sè l’accoglimento della domanda di protezione umanitaria, essendo a tal fine necessario accertare che lo straniero venga ad essere perciò privato della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, per effetto del rimpatrio nel Paese di origine, di cui cioè si abbia la cittadinanza (Cass. 4455/2018), non già di un Paese terzo (cfr. Cass. 2861/2018, 13858/2018, 29875/2018). Semmai, le violenze subite nel Paese di transito e di temporanea permanenza del richiedente asilo, ove potenzialmente idonee – quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità – ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona, possono legittimare il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (nella disciplina previgente al D.L. n. 113 del 2018, conv., con modif., in L. n. 132 del 2018), sempre in presenza di specifiche e concrete condizioni, da allegare e valutare caso per caso (Cass. 13096/2019). A tal fine, però, il ricorrente avrebbe dovuto formulare apposita censura secondo i canoni del novellato art. 360 c.p.c., n. 5), i quali postulano l’indicazione di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo per l’esito della controversia, onerando il ricorrente di indicare – nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. Sez. U, 8503/2014; conf. ex plurimis Cass. 27415/2018).

4.4. Del tutto infondata è la contestazione sulla mancata fissazione dell’udienza di comparizione, poichè dal decreto impugnato risulta chiaramente che essa venne regolarmente fissata. Peraltro, questa Corte ha precisato che l’obbligo di fissazione dell’udienza non comporta automaticamente la necessità di nuova audizione (Cass. 17717/2018, 3935/2019), poichè “ove manchi la videoregistrazione del colloquio, ancorchè non obbligatoria in base alla normativa vigente ratione temporis (anteriore alle modifiche intervenute con il D.L. n. 13 del 2017 conv. con modif. dalla L. n. 46 del 2017), all’obbligo del giudice di fissare l’udienza non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale. Ne deriva che il Giudice può respingere una domanda di protezione internazionale che risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero” (Cass. 5973/2019; cfr. Corte giust. 26 luglio 2017, Moussa Sacko; Corte EDU 12 novembre 2002, Dory c. Suede).

4.5. Anche la valutazione di non credibilità del ricorrente non appare decisiva, in quanto dichiarata inconferente dallo stesso tribunale, dal momento che, “anche dando per ammessa ed assodata la vicenda personale dallo stesso narrata, in essa non sono riscontrabili, neppure astrattamente, gli elementi costitutivi nè dello status di rifugiato nè dello status di persona avente diritto alla protezione sussidiaria”. Peraltro, sotto quest’ultimo profilo il tribunale ha dato conto delle fonti qualificate e aggiornate consultate circa le condizioni socio-politiche della Guinea Conakry, per escludere che la (pur difficile) situazione del Paese configuri “una situazione di violenza indiscriminata” D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), per il riconoscimento della protezione sussidiaria.

5. Con il secondo mezzo si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, per non avere il tribunale tenuto conto, ai fini della protezione umanitaria invocata in subordine, dello stato di salute del ricorrente, nè del fatto che, rientrato nel suo Paese, egli non disporrebbe nè di un’abitazione nè di un lavoro per vivere dignitosamente.

5.1. La censura è inammissibile, poichè entra nel merito della valutazione operata dal tribunale sulla situazione personale del richiedente e sulla comparazione delle condizioni di vita possibili in Italia e nel suo Paese. In ogni caso, al riguardo va richiamata la giurisprudenza di questa Corte per cui “non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti, quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Sentenza CEDU 8/4/2008 Ric. 21878 del 2006 Caso Nyianzi c. Regno Unito)” (Cass. 17072/2018). Inoltre, non è “ipotizzabile nè un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, nè quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di “estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico” (Cass. 3681/2019).

6. In conclusione, il ricorso va rigettato, senza necessità di pronunzia sulle spese, in assenza di difese delle parti intimate.

7. Da ultimo occorre dichiarare il non luogo a provvedere sulla “istanza di liquidazione” del compenso al difensore del ricorrente, ammesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, poichè “in tema di patrocinio a spese dello Stato, secondo la disciplina di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, la competenza sulla liquidazione degli onorari al difensore per il ministero prestato nel giudizio di cassazione spetta, ai sensi dell’art. 83 del suddetto decreto, come modificato dalla L. 24 febbraio 2005, n. 25, art. 3 al giudice di rinvio, oppure a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato a seguito dell’esito del giudizio di cassazione. Nel caso di cassazione e decisione nel merito, la competenza spetta a quello che sarebbe stato il giudice di rinvio ove non vi fosse stata decisione nel merito” (Cass. 23007/2010, 11028/2009).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma delle stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2020

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