Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26779 del 25/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 25/11/2020, (ud. 09/07/2020, dep. 25/11/2020), n.26779

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Mar – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. SAIJA S. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29309-2014 proposto da:

HOTEL CONTINENTAL SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE

DEI MELLINI, 17, presso lo studio dell’avvocato ORESTE CANTILLO, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GUGLIELMO CANTILLO;

– ricorrente-

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 4593/2014 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 14/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/07/2020 dal Consigliere Dott. SALVATORE SAIJA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La C.T.R. della Campania, con sentenza del 14.5.2014, rigettò l’appello proposto da Hotel Continental s.r.l. avverso la sentenza della C.T.P. di Napoli n. 727/46/12, con cui era stato respinto il ricorso avverso l’avviso di accertamento notificato alla società dall’A.F. il 22.12.2009, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41-bis, del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 5, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, e concernente l’anno d’imposta 2004. Osservò il giudice d’appello che, una volta ritenuto legittimo il ricorso all’accertamento analitico-induttivo, spetta al contribuente indicare gli elementi che giustificano il comportamento antieconomico, ma nella specie tale onere non era stato adempiuto.

Hotel Continental s.r.l. ricorre ora per cassazione, sulla base di un unico articolato motivo. L’Agenzia delle Entrate ha depositato “atto di costituzione” al solo fine della eventuale partecipazione alla pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con l’unico motivo, si denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41-bis, del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 5, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, ed infine motivazione meramente apparente, contraddittoria ed illogica, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4. La ricorrente censura la decisione impugnata, per aver affermato, contrariamente al vero, a) che essa società non aveva addotto alcuna giustificazione, nè in relazione all’utile d’esercizio, nè riguardo al comportamento antieconomico; b) che con la memoria di costituzione, l’Ufficio aveva prodotto lo studio di settore, mentre in realtà esso aveva solo partecipato all’udienza di discussione, senza produrre alcunchè; c) che non era stata dedotta la nullità dell’avviso per omesso contraddittorio. Inoltre, prosegue la ricorrente, il giudice d’appello aveva richiamato una massima, a sostegno della presunta percentuale di redditività sul fatturato, assolutamente non pertinente, perchè concernente l’applicazione del metodo del “costo del venduto”, ad essa non applicabile perchè fornitrice di servizi alberghieri. Deduce, quindi, che essa ricorrente aveva fornito adeguata giustificazione dell’apparente antieconomicità della gestione, in quanto dovuta all’esigenza di riadattare l’immobile aziendale, divenuto vetusto, così dovendo affrontare significativi esborsi di natura finanziaria. Che la motivazione della sentenza impugnata sia del tutto avulsa dalla situazione devoluta alla cognizione della C.T.R. si può agevolmente evincere, prosegue la ricorrente, dal riferimento al principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità sul metodo del “costo del venduto”, già citata; il giudice del gravame non ha poi tenuto conto del fatto che la prova di una gestione antieconomica, benchè protratta negli anni, non può trarsi di per sè dalla mera trasposizione dei valori percentuali medi del settore, in mancanza di ulteriori elementi, nella specie non presenti. Ha dunque errato la C.T.R., laddove – corroborando l’accertamento dell’Ufficio – ha ignorato le giustificazioni di essa società (bollate come “risibili”), senza entrare nel merito delle questioni.

2.1 – Anzitutto, occorre opportunamente contestualizzare le descritte censure al lume di quanto evincibile dall’intero ricorso (e quindi anche dalla parte espositiva), perchè l’articolazione delle doglianze poggia, anche sul piano logico, su quanto nel complesso esposto dalla società.

Ebbene – sostiene la contribuente – con l’appello essa aveva lamentato che il primo giudice aveva confuso l’accertamento parziale (sul quale era basato l’avviso impugnato, che si riferiva al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41-bis), con l’accertamento induttivo, avendo l’Ufficio posto a base di quest’ultimo le risultanze del pertinente studio di settore, senza però richiamarlo ufficialmente, giacchè in tal caso avrebbe dovuto esperirsi il contraddittorio preventivo (in pratica non effettuabile, stante l’imminente scadenza del termine di decadenza), nella specie del tutto omesso; aveva poi denunciato l’insufficiente motivazione della sentenza di primo grado, laddove si era asserito che l’accertamento era giustificato dalle dettagliate motivazioni contenute nell’avviso, senza però che le proprie deduzioni fossero state previamente vagliate.

A fronte di ciò, la C.T.R., dopo aver riportato le posizioni delle parti, A) in un primo paragrafo ha affermato che “Il ricorso iniziale all’accertamento parziale può derivare da gravi incongruenze tra ricavi e costi, e dalla gestione antieconomica”, riportando alcune massime di giurisprudenza, di merito e di legittimità, inerenti l’accertamento analitico-induttivo, nonchè l’inattendibilità delle scritture contabili desumibile dall’antieconomicità della gestione; B) in un secondo paragrafo ha sostenuto che “il ricorso iniziale all’accertamento parziale, non esclude che si possa procedere ad accertamento analitico induttivo successivamente”, anche qui richiamando giurisprudenza; infine, C) in un terzo paragrafo ha affermato che “Una volta ritenuto legittimo il ricorso ad un accertamento analitico induttivo, sulla scorta di incongruenze dei dati risultanti dalla contabilità, (è) onere del contribuente indicare gli elementi che giustificano il comportamento antieconomico”.

Solo in tale ultimo paragrafo, poi, la C.T.R. ha esaminato gli argomenti addotti dalla società a giustificazione dell’apparente antieconomicità, ossia che nell’anno in considerazione erano stati effettuati investimenti per Euro 1 mln., concorrenti con altri effettuati nel 2001 per Euro 3,3 mln., e non invece, investimenti per Euro 9,5 mln. circa, come indicato dall’Ufficio. Essa ha quindi ritenuto che tali dati siano inidonei a contrastare i dati di bilancio, nonchè l’incremento di fatturato registrato nel corso degli anni dal 2003 al 2007, e quindi a giustificare l’antieconomicità della gestione, tanto più che l’Ufficio aveva in primo grado prodotto lo studio di settore di riferimento e non era stata eccepita la nullità dell’avviso per omesso contraddittorio, sicchè l’avviso aveva valenza presuntiva. Chiosava precisando che “il contribuente può contestare il criterio di determinazione della percentuale di ricarico”, ma che nella specie gli argomenti spesi dalla società erano apparsi “del tutto risibili ed inidonei” a giustificare l’antieconomicità, nè tantomeno era stata contestata la percentuale di maggiori ricavi (7%) rispetto ai costi.

2.2 – Ritiene la Corte che la sentenza violi palesemente il c.d. minimo costituzionale della motivazione, sancito dall’art. 111 Cost., comma 6.

Anzitutto, a fronte delle censure dell’appellante, la C.T.R. ha del tutto obliterato le questioni dell’accertamento parziale o induttivo, e sulla connessa questione dello studio di settore, riportando giurisprudenza per nulla pertinente con la fattispecie. Costituisce riprova di ciò la circostanza che, nei primi due paragrafi citati, la C.T.R. omette qualsiasi riferimento alle specifiche questioni concernenti l’avviso impugnato e/o la sentenza di primo grado e finanche alle difese delle parti.

Nel terzo paragrafo della motivazione, dopo aver richiamato in astratto il principio supra riportato sub C), il giudice del gravame inizia finalmente a spiegare il perchè le giustificazioni addotte dalla società non siano idonee a scalfire le ritenute presunzioni, dando quindi per scontata la sussistenza di un accertamento analitico-induttivo, ma senza mai prima aver affrontato, in concreto (rispetto, cioè, alla fattispecie), la questione. Donde un primo profilo di apoditticità.

La C.T.R. ha poi esaminato la questione della inidoneità degli argomenti offerti dalla società circa l’antieconomicità della gestione, con valutazioni certamente di merito, ma che in realtà restano travolte dall’apoditticità di cui prima s’è detto, nonchè dal riferimento alla massima sul “costo del venduto”, nella parte finale del terzo paragrafo, questione all’evidenza del tutto avulsa dalla materia del contendere, la ricorrente gestendo un’attività alberghiera.

In questo già precario quadro, completamente priva di senso logico appare poi l’affermazione secondo cui l’Ufficio avrebbe prodotto in primo grado lo studio di settore: tale circostanza, contestata fermamente dalla ricorrente (che sostiene che l’Ufficio non ha mai depositato alcunchè), a ben vedere finisce anzi col corroborare la tesi della società, secondo cui l’avviso impugnato è nella sostanza fondato sullo studio di settore, pur senza formalmente richiamarlo, onde evitare l’appesantimento procedurale, sconsigliato dall’imminente maturazione della decadenza. Si tratta in ogni caso di questione che, nell’economia della controversia, avrebbe dovuto opportunamente essere valutata dalla C.T.R.

Plasticamente contraddittorie, infine, sono le affermazioni (contenute a pag. 2 della sentenza) secondo cui la società aveva affermato: i) che l’Ufficio si era sottratto al contraddittorio previsto per l’accertamento induttivo, e che ii) la stessa ricorrente s’era doluta dell’immotivata applicazione del ricarico del 7%, con quelle, rispettivamente corrispondenti, secondo cui iii) non era stata dedotta la nullità dell’avviso per omesso contraddittorio, e iv) non sussisteva contestazione dell’indicata percentuale di maggiori ricavi (7%) rispetto ai costi (pagg. 4 e 5 della sentenza).

Può quindi concludersi nel senso che la motivazione della sentenza impugnata, recando affermazioni palesemente apodittiche, illogiche e contraddittorie, non rispetta il c.d. minimo costituzionale, nel senso prospettato dal noto insegnamento di Cass., Sez. Un., n. 8053/2014.

3.1 – In definitiva, il ricorso è accolto. La sentenza impugnata è quindi cassata in relazione, con rinvio alla C.T.R. della Campania, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame del gravame della contribuente, provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso, cassa in relazione e rinvia alla C.T.R. della Campania, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di cassazione, il 9 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2020

 

 

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